L’audio di questa lettura è stato registrato da Paolo Bellati il 5 Aprile 2020 ed è disponibile qui:
Il genius loci del Ticino
Il rapporto col cibo è stato (più raramente lo è ancora) rapporto con la natura e con la storia di un luogo, con un territorio. Oggi, soprattutto nelle metropoli, il cibo è il grimaldello dell’omologazione, della gentrificazione, della turistificazione, della gastrificazione. Il cibo della memoria è, in ogni caso, il ritratto personale di ognuno
di Paolo Bellati
illustrazioni di Andrea Rossi*
Non tutti leggono mentre tutti, al contrario, mangiano;
la cucinaria è la più antica forma di cultura popolare,
per eccellenza orale, anche se di un’oralità incoativa.
Piero Camporesi
Se devo raccontare del cibo della mia memoria e della mia formazione non posso fare a meno di tirare in ballo il genius loci del Ticino, il genio tutelare del luogo in cui sono nato e cresciuto, natura e cultura del luogo in cui sono tornato a vivere a un certo punto: l’abbiatense, a sud ovest di Milano. Terra grassa, terra d’acqua e contadina. Oggi anche terra di periferia. Non posso fare a meno di tirare in ballo anche la mia famiglia di acqua dolce se voglio parlare di cibo della mia memoria. Mio padre è nato e cresciuto sulla riva ad Abbiategrasso, sulla sponda destra del Naviglio Grande. Sua mamma, mia nonna, è arrivata ad Abbiategrasso dal Lago di Garda quando aveva sei anni per fare la serva al dottore del paese. Mia mamma è nata e cresciuta a Cassinetta di Lugagnano, qualche chilometro prima di Abbiategrasso, paesino attraversato anch’esso dal Naviglio Grande. I miei, entrambi di famiglia contadina, si sono conosciuti sul treno che li portava a Milano a fare gli operai. Erano gli anni di quando i contadini diventavano operai, l’inizio della fine di un mondo che sarebbe scomparso da lì a poco e non sarebbe più tornato. Il Ticino ci avrebbe messo ancora un po’ a non essere più quello di una volta, le sue acque sarebbero rimaste azzurre e pescose ancora per un po’.
L’abbiatense come dicevo è terra d’acqua, di bosco e campagna e per proprietà transitiva lo è stata anche la mia famiglia. Mio padre cacciatore, pescatore e raccoglitore del Ticino fino a ottant’anni ha fornito materie prime per la nostra cucina di casa. Materie prime trasformate in cibo dalla mia mamma. Abbiamo sempre vissuto in appartamento, ma i frigoriferi (al plurale perché erano più di uno) e i balconi erano sempre pieni di pesci e selvaggina di piuma e di pelo. Anche nella vasca da bagno ci finivano le anguille e le tinche a spurgare (e ogni tanto alla notte ci si svegliava perché qualcuno riusciva a saltare fuori… prendila un’anguilla nel bagno!).
Il fiume per noi era sostentamento. Si usciva in barcè (barca) e si pescava con la canna, con il quadrato (la bilancia), con il tremacc (rete), la sfrosna (la fiocina) e… le mani. Era generoso il Ticino, donava vita, ma se la prendeva anche, tra corrente, buche, mulinelli e piene.
La regina del Ticino era la trota marmorata (oggi è rarissima incontrarla). Ne ricordo una di 10 chili. Di solito mia mamma, dopo che mio padre la eviscerava sul tavolo della cucina, la faceva lessa a tocchi in acqua con l’alloro, il sedano e la carota. Di contorno patate lesse col prezzemolo e maionese fatta con le uova del pollaio. Quelle più piccole le friggeva infarinate con il burro e la salvia.
Il principe del Ticino è il temolo. Un mito eterno, che quando ero bambino io non c’era già più e non è più tornato. Il temolo vuole acque pulite, acque pregiate. Quando i vecchi lo nominano sorridono rassegnati e lo sguardo si illumina, gli viene l’acquolina in bocca, deglutiscono e dicono sempre “era un pesce che non sapeva di pesce, profumava, non puzzava, profumava di timo, cetriolo e anguria, non aveva le resche (lische) a parte quella grossa (quella centrale), la carne soda e magra… che buono!”.
Ricordo che mio padre insisteva per farmi mangiare il luccio in umido che a me non piaceva (il pesce che insieme allo storione si contende la corona da re del Ticino). Preferivo l’anguilla sulla griglia o in carpione (cosa darei per un’anguilla tagliata a tocchi e messa sulla brace col grasso che cola sul fuoco, quello sfrigolare e quel fumo profumato…). L’anguilla anche lei ormai fa fatica ad arrivare da noi, col suo pazzesco e misterioso viaggio, a superare chiuse e sbarramenti.
Comunque la frittura di pesciolini era la mia pietanza di fiume preferita, una festa. Io ero l’addetto alla raccolta di questo argento vivo: mio padre faceva un lancio preciso con la bilancia e una nuvola di arborelle e vaironi arrivava sulla riva, tra i sassi. Se nella frittura c’erano bottine (un pesce che assomiglia a un girino), useline (cobiti) e lamprede (simili a delle minuscole anguille)… frittura della memoria.
Questa per me è roba veramente gourmet. Ormai introvabile in qualsiasi pescheria o ristorante. O te le peschi da solo, con le mani, in qualche fontanile di acqua pulita o non potrai assaporarli. Sono riuscito a mangiare l’ultimo piatto di fritto misto con bottine e lamprede un paio di anni fa a casa dei miei, mio padre ne aveva prese un paio di manciate in un fosso che lambiva il suo pollaio. Abbiamo aperto una bottiglia di lambrusco di Denny Bini, mi sono emozionato.
