ARDORE
di Tommaso Di Dio
Libro Primo
ove si raccolgono
le parole esatte che Ardore inviò
nei sogni dei suoi più fraterni amici
dall’oltretomba
*
È stata una sera come tante.
Con i discorsi dentro, le azioni; e il volersi
bene degli umani.
Poi, il giorno dopo, all’alba il sole
irrora lentamente
le pietre di basalto chiaro
e il glicine spento. I cofani delle macchine
di rimando, risplendono
di una luce semplice
attraverso gas e vetrificanti industriali.
La mia città al mattino sembra
una carcassa di cavallo morto
abbandonata
dentro un grande bosco e innamorata.
Le api scoprono grotte e le aprono
dentro dolcissimi figli.
Hanno ambizioni, armadi, frigoriferi.
Hanno lavastoviglie, blastomi, pissidi.
Hanno preventivi, vernici, abbracci.
E poi la luce, la luce. Come un’ossessione.
La luce ti investe
dai finestrini, dai tram; da dove viene
questa che sorge
e sorride
e chiama. È capacità
altezza scoglio? Produce risvegli
altezza scoglio? Produce risvegli
stana?
Sui prati sporchi
di alberi e cartacce; ai bordi
batte sparsa pulsa
la luce di un
frantumato cielo.
Libro Secondo
ove si ascolta
dalla voce dei suoi carnefici
il modo in cui Ardore trovò la morte
mentre si odono i suoi ultimi pensieri
e si leggono alcune lettere scritte in vita
contemplando immagini a lui care
V
Ci comunicano
che si sta avvicinando. Sta girando
verso un centro ancora, per lui, non visibile.
Ma si avvicina procede. Non ha paura, pare, chiede
e sostiene interroga. C’è qualcosa di noi
che ancora non sa. C’è qualcosa di noi
che forse sospetta, infatti chiede interroga sostiene
ma non sa, non ancora, non ha forse
compreso cosa gira nel giro di un cerchio e gira
verso un centro, minuscolo
spazio buio, che lo chiama lo guarda
lo scruta lo desidera
e si avvicina, siamo due occhi
in un incendio, nella sabbia nella nuvola nel cielo
c’è qualcosa
di noi, che ancora non vede, non sa. Noi
ardiamo.
VI
pensieri di Ardore
Ai tavolini con i poveri. Ai tavolini.
Ai tavolini parliamo nei mercati.
Ti ascolto ti registro. Ai tavolini con i poveri.
Ti chiedo ti interrogo: vorrei sapere. Ai tavolini
nei mercati per le strade
fermi alla fermata del bus.
Ai tavolini con i poveri. Ti ascolto ti registro.
Quanti anni hai quanti figli hai. Posso?
Per le strade ai tavolini con i poveri.
Ti chiedo ti interrogo. Quanti figli hai?
Qual è il tuo reddito? Vorrei sapere.
Hai mai avuto un’assicurazione? Hai mai avuto
una contrattualizzazione? Reddito.
Lo stato di salute la tua povertà. Reddito.
Per le strade ai tavolini. Posso?
Quando lo stato ti garantisce.
Quando lo stato non ti garantisce.
Con i poveri ti ascolto ti registro. Ti seguo.
In macchina in motorino. Ti vedo.
Mi vedi mi senti? Puoi ripetere?
Fammi vedere dove vivi. Fammi vedere dove.
Ti pagano? Chi ti paga sei contento?
Ai tavolini con i poveri. Una più equa
distribuzione del prodotto se questo è.
Ci vediamo ai tavolini con i poveri.
Ti ascolto ti registro. Posso?
X
Ci comunicano
che hanno trovato hanno visto hanno fotografato.
Hanno rovesciato hanno aperto
sono documenti appunti immagini.
L’analisi contribuisce a determinare
la sostanza non neutrale del soggetto.
XII
Ci comunicano
che hanno prelevato il soggetto.
C’è qualcosa di noi che fino ad ora
non conosceva e adesso conoscerà.
C’è qualcosa di noi – anche per noi
indagare verificare conoscere, scoprire
indagare verificare conoscere. Anche noi
dobbiamo capire.
Danza delle torce
da ripetere per 10 giorni
Con l’aculeo. E sanguina
da tutte le parti. Noi entriamo
nei suoi universi più molli. Ci addentriamo
meandro dopo meandro, tra i frenuli, gli epiteli. Affondiamo
meandro dopo meandro, tra i frenuli, gli epiteli. Affondiamo
nei globi. Nei lobi. Nei capezzoli pure e con le pinze
attaccate al prepuzio e ai testicoli, scarichiamo
elettricità per il suo corpo. E il suo corpo
trema. Scuote. E vomita
il fiato che quasi più non ha. Ma nello stomaco.
E fra le feci. Noi troviamo la traccia.
La prova. La bava. Sul petto, gli sputi l’acqua
gliela buttiamo addosso e sulla faccia con un secchio
di piscia sporca dopo la fiamma perché
non deve svenire. Perché deve sentire. Perché
non deve negare, perché deve dire
tutto ciò che non sa. E continueremo ad inoltrarci
nella sua vasta terra corporale; ad indagare
i nudi suoi orizzonti infiniti, fra carne e carne,
palpebra dopo palpebra, ad ampliarne
i confini e a disgiungere, a terremotare. Finché questa lingua
dalla sua bocca si stacchi; e da sola sia per tutti arco
crepidoma volo annuncio
vento maestro, refresh
di quanto ci fu promesso
millenni fa, in un roveto, in enigma e in parabola
e sanguina, con l’aculeo
da tutte le parti.
