ZAZIE NEL METRÒ, LA PANCHO VILLA.
Intervista a Valerio Sputnik & complici
di Mattia Pellegrini e Corrado Chiatti
foto dell’Archivio Zazie
Mattia: Caro Valerio, il nostro incontro, la nostra amicizia, si situa nei giorni delle mobilitazioni studentesche di dieci anni fa. Io mi ero trasferito a Roma per studiare, tu agitavi insieme ad altri Zazie nel metrò.
Zazie, animale multiforme, bar di quartiere e spazio politico.
Zazie, condensatore d’intensità, dentro il Pigneto emblema della gentrificazione romana. Ci interessa capire con te cos’è accaduto in questi anni, le forme d’indisciplina, d’amicizia e inimicizia, ci interessa capire il vostro tentativo di costruire una linea di fuga.
Valerio: Sono passati dieci anni in un istante. Tra drammi che ci hanno fatto rimettere in discussione più volte il senso del nostro agire e crisi che ci hanno spesso lasciato senza fiato. Crisi è una parola che in greco significava anche opportunità, cambiamento. Questo è il lato zen delle storie di Zazie e di quanto le è nato intorno in questi anni.
Nel giugno 2011 tre persone, sperimentandosi nell’amicizia, ragionando su come liberarsi dal lavoro salariato, mettono su un baretto di quartiere.
Con noi c’è una giovane studentessa di fisica che ci affianca e ci sostiene. Inauguriamo i nostri scaffali con il vino di due comuni libertarie: Urupia in Salento e Aurora nel Piceno. Fratelli e sorelle nei momenti belli e in quelli difficili.
Un periodo in cui molti fronti di lotta si intersecavano nello spazio politico: in Val Susa contro il Tav, gli abitanti del cratere e della città de L’Aquila incazzati per la gestione vergognosa dell’emergenza sismica, le popolazioni campane in rivolta contro le discariche nella terra dei fuochi, il movimento dell’Onda a cui migliaia di studenti e studentesse hanno dato vita. Si agitavano, inoltre, una serie di micro conflitti ambientali e una resistenza accanita al protagonismo dei fascisti che rialzavano la testa in quegli anni. A Roma, dalle realtà sociali nasce la RAM rete antifascista territoriale e poi, il collettivo Partizan che fa incontrare un sacco di giovani, a partire dall’antifascismo, su molteplici fronti di lotta. Questo fiume in piena si incontra a Roma, in un primo momento nella giornata del 14 dicembre 2010. Quasi un anno dopo, in un ventre di discordie, fu l’ottobre 2011.
Rientravo dopo qualche anno di lavoro a Parigi. In mezzo a tutto questo movimento prende corpo e si raffina un’idea di Zazie. Un abbozzo che si è poi definito come percorso all’interno della contraddizione di essere un bar che vive di commercio e uno spazio politico che ragiona su come rimettere in discussione la forma di vita metropolitana.
L’intento originario si arricchisce di motivazioni e contenuti quando ci accorgiamo che in un anno intorno a Zazie si è costituita una piccola comunità solidale tra abitanti della via e della piazza. Un porto franco in un territorio ostile, circondati da nemici – il Pigneto è quartiere gentrificato, turistificato e mercificato al massimo grado. Si è costituita una Tortuga, un legame affettivo, una resistenza fondata sul quotidiano, sulla metis, sull’arte di vivere insieme tra diversi nel quartiere. Una comune del crocicchio. Si stringono sempre più forti relazioni con le associazioni di piccoli produttori agricoli a partire da una critica condivisa alla grande distribuzione organizzata.
Insieme facciamo nascere un Gruppo di acquisto Solidale e la Libera Fiera del Territorio mensilmente in piazza Nuccitelli-Persiani. Immediata l’esigenza di un punto di incontro politico permanente accanto al bar che prende corpo nella nascita di Fucina62, in via Ettore Giovenale, dietro l’angolo, sul crocicchio tra questa e via Braccio da Montone. Prolifica esperienza che si esaurisce dopo quattro anni. Nel frattempo nascono in sequenza la Pancho Villa come nostra articolazione rurale in Sabina, il Porco Rosso furgone collettivo e solidale, e infine, da quattro insigni associazioni, nasce Vivèro – luogo di quartiere. con lo spaccio popolare e la prossima libreria.
