SINFONIA DELLE MUCCHE
di Guido Celli
Illustrazione di Fabrizio Di Baldo

la terra disassata del campo
vista da distante
brilla il suo manto
glabro d’erba
come un diamante

al margine delle arature
nel groviglio dei cespi
umido e tremante
fra le bacche intruso
il muso
d’una mucca errante


***


le mucche sono un tempio
di ossa poderose
una cattedrale di azioni
lente faticose

ocre carni penisola
in altorilievo al fango
maestose

stanno d’oro alle stalle
come alle palizzate
le rose


***


nel cerchio concavo
del loro cammino
sento tornare le tempie
al ventre farsi mollica

nel pulviscolo d’alba
mi illumina il timpano
un’aria densa e nitida
di muggiti antica


***


se la guardi come cosa
di corpo unico
indivisa figura
con lo sguardo che si posa
fra le verità dell’occhio
ai margini di dove la veditura
diventa accennata acquosa
la mandria è scultura

non fremesse le code
o ogni tanto un passo
non la tentasse la cantilena sirenica delle erbe
o la pelle vibrata del fontanile
non fosse per il tremolio dei manti
o per il gesto contro la mosca che scoccia
la mandria starebbe salda
ancorata alle terre e al cielo
in apertura alare alla roccia

***


se la vedi com’è
la mandria è un monolite erto
sulla pelle del paesaggio palustre

nello scenario motile delle argille
nella prospettiva di una rivelante
liturgia del panorama campestre
i suoi tendini le sue cartilagini
annodano la crosta celeste
all’estuario curvo e stretto
della volta terrestre

***


entro i campi lasciando la strada
e i piedi perdono pelle
come trovando casa
nell’addome di una frana

nella stalla sulla buia biada
la mucca danza immobile
come nel vento un totem
la sua possenza arcana

***


il chiarore dei manti
è una lucerna
nell’oceano grafite
della stalla caverna

nella notte del ricovero
la veglia delle mucche
è un rosario d’uve
una perla di madori lanterna

sentiera il mio cammino
la luce derma
dell’umida schiera
d’iridi materna

***


dalla sua pancia alla bocca
sepolto nel cuoio scolpito
un inveduto tirante mantiene
l’arco terrestre unito

nelle paludi del suo vitreo
un pozzo immenso e muto
inserba e trattiene
l’intera anagrafe del piovuto

***


la mandria è un arcipelago di penisole:
alla terra restano attaccate
da suture di fango crudo
cicatrici mobili di melme
uncini palustri di stagni paesaggio

la mandria muove lento
il suo incarnato di spago soffiato
tessendo con le agate del cielo
il mosaico d’erbe che il sole
ricompone dietro il suo viaggio

***


la mucca nata per la stalla
cresce la sua vita
come camminandola in un corridoio:

il gomitolo pulsante di tubi
del mungitoio
l’affollato alveare di inferriate
del mangiatoio
lo stretto e lungo rettangolo
dell’abbeveratoio
e dove la tecnica allevatoria
detta ragione alla natura
l’asfittico recinto separato
dell’accoppiatoio

e alla fine ardente
la camera spoglia del mattatoio

la mucca nata per la corda
scivola la sua vita
nell’androne incerato
di un nodo scorsoio

***


la bava delle erbe
sveglia i vallivi e lega
la nuca del mondo
al suo nimbo aurorale

dal grembo celeste
un agrume di luce
scheggia il pantano:

si fa natura ciò che la natura
detta a sé in forma di messale


***


un’ultrachiara lama d’alba
smeriglia il limo
d’aria vetrata
del cielo rubino:

ogni cosa vera del mondo
dà al mondo il vero e la sua cattedrale

il fondo delle stalle
è l’abside in cui
cresimo la mia
adesione al reale


***


in fondo al fondo degli occhi delle mucche
c’è una palude di suoni tronchi: un concerto
di membrane uno sciame di melme
un vibrato di sgrondi: se ci vedi bene
dentro c’è un pozzo d’acqua infinito
e se guardi ancora più in fondo
al fondo degli occhi delle mucche
c’è uno specchio rotto da una goccia
di castano molle ovvero mondo

***


sento il cosmo evaporare
nella chiglia possente
della loro muscolatura
tornita aureolata
da un freddo fosforescente
un buio adamantino

e mi pare che fra le loro ombre
si possa trovare la meridiana
che rigagnola l’orbita solare
nella torba dei sottoboschi
si possa scorgere il delta
ultrachiaro la filigrana
di luce in trama al mattino

***


alla stalla fa freddo sempre:
sarà l’umido del letame
l’ora presta il tetto alto novembre
i molti giorni in cui la notte veste
la quiete spoglia delle bestie


***


mia signora dei cieli e delle argille
sia adorato sempre il tuo ventre
ché cava dalla chioma dei prati
il latte ardente delle rocce
ché serba a noce ogni goccia
gemuta dall’anca delle cortecce
ché tiene saldo il cosmo all’orizzonte
il sopra al sotto e sutura
il mondo ai mondi come un ponte
ché custodisce a pianura
ogni vena della volta celeste
e ogni ganglio ogni piuma
ogni acino di crosta terrestre

nostra signora dei cieli e delle argille
sia adorato sempre il tuo ventre



Protagonisti di questo nuovo poema di Guido Celli, pubblicato con Terre Blu nel marzo del 2024, sono gli elementi primari della cosmogonia agreste: le mandrie, le argille, i fossi, le erberie, i pantani e la volta celeste. Tutti letti, definiti, simbolizzati e pentagrammati mediante la lente drammatica del Mito, con l’energia dell’assoluto che ha per pantheon il Mondo e i suoi mattinali. Nel tentativo/tensione di disegnare una mistica e materica metopa nei cui bassorilievi si va tracciando il profilo d’osso, l’abside e la figura forma della crosta terrestre. Mantenendo le sfumature e il mosaico polifonico di più prospettive, lo sguardo è principalmente rivolto al nodo muscolare che è in noce alla cartilagine della mandria, interpretato come il punto di sutura fra il cielo e la terra, come unico ponte e via di transito fra il visibile e l’invisibile. Nella convinzione che solo gli occhi delle mucche comprendano cosa l’addome del pianeta Terra effettivamente sia.




Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 34
20 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org

Last modified: 3 Dic 2024

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