ON UNA GOCCIA D’ACQUA DOVREBBE FINIRE NEL MARE
Di Cecilia Rocha
Traduzione di Giuseppe Li Rosi e Giacomo Pellegrini
Un sistema per reagire alla siccità: linee chiave e curve di livello per trattenere il più possibile l’acqua delle piogge. Alberi da frutto, arbusti, micorizzazioni per creare delle linee di vegetazione secondo i sistemi agroecologici e dell’agroforestazione. Se la Sicilia sta diventando famosa per la totale assenza di alberi, c’è chi non si arrende e non si ferma.
Come geografa è naturale arrivare in luoghi nuovi e analizzare gli strati socio-ambientali che li costituiscono. Arrivando in Sicilia, alle pendici del vulcano Etna, immaginavo di mettere piede su terre fertili ma, allontanandomi dal vulcano, quello che prevale e domina è con molta evidenza un ecosistema di suolo esposto con sparuti alberi in un vero mare di terra arida. Per un geografo indiscutibilmente un clima semidesertico.
Il caldo è evidente, la mancanza d’acqua anche. In Sicilia, dopo le dieci del mattino, non si riesce più a lavorare nei campi perché la calura è insopportabile.
Sull’isola, dove circola il vento quasi quotidianamente, tutte le finestre vengono chiuse durante il pomeriggio per mantenere all’interno il fresco della notte. E nella notte brillano gli occhi luminosi di giganteschi trattori il cui rumore denso e ritmico echeggia nelle infinite proprietà mentre lavorano la terra tra il tramonto e l’alba.
Mi è stato detto, però, che originariamente l’isola ospitava foreste e fiumi e i ponti che attraversavano i fiumi, ormai secchi, confermano il processo di desertificazione in atto nella regione. Tuttavia, in questo stato di tensione insulare, alcuni produttori hanno pensato a come reagire a questo processo di deterioramento ambientale e della biodiversità locale.
Una quindicina di anni fa una popolazione evolutiva di grani teneri, portata dalla Siria dai ricercatori Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando, ora adattata localmente, fu consegnata all’agricoltore Giuseppe Li Rosi (tra Raddusa e Caltagirone, provincia di Catania ndr). Il progetto mirava a mantenere la popolazione e garantirne la sopravvivenza grazie alla capacità di adattamento dovuta al gran numero di varietà presenti con lo scopo di mantenere lo stoccaggio e garantire la sopravvivenza e adattamento di questi semi creoli, che oggi rappresentano solo una piccola percentuale della quantità originaria di grani tradizionali presenti nella Sicilia antica.
Da quel giorno il grano viene coltivato, prodotto e riprodotto in un sistema di rotazione con leguminose, adottando sistemi di lavorazione del suolo e di conservazione dei suoi nutrienti essenziali.
Il progetto è tutt’oggi in vigore e sta riscuotendo consensi tra gli agricoltori siciliani ma, ciò nonostante, lo scenario è quello di un mare di terra raschiato da una lama affilata. La pioggia non cade e, poco a poco, la produzione di grano si riduce.
Nel pieno di una feroce estate siciliana, sono arrivata sull’Isola per partecipare al processo di tracciamento delle keyline e della lavorazione del terreno secondo delle curve di livello su una porzione dei terreni di Giuseppe.
Ciò che mi ha portato ad attraversare il Mar Mediterraneo da Rio de Janeiro era l’idea di creare le cosiddette zone di infiltrazione in modo che, quando finalmente cadrà la pioggia, l’acqua possa infiltrarsi nel terreno.
Si tratta di un processo che avviene naturalmente negli ambienti in cui c’è vegetazione, poiché le radici delle piante fungono da canali attraverso i quali l’acqua defluisce e si accumula nel terreno e sotto di esso, nella falda acquifera. Senza alberi, cespugli o vegetazione varia, l’acqua, invece, scorre semplicemente sopra la terra compattata e «si perde nel mare». Senza infiltrazioni non c’è rifornimento delle falde acquifere che, quando sono piene, riforniscono fiumi e laghi che hanno livelli d’acqua molto bassi. Senza le piogge e il rifornimento di questi corpi idrici da parte delle acque sotterranee i fiumi si prosciugano.
L’applicazione del metodo delle zone di infiltrazione mediante la creazione di curve di livello nelle terre di Giuseppe servirà da esempio per testare il metodo di recupero delle acque e verrà poi riprodotto da altri agricoltori della regione abilitati a realizzarlo.
Giuseppe è anche il presidente di uno dei ventitré GAL siciliani, il GAL Kalat (Gruppo di Azione Locale del Calatino), che è essenzialmente un organismo intermedio il cui obiettivo principale è strutturare e mettere in atto una strategia partecipativa di sviluppo di un’area rurale attraverso un approccio bottom-up, ovvero partendo dalle esigenze specifiche, e auspica che dei fondi residui possano essere utilizzati per attivare una decina di aziende pilota nell’isola.