I tempi cambiano rapidamente. Le persone fanno i conti con gli scenari nuovi e terribili che si affacciano e nel 2014, per una serie di tragiche vicende, mi ritrovo a gestire l’alternativa tra una vita di lavoro bottegaio e chiudere il bar. Io ero convinto della seconda opzione ma dopo lunghe consultazioni tra compas ci si accorge di una terza via: la socializzazione. Giovani e non più giovani compas si organizzano in assemblea il lunedì pomeriggio dalle 15 alle 19, cominciano ad autogestire le domeniche di Zazie con iniziative, presentazioni e cucina, poi via via i turni dell’intera settimana. Si moltiplicano le iniziative, le relazioni, le reti e a metà 2015 siamo in sette, pronti a fare un salto antropologico: trovare un nuovo spazio, adatto al collettivo di lavoro che stavamo diventando mentre sperimentiamo come il lavoro possa trasformarsi in attività creativa al fine di migliorare se stessi e il proprio abitare. In che modo si possa sostituire il lavoro salariato con una libera cooperazione sociale.
Si costituisce la cooperativa di produzione lavoro e il primo di ottobre 2016, dopo quattro mesi di progettazione e lavori di cantiere, salpa da via Ettore Giovenale 16 la nuova Zazie nel metrò. Siamo ancora più numerosi. I rapporti con le piccole case editrici diventano continuativi con i cicli tematici di presentazioni: lotte ambientali e antropocene, stato di eccezione permanente e società del controllo, pedagogia libertaria, critica alla medicalizzazione, gentrificazione e estrattivismo, biografie rivoluzionarie, lotte di genere. Le rassegne musicali diventano luoghi di espressione di differenti ricerche, di incontro tra musicisti, scena di sperimentazione.
Oggi, ci teniamo ancora in forma in tempi di sindemia e potremmo fare un bilancio di questi anni di esistenza per rilanciare. Ricordiamo però che ogni bilancio pubblico è parte dello spettacolo della merce. Pura autorappresentazione mitica di se stessi a fini pubblicitari. Dunque posso dire solo che gestire insieme collettivamente economie, lavori, abitazioni, progetti, amori e amicizie è meraviglioso e per questo ribadisco la mia scelta di vita ormai trentennale. Non è stato mai facile. I campi di possibilità che abbiamo generato non sarebbero stati aperti, se non in un continuo alternarsi di conflitti, incomprensioni, scazzi, inganni, scissioni, prese a male.
Le unghiette dialettiche del gattino ideologico non risparmiano nessuno di noi. È nella soglia tra la paura e il bisogno di saltare per abbandonare questo mondo che nasce il conflitto in noi stessi. Abbandonare il mondo dove le persone pensano prima di tutto a se stesse per donarsi a una forma di vita collettiva, per aprirsi al mondo nel quale le persone si riconoscono, si aiutano reciprocamente, si prendono cura mutualmente le une delle altre, si ospitano, vivono insieme anche se distanti migliaia di chilometri.
Da qui il tema di come profanare la cassa di un esercizio commerciale – il nostro – disinnescandone la sua funzione religiosa finalizzata al profitto, al fine di ricondurla all’uso del soddisfacimento dei bisogni del collettivo.
Quando parliamo di Zazie, parliamo di un’infrastruttura autogestita, di un mezzo di produzione socializzato, di una barchetta fatta di legnetti spezzati, corde rimediate, straccetti logori e scotch scollato che naviga senza paura nella tormenta.
Corrado: La densità e l’intensità delle tue parole aprono a molte traiettorie che in questi anni abbiamo cercato di osservare e attraversare, nella molteplicità delle varie esperienze vissute, sempre sul margine fra tentativi luminosi e maledette contraddizioni.
Certo il pensiero si posa su questo sforzo di continuare a ripensare e ri-costruire una comunità che si nutra delle forme di amicizia e di lotta urbane ma anche rurali, una comunità che abbia il desiderio di abbandonare il mondo, questo mondo del dominio reale del capitalismo, il suo penetrare nella vita organica degli esseri e delle comunità. Sappiamo della vostra connessione a Jacques Camatte, quindi ti chiedo che complice è stato ed è per te (per voi?), e che contrappunto può essere la Pancho Villa nell’orizzonte collettivo? Quali possibilità getta in campo?
