Di Laura M. Alemagna
Fotografie di Giuseppe Li Rosi
In Sicilia, le proteste di agricoltori e agricoltrici, hanno dato luogo anche a un confronto multiforme, lungimirante, vivo. Sono state occasione di incontro tra agricolture sostanzialmente diverse.
Il 13 febbraio 2024 abbiamo incontrato quattro referenti del costituente gruppo La Sicilia alza la testa, coinvolto nei presidi agricoli e promotore della stesura di un documento atto a riassumere con urgenza le istanze degli agricoltori in agitazione in Sicilia.
Giuseppe Li Rosi (Simenza – Cumpagnìa Siciliana Sementi Contadine, agricoltore), Mariangela Cirrincione (Segreteria di Simenza e agricoltrice biologica), Guido Bissanti (Coordinamento Agroecologia Sicilia), Carmelo Galati Rando (Unione Allevatori Sicilia) hanno ripercorso punto per punto le questioni cruciali presenti nel documento, la sua gestazione e quella del movimento.
Scritto con intento di parlare e coinvolgere tutte/i (contadini, pescatori, studiosi, sociologi, cittadine/i), il manifesto si apre al confronto su vasta scala con la consapevolezza che ci sia bisogno di ognuno, e mette nero su bianco proposte concrete e ragionate a fronte di una narrazione mediatica denigratoria e macchiettistica.
In Sicilia il primo presidio è avvenuto il 18 gennaio a Bolognetta (PA) a seguito dell’assemblea indetta dagli agricoltori il giorno precedente.
Il luogo prometteva bene. Bolognetta (Agghiastru, in siciliano), fu luogo d’insurrezioni di contadini, di briganti e rivoluzionari nel 1866.
All’assemblea del 17 gennaio erano presenti quasi 800 agricoltori siciliani. Lì ha avuto luogo una prima riflessione comune, «in maniera molto caotica, come caotico è il momento in cui un seme germoglia, prima che le cose si assestino, che la radichetta vada verso il centro della terra e il germoglio verso il cielo», dice Giuseppe Li Rosi.
In tutta la Sicilia, dal 17 gennaio in poi, nasceranno più di una ventina di presidi, una costellazione indipendente dall’ingerenza di sindacati o forze politiche.
SETE | ACQUA
In primo luogo è avvenuto l’ascolto delle richieste degli agricoltori. Richieste che hanno in buona parte una ragione emergenziale. Un ingente numero di allevatori ha bisogni concreti: manca foraggio perché manca acqua, una mancanza cronicizzata, esasperata dall’assenza di piogge. La salute degli animali, delle produzioni agricole (tutte, dagli agrumi agli avocado), lo stato di salute del suolo sono seriamente compromessi.
Per questo, nel documento, è sollecitata la costituzione di una rete di rifornimento di foraggio da destinare alle aziende zootecniche in grave sofferenza.
ARSURA | TERRA
La retorica green, hanno detto, nasconde molte insidie, bisogna averne consapevolezza. La produzione di energia (seppur rinnovabile) sta innescando azioni predatorie sul suolo agricolo impoverendo il territorio e arricchendo multinazionali di settore. È il nuovo capitalismo. Eolico e solare stanno espandendosi ovunque e senza criterio, soprattutto (ma non solo) in Sicilia. Qui l’agrivoltaico rischia di fare più danni dell’abbandono, dell’incuria, della cementificazione. Colossi economici si accaparrano per una manciata di denari, terre coltivate e oasi naturalistiche.
Questo “nuovo” capitalismo finanziario e cibernetico si nutre così, si assicura che l’elettricità viaggi veloce (e con lei i dati che genera). La richiesta energetica non è mai stata così importante e per reggere così tanta pretesa serve un apparato mostruoso e serve terra, lo sappiamo bene.
FAME | CIBO
Con l’intento di parlare anche ai cittadini, prima ancora di etichettare la protesta come a difesa del cibo sano, si è detto che questa avrebbe dovuto essere una lotta a difesa del cibo di tutti. I costi di produzione degli alimenti principali (farine, pasta, carni, formaggi, ortaggi, frutta) sono troppo alti, il rischio è che si finisca per tramutarli in un lusso per pochi, precluso a una fetta di popolazione sempre più grande.