La keyline serve a rallentare il normale scorrere del ciclo dell’acqua così che quella dolce resti il più a lungo possibile tale prima di diventare salata e quindi non utilizzabile in agricoltura, e questo sarebbe uno dei primi passi di un piano di recupero dell’acqua più ampio nella regione. Tracciare le curve di livello dove il terreno sarebbe stato “rilassato”, cioè meno compattato, nel quale l’acqua avrebbe potuto facilmente accumularsi ed essere assorbita, era il primo passo di un piano più ampio per recuperare l’acqua nella regione.
Il progetto affronta anche un aspetto agroecologico: ai margini delle linee di infiltrazione verrebbero piantati alberi autoctoni per aumentare ulteriormente il potenziale di assorbimento dell’acqua e prevenire l’erosione del suolo.
Una parentesi: ho bisogno di spiegare un po’ il mio concetto dell’agroecologia e come questo sistema sia un potenziale fronte di azione in una regione come la Sicilia.
L’agroecologia è una scienza che ha ancora poca visibilità nel mondo accademico. Nonostante sia comunemente intesa come una tecnica di coltivazione ecologica, l’agroecologia racchiude un potenziale maggiore di quanto si pensi. Questa pratica risale alla memoria ancestrale agreste comune di diversi popoli e (ri)emerge sulle spoglie della rivoluzione verde, assumendo la struttura formale di una scienza agricola ecologica.
È necessario sottolineare che si tratta di conoscenze tradizionali di carattere trasgressivo nello scenario di produzione e riproduzione degli attuali paradigmi socioculturali politici ed economici poiché mettono in discussione alcune premesse che attualmente governano la nostra società, scienza e politica. In sintesi, l’agroecologia è una pratica storica di produzione alimentare, protezione ambientale e socializzazione, è un sistema multidimensionale che comprende nozioni di: agricoltura, conservazione ambientale, collettività, produzione e riproduzione della conoscenza.
Su più livelli, il progetto in corso di realizzazione da Giuseppe è in linea con ciò che si intende con agroecologia.
In primo luogo, attraverso la valorizzazione di saperi tradizionali e del loro recupero, il progetto valorizza la conoscenza empirica del miglioramento della produzione attraverso la selezione delle sementi più adatte alle condizioni locali in un processo generazionale storico. Inoltre, scegliendo di utilizzare sementi autoctone, il progetto rinuncia alle varietà di grano mutate geneticamente, che devono essere sostenute da un pacchetto di input chimici dannosi per l’ambiente.
L’intenzione di creare aree ad alto assorbimento idrico e la piantumazione di alberi e piante autoctone consente di recuperare il bioma locale che è stato degradato, invertendo così il processo di desertificazione della regione nel lungo periodo. Inoltre, esiste la possibilità che queste zone di infiltrazione e riproduzione della fauna locale diventino corridoi ecologici in grado di collegare diverse aree boschive e garantire la riproduzione e la conseguente espansione della stessa fauna man mano che amplia la sua area di circolazione e, in definitiva, la sua sopravvivenza.
La proposta di collettivizzare in rete tutte queste iniziative serve, infine, a recuperare nozioni di collettività essenziali alla conoscenza agroecologica, perché non esiste una protezione della natura basata su iniziative individuali.
È necessario un accordo collettivo in cui lo sforzo di conservazione e recupero sia attuato orizzontalmente e verticalmente. È necessario che intere regioni si mobilitino a favore dello sviluppo di adattamenti agricoli, ambientali e sociali. Tuttavia, inevitabilmente, è necessario l’intervento di attori a vari livelli del tessuto sociale, a partire dal produttore locale, soggetti privati associati, istituzioni. Nel progetto di Giuseppe, si vorrebbe creare una rete di mutuo aiuto e diffusione di conoscenze che punta al recupero ambientale e alla diffusione di pratiche di produzione alimentare ecologica, elementi fondamentali della pratica agroecologica.
Il progetto si presenta essenzialmente come una risposta al processo di desertificazione attraverso la realizzazione di curve di livello come “pozzi di infiltrazione” per recuperare l’acqua nel territorio. È necessario, come dice Giuseppe Li Rosi, che tutta l’acqua che cade sulla terra rimanga sulla terra e che nessuna goccia di pioggia vada inutilmente a finire nel mare. I grandi pensatori brasiliani Luiz Antonio Simas e Luiz Rufino dicono, in un passaggio del loro libro “Fogo no mato – A ciência encantada das macumbas” (traducibile come: Fuoco nella foresta – La scienza incantata delle macumbe, ndr), che «bisogna leggere la poesia per capire la politica, bisogna leggere l’incanto per capire la scienza». Se non c’è contenuto poetico in un atto/essere politico, non si capisce che quando si dice «nessuna goccia di pioggia deve andare al mare» non vi sia un’ingenua intenzione di letteralità, ma piuttosto il tentativo di esprimere poeticamente l’urgenza della necessità di invertire il processo di desertificazione in corso nella regione.
Allo stesso modo, comprendere le radici e le caratteristiche tradizionali di ciò che oggi intendiamo come agroecologia è il modo per «incantare» la scienza, cioè per dare alla conoscenza accademica un corpo personale e sociale in cui riprodursi, un canale attraverso il quale trascendere il suo isolamento nelle università e dibattiti teorici, formando così un fronte efficace per combattere la crisi climatica.
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 34
20 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org
Last modified: 21 Dic 2024