La selvaggina è un altro capitolo
Il germano reale è sempre stata la cacciagione che preferivo: arrosto, dopo aver passato una notte immerso nel latte. La lepre e il cinghiale in salmì da piccolo non mi piacevano proprio, ma ricordo l’entusiasmo di mio padre quando tornava con una lepre e i racconti dettagliati della cattura della preda mentre la si mangiava contornata da qualche pallino di piombo che si sputava nel piatto. La marinatura del salmì era importante, controllata e preparata con cura: vino rosso, pepe, lauro, cipolla, carota, sedano, chiodo di garofano, aglio. Le ultime qualche anno fa, con la barbera La Sopa di Claudio de La Viranda, il Gaggiarone di Annibale Alziati e il Barolo di Nadia Curto, mi hanno fatto apprezzare quello che non apprezzavo da bambino. L’epoca delle lepri ormai è quasi finita, ci sono tante minilepri, ma questa è un’altra storia. Il fagiano è un’altra selvaggina finita da queste parti. A parte quei pochi del Ticino, gli altri si trovano solo durante la stagione di caccia e sono polli tristemente mollati (lasciati andare) qualche giorno prima dell’apertura della caccia. Sono il simbolo di una caccia triste e insensata. Che belli che erano i fagiani che portava a casa mio padre, i maschi avevano delle piume bellissime e code prestigiose. Mio padre ci teneva a non rovinare il piumaggio e li lisciava per bene quando li doveva regalare ad amici e parenti o barattare con Parmigiano Reggiano al Peck di Milano (il tempio della gastronomia milanese li metteva in esposizione e in vendita). Il fagiano mia madre lo cucinava spesso e volentieri arrosto avvolto in fette di pancetta, il petto lo faceva impanato. Sul tavolo della mia cucina ho visto un sacco di altra selvaggina da piuma: la regina del bosco è la beccaccia, la più difficile e rara da cacciare, perché ce ne erano già ai tempi poche e perché quando vola lo fa zizzagando, mia madre la faceva arrosto. E ancora, le pernici e i colini (all’uva bianca); le gallinelle d’acqua, i piccioni col risotto…
Un ultimo capitolo, a parte, è quello delle piante e dei funghi.
Per le piante ci metto lurtis (i germogli di luppolo selvatico). In primavera inoltrata, a caccia chiusa, dal bosco e dalle campagne mio padre portava a casa questi mazzetti per una bella frittata, precedentemente passati in padella con il burro o, in abbondanza, per un bel risottino. Un’abitudine che non ho perso.
Per i funghi, la caccia al tesoro, il porcino e il gabirò (chiodino). Ogni anziano il suo posto e le sue piante per i porcini. Segreti da custodire. Il rammarico che ho oggi è che mio padre non mi ha lascito in eredità le sue piante e i suoi posti. Il nero e il bianco (come per i tartufi, solo che qua il nero è più pregiato del bianco) crudi, freschi e da far seccare. Risotti importanti nei giorni di festa, col sugo di pomodoro alla domenica, alla festa del paese (la terza di ottobre) e per Natale. Chiodini in abbondanza, a cassette. Sott’olio quelli piccoli e sani, da congelare tutti gli altri dopo averli sbollentati. Almeno una volta all’anno ancora oggi bisogna mangiarli con la polenta, il sugo di pomodoro, la salsiccia, la coppa, aglio, olio e prezzemolo.
La ricetta che voglio lasciarvi è la più scorretta e immagino anche la più disgustosa per molti, ma mi sembra che sia rappresentativa di un mondo che non c’è più (per fortuna dirà qualcuno): Pulenta e usei.
Mio padre nelle domeniche d’inverno con la nebbia, il freddo ghiacciato e con la neve si metteva seduto su una sedia affacciato alla finestra della camera da letto di mia zia. La finestra dava sul pollaio, di fianco alla sedia c’era il suo flobert calibro 9. Sparava agli uccellini, tra le lamentele di mia zia e mia madre che però lasciavano fare perché poi avrebbero gradito anche loro. Passeri, pettirossi e merli. Il mio compito era scendere nel pollaio dopo lo sparo, a raccogliere l’uccellino e metterlo da parte. Nella memoria ho il ricordo del sangue sulla neve. L’uccellino spennato, lavato e pulito va infilato nello stecco dove vanno infilati anche della salvia, della pancetta e del lombo. Si fanno rosolare a fuoco vivo con burro, olio e pepe. Si sfumano con vino bianco, si portano a cottura per circa un’ora bagnando col brodo. Una volta pronti si mette la polenta nel piatto (scegliete una farina di mais di qualità, macinata grossa) e sopra si versano tre quattro cucchiai della pucia degli uccellini e lo stecco. Io non ce l’ho mai fatta, ma i miei mangiavano tutto con gran piacere, ciucciavano gli ossicini e sgranocchiavano di gusto le testoline.
Non so se questo tempo sia stato migliore o peggiore, ma sicuramente è stato più saporito.
*Andrea Rossi, sketcher urbano e di campagna, vive tra Milano e il nascondiglio dei giganti.
Questo testo compare nel libro Attorno a una ricetta. Ricetta racconto ricordo, a cura di Giorgia Brianzoli e Marzia Mirabella.
da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 15
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
Last modified: 16 Ago 2023