Libro Terzo
ove si racconta
per brevi capitoli alcuni episodi
della vita infantile di Ardore
e si dà esempio di alcune sue straordinarie doti
*
Bellissimo era stato nascere.
Vescica molle, labbra
di un asino a sangue.
Il sale sulla bocca e subito
aveva urlato urla
cacava meconio e poi un fischio rancido
con le branchie
da togliere il fiato a tutti.
Poi basta. Più nulla niente stop.
Allora avevano
spaccato gli orologi. Avevano
spento la candelina.
E invece no. Qualcosa in lui
batteva e da quel giorno
lo chiamarono Ardore.
Libro Quarto
ove si racconta
il concepimento amoroso
di Ardore
*
secondo genitore
Ho voglia di stare con te.
Ho voglia di passare del tempo con te.
Ho voglia di scriverti di parlarti
di camminare al tuo fianco e di ascoltarti di sorreggerti
di vederti respirare la notte nudo nuda sul letto.
Ho voglia di stare con te, ho voglia
di passare del tempo con te di vederti
vivere parlami dimmi qualcosa
sussurrami sempre
vieni qui
parlami del vento e della pattumiera
del telefono delle vacanze del lavoro del nulla
ho voglia che tu
viva una vita stupenda.
*
primo genitore
C’è questo freddo.
Ed è dicembre, con le luci alle finestre
il neonazismo negli schermi e altrove la guerra, i maglioni
che salgono dagli armadi. Si fanno più scuri, baluginano
i mattoni alle pareti. Vengono
e ti trovano in un punto scoperto, lì
fra le vene sulla pelle; come qualcosa di quando eri
e non eri
nemmeno un nome. E adesso invece sei, ti dici: esisti.
Sei nella storia, nel lavoro; nell’umano
consorzio di vicende
matrimoni monete mutui; e hai
sul vetro la fronte adulta. Con le mani chiuse. E con i libri.
Ti trovi a guardare il mondo
e la sua ombra crescere. Ed è dicembre. Chi sarò
chi sono stato e chi sono
si incontrarono in un punto sopraelevato, davanti
ad un buco nel terreno, dopo tanti
laghi e boschi. Si fissarono, uno
nelle pupille dell’altro, mentre il respiro si faceva
nuvola nell’aria e con questo
freddo
di questo freddo
fecero il fuoco di un addio.
Libro Quinto
ove si racconta
di come avvenne l’incredibile
e indubitabile
resurrezione di Ardore
*
Qualunque cosa sia. Chiunque sia. Quell’uomo
è insanguinato. E canta.
Non fa altro, se ne sta
sotto la curva di laterizi, sotto lo scroscio di dicembre.
Ha una mano sulla testa, sta
con una mano, sulla testa. È insanguinato
non fa altro, canta
sotto la nuvola che si sparpaglia, sotto un cielo che sa
di piombo e letame.
È senza fissa dimora. Sembra Orfeo. È un immigrato.
È un imprenditore. Un mussulmano. Mangia maiale.
È un cristiano, è un ebreo
mandato in croce un maledetto un impiegato
delle poste del comune al bar
guida un pullman, cammina per strada. A volte lo vedi dorme
scarabocchia sulla sabbia. Uccide, è ucciso. È un uomo
ed è irraggiungibile.
E mi raggiunge
non come suono, non come immagine.
E mi raggiunge
non come pensiero, non come idea. Non è, non sta
non in negazioni non in affermazioni non in dubbi.
È insanguinato, canta
non fa altro, se ne sta
con la mano sulla testa, con una mano sulla testa.
Mentre il fegato. Mentre il cuore.
Mentre il polmone. Mentre le stelle. Mentre dentro di lui
tutto il movimento scava
prende spazio, dirama
le sue possibili luminosità di vita umana e disumana, eccolo.
Arde. È un incendio.
Guardiamolo. Contempliamolo.
Diventiamolo.

“Ardore” di Tommaso Di Dio è la storia-viaggio che, transitando e passando di corpo in corpo, ci racconta la vita di chi ha scelto di non quietarsi e arrendersi allo stato delle cose, ma al contrario di indagarlo, morderlo, sovvertirlo, arderlo: con le ali di cera di un generoso martirio, la croce di una fracassata ma inspezzabile utopia. Di Dio, nel disegnarci/suonarci il viaggio vitale di Ardore, usa diversi timbri edili, lo fa con dissimili e vicini cantieri costruenti, attingendo a materiali e linguaggi puntualmente disomogenei, eleganti, irati, rigorosi, sinceri, trasmutando e accorpando in un’unica identità fisica l’afflato munifico e l’eredità eretica, ostinata e imperduta dei ribelli. Innescando così in noi (alla morte e alla resurrezione inarrestabile della Storia) la ragionata e naturale speranza che Ardore non ci abbandoni mai. Perché, in fondo, se è vero che interpretare il Mondo non basta, è sempre più vero che urge cambiarlo.
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 35
20 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org
Last modified: 23 Apr 2025