Valerio: Lessi i primi testi di Camatte una trentina di anni or sono, consiglio di un vecchio amico che negli anni Settanta militò in una forte organizzazione armata. Trovai profonda risonanza e buone parole per esprimere i miei sentimenti. Strumenti preziosi per mantenere le distanze dal ciarpame ideologico socialdemocratico e dal dirigismo leninista. Per non farmi incantare dalle giravolte del riformismo benecomunista, per mettere in discussione il mio posizionamento nel mondo. L’incontro con quest’uomo meraviglioso è stato un avvenimento insperato, un ricco dono che io ho sentito a mia volta di socializzare attraverso due incontri organizzati tra Zazie e La Pancho Villa.
Il Capitale produce la vita stessa, appropriandosi di tutto il tempo e di ogni atto delle persone contabilizzate nel suo processo di valorizzazione. Mentre gli esseri umani diventano prodotti, merci, cose, il capitale realizza la sua comunità. Un processo che lacera i legami sociali e produce macerie nella psiche individuale e della specie. È necessario, a partire da se stessi insieme alla propria comunità, produrre un’inversione. Dialogare con la vita, sentirsi parte dell’intera comunità di tutti i terrestri, aprirsi al mondo, all’imprevisto. Se, in ogni geografia e in ogni tempo, è la nuda vita l’oggetto delle tecniche del potere, allora è la vita tutta intera da ripensare. Siamo in volo in questo afflato planetario. Diamo pratica a tale ispirazione.
La Pancho Villa è un’esperienza libertaria autogestita, al suo sesto anno di età, con la biblioteca e la distribuzione di libri, il birrificio artigiano BierLab, l’orto, l’uliveto e il piccolo alveare, la tessitura di una rete di sodali in Sabina. Puntiamo all’autodeterminazione alimentare attraverso la costruzione di infrastrutture sociali e di mezzi di produzione collettivi.
È iniziata già, ora e qui, una modalità praticabile di vivere, fondata su mutualismo e convivialità. Si tenta incessantemente tra noi di far fuori il paternalismo, il leaderismo, il senso del possesso… il più delle volte fallendo, ancora e sempre meglio. Non evitiamo mai le contraddizioni. Le svolgiamo come unico modo per pervenire a stati di consapevolezza più avanzati.
La Pancho Villa e la sua vita comune agreste serve a migliorare le nostre condizioni nella lotta. È una critica pratica all’accentramento e alla verticalizzazione. È un appello alla diffusione molecolare e polisemica delle situazioni comunitarie, è un’esortazione a che mille comuni autonome di sussistenza, autodifese, in rete tra loro, sboccino!
Mattia: L’ultima domanda riguarda il modo in cui avete affrontato, e continuate ad affrontare, lo stato d’eccezione legato al Virus. Quali immaginari nella tempesta?
Valerio: Attraverso l’uso delle buone pratiche mutualistiche abbiamo ridotto il danno, mantenuto attive le nostre relazioni con le campagne, abbiamo continuato a tessere legame sociale nei territori in cui siamo radicati, a veicolare contenuti critici, a sviluppare progetti condivisi. Un anno è trascorso e dall’inizio del coprifuoco le nostre attività vitali hanno subìto rallentamenti e fermate in relazione ai singhiozzi imposti agli spazi di aggregazione, alla paura di contrarre il virus e di trasmetterlo, alla solitudine generata dalle misure di distanziamento. La gestione autoritaria della pandemia produce già tre catastrofi al contempo, una è sociale, l’altra è ambientale, la terza è quella psichica. Il rischio estinzione è già in corso.
Qui non si rimpiange nulla di ciò che era prima. Anzi! E non siamo stupiti: lo stato d’eccezione a cui i governi ci hanno abituati da tempo è veramente diventato la condizione normale. Noi, in difficoltà come tutt@, tra potature di ulivi e iniziative editoriali, tra letture collettive e assemblee in piazza, cerchiamo di attivare luoghi adatti al libero sviluppo di una vita gioiosa, piena, degna, ospitale, in via di guarigione dalla peggiore di tutte le malattie: la falsa coscienza.
Cerchiamo di essere, col nostro sacro poco, un movimento reale che abolisce lo Stato della vita presente.
da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 20
16 pagine | 24x34cm | Carta Nautilus Classic gr 100 | 2 colori
Last modified: 22 Mar 2024