Le direttive europee a contrasto dei serissimi danni dovuti ai cambiamenti climatici non vanno nella giusta direzione e foraggiano i colossi economici a scapito delle realtà agricole piccole e indipendenti. Alla crisi climatica, si pensa di far fronte con la sperimentazione genetica. Nuovi OGM, di fatto banditi, «entrano dalla finestra come TEA». Per questo, il gruppo esige la fine della sperimentazione, l’applicazione della prevista clausola di salvaguardia e il principio di precauzione in campo.
LA CRISI È UNA POSSIBILITÀ?
La mobilitazione degli agricoltori è innegabilmente legata al protrarsi di una crisi gravissima. «Può tramutarsi però in un cambio di rotta» afferma Giuseppe.
Dice: «non ci sentiamo resilienti ma capaci di antifragilità», non infrangibili ma capaci di rispondere alla crisi rilanciando, pensando a una crescita evolutiva, a una possibilità di cambiamento (non solo su scala planetaria ma anche individuale). Viene in aiuto, forse, il lavoro fatto dallo stesso Giuseppe Li Rosi, da Salvatore Ceccarelli, dai contadini palestinesi coi cosiddetti “grani evolutivi”. «La possibilità che hanno i miscugli di far fronte al cambiamento climatico o alle erbe infestanti è legata alla loro capacità di evolversi nel tempo. Quindi, proprio per questa loro capacità, io preferisco chiamarle popolazioni evolutive e non miscugli come si fa spesso. Vi faccio un esempio concreto, nel 1987 ho mescolato un migliaio di tipi di semi di orzo e li ho portati ad alcuni agricoltori in cinque paesi diversi: Algeria, Eritrea, Siria, Giordania e Iran. Il risultato è stato subito un raccolto abbondante, che poi è stato distribuito ad altri agricoltori, e le sementi così selezionate sono state diffuse. Con gli anni le popolazioni si sono moltiplicate e hanno viaggiato per tutto il Medio Oriente. È il miglioramento genetico partecipativo-evolutivo che può salvare anche le terre (e l’indipendenza) dei contadini palestinesi (…)». Ceccarelli scriveva così qualche tempo fa e sembra esserci molto di questo nella mescolanza di anime che questo gruppo di siciliani sta cercando di far germogliare. Sembra che ci sia molto di questo nell’idea di antifragilità che Giuseppe evoca.
L’AGRA-INDUSTRIA
La produzione agricola ha patito fin troppo, non può più essere assoggettata all’agroindustria delle monoculture e della specializzazione efferata. Questi modi di produzione hanno causato costi altissimi per ambiente, paesaggio, biodiversità, per coloro che nelle campagne lavorano, per la civiltà rurale tutta. Questo asservimento ha determinato il disfacimento della natura multifunzionale dell’azienda agricola, delle sue produzioni, del sapere contadino che vi si coltivava, dei presidi di socialità che rappresentava e che assicuravano libertà, autonomia e sovranità alimentare ad ogni territorio.
Il quadro è sconfortante, amaro: piccole e medie aziende agricole dismesse, abbandonate. Territori e terre alla mercé dei colossi economici. Colossi che usano ogni mezzo. Guerre, incendi, deforestazione, desertificazione, abbandono delle campagne, esodi di massa. In ogni dove.
In Sicilia l’abbandono delle campagne ha portato a un depauperamento feroce, per sicurezza sociale, lavorativa e alimentare.
Da Adam Smith in avanti, dice Giuseppe, si lascia che una «mano invisibile» permetta a chi ha la possibilità economica di produrre a costi bassissimi e di invadere così i mercati mondiali. Tolti i dazi doganali, velocizzando lo scambio, agevolando chi produce con costi irrisori (come in Canada col frumento), il capitalismo vince facile.
In Italia, «dove i derivati dal frumento arrivano alle bocche almeno tre volte al giorno», si è costretti a cibarsi frequentemente di prodotti che arrivano da lontano. Industriali, incontrollabili, alieni: cibi che invece di dare energia sviliscono, aumentando i costi della sanità, i guadagni dell’industria farmaceutica, aumentando le ospedalizzazioni. I cibi che questa produzione elargisce debilitano spirito, anima, rendono catatonici e sottomessi. È questo il pensiero di Giuseppe, senza mezze misure.
