CIBERNETI
Di Francesco Terzago
UN GETTO D’ACQUA AD ALTA PRESSIONE
La linea automatica produce trecento piani cucina
al giorno, ogni giorno, senza sosta. Ventiquattro ore
su ventiquattro. Trecentosessantacinque giorni
all’anno (o trecentosessantasei, se necessario) – le lastre
di pietra da tre-quattrocento chilogrammi sono mosse
dai bracci meccanici con la stessa semplicità
con la quale io posso sollevare un giornale
o una corteccia di betulla e usarla come
un ventaglio; il foro dove sarà ospitato il lavello
è ricavato con un getto largo come uno spillo,
un getto d’acqua ad alta pressione
e graniglia: sabbia né troppo sottile, né troppo spessa,
quella che ho davanti a me è rossa
come un tramonto sulle Azzorre. La provenienza
è incerta: l’universo – almeno quello, il letto
di un fiume immobile. La sabbia si origina per la frizione
tra ghiaccio e pietra e onde, e rocce su rocce,
le mani di qualche divinità senza nome che si sfregano
a vicenda; catene montuose, lineamenti del tutto scomparsi
i cui brandelli ricuciti senza ordine danno
qualche remoto fondovalle alpino invaso dal caprifoglio,
dai laterizi e da quei turisti che amano camminare
per tutto il giorno e intravedere il balzo delle trote,
la stasi dei tritoni, infine le libellule molto aggressive.
GLI INSETTI ASSORBONO IL CALCARE
Con il peso delle dita si distrugge.
La mano la circonda in una gabbia mobile.
Lei vorrebbe volare via ma sbatte da ogni parte.
Deve avere meccanismi più sottili
di una lente a contatto. Si è spezzata.
La colpa è del mignolo che ho mosso
senza accorgermene: l’ho colpita:
il combustibile lascia una macchia
verde sulla maglietta ed è difficile toglierlo.
La pasta per detergere non sempre ce la fa.
Sono ovunque. Escono dal buio
della foresta. Raggiungono l’impianto mentre
i quadri elettrici sono aperti, le ventoline
sono immobili anemoni di plastica. Lo ricoprono
in modo completo: l’arancione della vernice non si vede più,
né i depositi della lavorazione, le incrostazioni litiche;
né gli assi con gli azionatori del braccio robotico
lungo oltre quattro metri. Le ali si aprono e chiudono
mentre gli insetti assorbono il calcare con le spiritrombe.
Migliaia di farfalle che potrebbero decidere per il volo,
scegliere una rotta, senza ritorno. Mi chiedo se siano
capaci di dissolverlo, il metallo: le tonnellate di ghisa
e acciaio e di quanto tempo avrebbero bisogno.
Con la prossima sarò più attento. Troverò
il modo di chiuderla in un pacchetto di sigarette.
Metterò del cotone inumidito con acqua e zucchero
nella parte più bassa, sulla carta accoppiata con l’alluminio.
Per il disassemblaggio della farfalla dovrò aspettare
di essere in garage: diciannove ore di jet:
diecimila chilometri nell’atmosfera.
UN SOGNO A OCCHI APERTI
Abbiamo già percorso settanta chilometri
e ancora non sappiamo dove comparirà
una luce naturale; le nuvole sono una caverna
di ghiaccio sporco; una struttura mobile
dove, tra alcune ore, si registrerà
la fosforescenza che non dà ombre;
forse, avrà smesso di piovere. Pare
che siano freddi chicchi d’uva, quelli
che raggiungono il tetto del furgone,
che si schiantano sui vetri; infinite
frasi d’amore in morse sarebbero distinguibili
se solo disponessimo della potenza di calcolo
sufficiente, quella delle nostre macchine;
ridiamo delle disavventure di uno di noi tre
e parliamo della ragazza di un conoscente
che abbiamo in comune, lei si sta impratichendo:
consuma le domeniche di novembre
senza guadagnare niente. Glieli portano
in tarda mattinata o nel pomeriggio
prima che il sole sia percorso da crepe
come un uovo precipitato – anche tre
o quattro in un giorno. Lei farebbe di tutto
per ricomporli, affinché, nello spazio da cui
se ne sono andati, tornino gli organi avvolti
in uno straccio rischiarato dalla lampada
scialitica. Si stringono i nodi per rimediare
alla deriva del derma e dell’anima,
poi si pulisce il banco dal sangue chiaro.
La ricompensa è fumarsi una sigaretta,
riempirsi le narici di osmanto senza
accorgersene. Guardare le tapparelle
abbassate dell’asilo. I cani da caccia
non retrocedono mai così, i cinghiali,
con le loro zanne, li lanciano per aria
come cuscini rossi. La schiena fa male
quando si consumano le ore su questi sedili ma
c’è l’antidolorifico in busta. Le strade
che percorriamo hanno origine latina
o precedente. Il cemento armato poggia
su ostie di granito trascinato sino a qui,
in epoche inconoscibili. Non c’è tempo
per un caffè alla stazione di servizio,
alle otto di mattina dovremmo essere
nel punto in cui convergono, davanti ai cancelli,
gli autotreni e, grazie a loro, i nostri robot. Abbiamo
lasciato le nostre case quando era buio, sarà buio
quando ritorneremo e questo ci darà la sensazione
che sia stato tutto un sogno ad occhi aperti.
Francesco Terzago
Vive a La Spezia e fa parte del collettivo di poesia performativa “Mitilanti”. Le poesie che pubblichiamo appartengono al suo ultimo lavoro Ciberneti, edito da Samuele Editore nella collana “gialla” di Pordenone Legge. In quest’ultima sua opera Francesco Terzago ci consegna il linguaggio algido di un paesaggio disadorno e minimo, mescolato felicemente a un panorama emotivo di tiepida alienazione, creando quindi in noi, a paradosso e a contrasto, un inatteso tepore dialettico, vitale. Il poeta, scavando nel sottobosco tecnologico del nostro apparato relazionale, ci svela, snudandoci nei gesti e snudandone le gesta, il “dominio pieno e incontrollato” della produzione relazionale e della meccanizzazione emozionale, in cui l’orizzonte macchinico del Capitale e il Nuovo Mondo cibernetico non si aggirano più come spettri probabili, ma come quotidiani ineludibili e incarnati. Al contempo, lampando i suoi versi con la forza seducente dell’incalcolabile, l’autore scalda la fredda apocalisse del nostro destino con l’impreveduta brace dell’imponderato elemento umano. La poesia di Terzago è preziosa perché ci ricorda che in questo futuro colonizzato, dove l’algoritmo ci è sovrano, sopravvive e sopravviverà l’incalcolabile mistero di ciò che saremo. E siamo.
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 26
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org
Crediti immagine: Three Knuckle bone Gaming Pieces – ca. 1550-1458 B.C. – New Kingdom
On view at The Met Fifth Avenue in Gallery 114
Last modified: 9 Ott 2024