Pinheiros Vermelhos
mostra a cura di spazio Galileo
fotografie di Camilla Piana
a La Terra Trema 2022 • fiera feroce • vini, cibi, relazioni
Questa mostra nasce dall’esperienza diretta con il fuoco. Viaggiando in Portogallo questa Estate ci appaiono le pendici della Sierra da Estrela in fiamme. Il rogo di Colvilha, uno dei tanti scoppiati in tutto il Paese, ha bruciato la montagna, distrutto l’habitat di specie animali e vegetali, le case e le attività di intere comunità; ha devastato una riserva naturale tutelata dalle convenzioni internazionali ma soprattutto uno dei tanti ambienti fragili e indigeni che stanno venendo duramente colpiti dagli sconvolgimenti climatici e sociali in atto.
Di notte distogliere gli occhi dalle fiamme è difficile: il fuoco possiede un potere magnetico che imprigiona lo sguardo e travolge le emozioni; uno spettacolo sublime nel vero senso della parola, capace di renderci piccoli ed inermi, di ridimensionarci rispetto alla forza della Natura.
La mattina soleggiata svela una coltre di fumo dove prima bruciava il bosco; l’incendio, che si è solo spostato con vento notturno, brucerà ancora per giorni incenerendo decine di migliaia di ettari di alberi, alimentato da un anomalo vento caldo e costante che soffia fino a notte fonda.
Ripartendo da Colvilha ci si presentano delle strane vallate autunnali velate di rosso, bellissime e profondamente malinconiche: sono i pini ad essere rossi, vaste pinete cariche di resina e altamente infiammabili bruciate da un fuoco intenso e rovente che dipinge di rosso gli aghi sempreverdi prima di “spegnerli” in cenere.
Assieme a questi Pinheiros Vermelhos brucia il resto di una ricchissima flora assetata dall’assenza di piogge e ferita dall’uomo più profondamente di quanto ci dimostri.
Camilla Piana è tornata i primi di Settembre sulla Sierra da Estrela a scattare il passaggio del fuoco e l’Autunno precoce che lo accompagna.
Gli scatti a pellicola raccontano la luminosità reale e interiore e di soggetti e paesaggi silenziosi o, come in questo caso, resi al silenzio.
Vive a Lisboa a caccia di una luce migliore.
Allestimento e curatela di spazio Galileo, Leoncavallo, Milano.
Non può trattarsi di autocombustione (impossibile in condizioni naturali stabili) e non c’è traccia di “dolo” negli incendi portoghesi: è l’impatto dell’umanizzazione dell’ambiente che spiega l’avvicendarsi sempre più frequente di calamità/fatalità, e come la “dolosità” non vada minimizzata nell’atto mafioso di un piromane. I nostri segni invadono i boschi dimostrando l’ingenuità e l’intenzionalità, l’ignoranza e lo sprezzo che ci guida a sfruttare e colonizzarei; questa causalità prova un coinvolgimento molto più ampio del nostro agire nelle “catastrofi” che ci affliggono e l’incuria della civiltà si fa notare nei rifiuti abbandonati ovunque che, putrefacendosi, sprigionano gas capaci sì di innescare autocombustione a contatto con l’aria.
Nella seconda metà del XVIII secolo, nasce in Europa una tendenza politica e culturale rivolta alla tutela ed alla riforestazione di interi territori. L’animo “Romantico” che guida a riconnettersi con la natura silvestre cela in realtà una crisi profonda: non c’erano più foreste in Europa e di conseguenza era finito il legname (raramente si pensa al dispendio di legname da parte della società contemporanea ed ancor meno si considera la richiesta di legno in periodi storici in cui era la materia prima per eccellenza). Si impongono politiche, economiche e sociali di salvaguardia e ripopolamento della flora arborea; scelte “di mercato” per il nascente capitalismo, e scelte “estetiche” motivate da un patriottismo alla ricerca di selve vergini e sublimi in cui identificarsi ed identificare la nascita idealizzata di popoli e nazioni (riserve comunque inequivocabili per fronteggiare una futura carenza di materia prima).
Però la biodiversità autoctona, più fedele al passato reale dei territori e necessaria nella vita delle comunità attive a contatto col bosco, viene rimpiazzata da imponenti monocolture: pino marittimo ed eucalipto lungo le coste del Sud, alberi da frutto nelle pianure ma anche l’abete bianco nelle Alpi tirolesi è frutto di una scelta “compositiva” divenuta col tempo elemento della tradizione e dell’immaginario collettivo.
Sulla base di questo pensiero (che è il pensiero del Capitalismo e del Nazionalismo) si prediligono alberi che crescono rapidamente, che danno un legname duttile, economico, facilmente accessibile, trasportabile e lavorabile; si organizza la coltura secondo un sistema più gestibile rispetto al “caos primigenio” del bosco misto e della boscaglia dal sottobosco fitto, intricato ed umido (e più resistente agli incendi). Gli alberi vengono considerati come elementi funzionali alle necessità umane (e crescerli è un modo per garantirseli): risorsa da sfruttare ed elementi d’arredo del paesaggio adibiti a consolare la tristezza di aver deforestato per primi un intero continente.
Come ogni monocoltura anche i boschi portoghesi dimostrano fragilità e incapacità a resistere alle calamità naturali, fuoco compreso; i governi parlano già di riforestare, di contrastare il fenomeno e “tutelare” le biodiversità, come se la vita della Natura fosse sotto la nostra amministrazione. La sua azione ha un corso lento ed inesorabile ma la nostra contemporaneità rischia di accelerare e di aggiungere errori ad un territorio già compromesso a cui poco serve un intento preservativo se non si accetta la responsabilità e la conoscenza che questo rapporto richiede.
Cambiare sguardo sui boschi ci rende consapevoli dell’impatto dell’umanizzazione in Europa e ci deve dare il metro di misura con cui calcolare il futuro (e il destino) di territori in cui le foreste sono ancora imponenti ma gravemente minacciate.
Riferimenti, ispirazioni e “ascolto” da “Storia dei boschi: dalle origini a oggi”, Hansjörg Küster, Bollati Boringhieri, 2019