DI SPIRITUALITÀ, DI NATURA
Quando parlano di spiritualità dei corpi non dicono di preghiera e religione. Dicono di un sentimento, umano e vitale, minato, sotto attacco. «Non vogliono più neanche i nostri soldi, ora vogliono la nostra anima»: lo spirito dei luoghi e della civiltà rurale, la loro anima. «Se prenderanno anche quella cadranno tutte le altre parti sociali», come in un domino. Auspicano una nuova forma di ruralità, un nuovo atteggiamento verso l’agricoltura. Auspicano un sollevamento culturale e dei corpi. Grandi manifestazioni. Altrimenti non potranno mai esserci nuove politiche. È il punto.
Negli ultimi centocinquant’anni l’uomo ha prodotto nel mondo mutazioni tremende che nulla hanno a che fare con la natura. Cambiamenti che hanno determinato squilibri drastici. L’uomo ha creduto che la natura (la t/Terra) potesse funzionare e produrre assecondando i dettami produttivi del capitalismo globalizzato, ma la natura non produce così, attua la massima connessione e condivisione. È altra cosa.
Guido Bissanti ricorda che nel 2021 in Sicilia si è prodotta, anche per mano loro, la prima legge sull’agroecologia, l’unica in Europa. Racchiudeva questo pensiero, ci dice. A tutt’oggi giace accantonata in qualche cassetto. Verrà capita, a poco a poco, quando sarà troppo tardi.
Le mobilitazioni degli agricoltori sono la punta di un iceberg di un modello economico al capolinea. Per quanto il 95% del capitale mondiale voglia determinare la direzione di rotta, la natura sta decidendo per noi e vincerà, non sappiamo a quale prezzo.
Se ci sarà una nuova direzione, dicono, questa dovrà darla il pianeta: «Questo sistema economico è giunto alla fine, che ci piaccia oppure no. La natura sta rispondendo ai nostri attacchi». C’è da essere preoccupati ma c’è anche da essere propositivi, antifragili.
«La “protesta dei trattori” nasce da un malumore che accomuna», ribadisce Guido. Un malessere interiore «che non riusciamo nemmeno a spiegare. “Gemiti incomprensibili”, che dicono: io su questa strada non posso camminare più».
Serve agire da intellettuali, con idee, progettualità. Serve costruire visioni nuove che contengano più certezze possibili, senza false profezie. Serve incontrarsi nell’immediatezza delle necessità, non si può più morire di fame, non possono morire le aziende e gli animali nelle campagne.
Carmelo, dell’Unione Allevatori Sicilia, sono giorni che si arrovella: cosa li ha portati fino a quel punto? «Agricoltori e allevatori, qui, in Europa, nel mondo, non stanno capendo più niente. Quello che prima aveva valore adesso è peccato mortale. Oggi ti dicono che se produci stai perfino creando un danno. Ma quanti incentivi ha dato l’Europa per comprare trattori? Ti dicevano compralo, sarai performativo, sarai più produttivo, sarai all’avanguardia. Adesso quel trattore che hai acquistato inquina, è obsoleto, adesso è un mezzo che devi eliminare al più presto e che al più presto deve essere sostituito, rimpiazzato con l’elettrico.
Lo stesso vale per i suoi animali. Le sue vacche ora inquinano e sono l’origine dei mali del mondo. Agricoltori e allevatori, anche se lo spiegano male, sentono tutto questo come un tradimento, sanno che i loro interlocutori non sono più credibili. Per questo spero che questa protesta non si fermi».
«È un sistema economico che gioca con le povertà e la disperazione. Sa bene che chi è disperato preferisce prendere quei 1500 euro al mese per produrre niente piuttosto che subire prospettive di mercato che a lui non daranno nulla. Come possiamo chiedere a chi fa la fame di fare la rivoluzione?» chiosa Mariangela Cirrincione.
Bisogna spiegare a questo movimento che ci sono alternative. Non è facile parlare di conversione, di eliminazione dei trattamenti ma bisogna cominciare a farlo partendo dal confronto sui malesseri, sugli argomenti che accomunano, trovando punti d’incontro.
«È troppo facile dire che il problema è il contadino convenzionale, che non capisce niente. Quel contadino è stanco, non se la sente di essere eroico, non ce la fa più. È bersagliato su tutti i fronti» riafferma Mariangela.
«Non solo non se la sente più» continua Guido, «sessant’anni di rottura totale da quella tradizione fatta di pratiche, saperi, competenze, oggi gli impedisce di avviare qualunque cambiamento verso un’agricoltura più consapevole. Per questo ci vuole un affiancamento, per questo serve stare al fianco di questi agricoltori. Non servono solo soldi. Serve lavorare insieme culturalmente, socialmente, serve tornare a conoscere i metodi agricoli. Se li lasciamo soli è ovvio che non se la sentiranno di operare un cambiamento. Molti di loro non lo sanno più fare».
PARLARE | UNIRSI
Il gruppo siciliano ha consapevolezza della difficoltà estrema di fare fronte comune. La chiamata a Roma del 15 febbraio è nata già frammentata, ha fatto i conti con le ingerenze di chi vuole assecondare governo, ministero e categorie di settore creando equivoci e confusione. Il conflitto c’è e su molte posizioni. Questo gruppo ha invitato a un confronto per provare ad arrivare a un documento unitario, a una sostanziale reciprocità. Hanno provato a unire ma così non è successo.
Arrivare alla stesura di questo documento, trovare punti di convergenza, è stato difficile: «Non per tutti è facile decifrare il senso e la necessità di un cambiamento agroecologico».
«Gli agricoltori hanno smesso di parlare tra loro» dice Giuseppe Li Rosi. «Una comunione d’intenti non c’è più. Gestire la burocrazia porta a rivolgersi a CAA diversi, ad associazioni di categorie diverse, che tra di loro, a loro volta si scornano». Tutto questo genera ulteriore scollegamento. «Oggi ci ritroviamo a vivere la stessa protesta, anche se proveniamo da esperienze diverse, di contro c’è un sistema che è monolite, che ha tutto nelle sue mani, regole, comunicazione, che è più rapido, efficace nel contrastare il dissenso. Noi siamo ancora allo stato di Armata Brancaleone. Speriamo che il movimento possa prendere forma e solidità, che possa trovare un’unica voce, nella condivisione degli intenti verso un’agricoltura pulita, sana, buona, senza residui».
Solo unendo agricoltori e cittadini potrà avere luogo una lotta sociale ma serve il contributo di tutti, servono intellettuali, serve fare cultura. Serve opporsi all’assolutismo e rivendicare piena presa di coscienza degli individui. È il pensiero ardito di Giuseppe.
Lo sforzo affrontato per ricondurre questo pensiero immateriale alla sostanza scorre sottotraccia nell’elenco di punti snocciolati nel documento. Questioni pratiche, materiali, schiette. Chiedono misure per la salute, per la sicurezza delle aziende e del territorio; un piano di controllo della fauna selvatica (di cinghiali e di daini che hanno invaso Madonie e Nebrodi) e misure contro i roghi; azioni contro la concorrenza al ribasso dei mercati esteri; contro il deprezzamento dei prodotti agricoli; il divieto di ingresso per i prodotti esteri di qualità inferiore agli standard europei; il coinvolgimento diretto di agricoltori e allevatori in tutte le decisioni sul settore.
Le difficoltà raccontate da questo gruppo di agricoltori non sono nuove. Ritornano nei confronti intercorsi in questi mesi con altri presidi agricoli, in Catalunya, nella Valle del Simeto, in Oltrepò, Sardegna, Pianura Padana, India, Grecia, Francia. Un intricato groviglio sta impedendo al mondo contadino di respirare a pieni polmoni. Se ne ha piena consapevolezza. L’augurio è che questa “popolazione evolutiva”, in germinare, perseveri riottosa, che sappia generare pensiero critico e conflitto, che germogli e fiorisca, che produca nuova semenza.
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 32
20 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
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Last modified: 9 Ago 2024