FINE DELLA VITE?
Di Francesco Paniè

In settembre il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, tramite decreto, ha autorizzato la sperimentazione in pieno campo di piante Vitis Vinifera, varietà Chardonnay, modificate geneticamente. Se con quella sul riso, in Lomellina, si è tentato di aprire la strada a queste tecnologie, con il via libera alla sperimentazione sulla vite, nel profondo Veneto, si minaccia un patrimonio culturale fatto di specificità storiche, territoriali e relazionali. Se per la vite il rischio di impollinazione e incrocio (forse) è remoto, è sicuro che se queste piante messe a punto nei laboratori prenderanno piede, comprometteranno le varietà autoctone con la presunzione di essere i cloni migliori e più resistenti (ma è tutto da dimostrare!). Queste sperimentazioni sanciscono monopoli, controllo e monetizzazione, dei semi, delle piante, dei mezzi di produzione, delle viti e delle vite.

La domanda di testare nell’ambiente centinaia di piante di vite viene da due enti di ricerca. Il primo è la società Edivite, spin-off dell’Università di Verona, che intende manipolare il genoma dello Chardonnay. Una prova si tiene presso il campo sperimentale del Dipartimento di biotecnologie con sede a Villa Ottolini Lebrecht a San Floriano, frazione di San Pietro in Cariano in Valpolicella, l’altro è a San Pietro Viminario, a Padova, presso l’azienda agricola Vititaly, in via Roma 34/A.

A queste domande si aggiunge quella proposta dalla Fondazione Edmund Mach di Trento, anch’essa sullo Chardonnay. La speranza è ottenere riscontri di una presunta resistenza alla peronospora. L’altra speranza, che sovente accompagna il lavoro dei ricercatori in biotecnologie, è brevettare il risultato e venderlo al miglior offerente. Di norma, quest’ultimo, è una grande azienda sementiera, capace di sviluppare la tecnica su scala industriale e portare sul mercato un organismo geneticamente modificato, totalmente privato, da vendere agli agricoltori.

Eppure la minaccia degli OGM sembrava scongiurata, dopo che negli ultimi vent’anni i movimenti contadini, le organizzazioni ambientaliste e dei consumatori, perfino la Coldiretti e le catene di supermercati, avevano remato – in qualche modo – nella stessa direzione, battendosi contro l’introduzione di piante e cibi geneticamente modificati nell’ambiente e nel mercato.

Questa battaglia è stata combattuta su scala europea con i più vari mezzi. Abbiamo visto campagne di sensibilizzazione, presidi, manifestazioni, ma anche vere e proprie azioni di falciatura dei campi sperimentali. Ideata dai contadini francesi della Confederation Paysanne, la mietitura dei faucheurs volontaires è divenuta azione di massa, condotta a volto scoperto da persone che hanno scelto di prendersi responsabilità legali pesanti, per rendere pubblica la netta contrarietà delle comunità rispetto alla manipolazione del loro cibo con l’ingegneria genetica.

Dalle lotte a vari livelli sono scaturite norme abbastanza stringenti che oggi regolano il commercio e la coltivazione di OGM in Europa. In particolare, gli obblighi di valutazione del rischio, tracciabilità ed etichettatura, uniti alla libertà degli stati di vietare la coltivazione sul proprio territorio, hanno sostanzialmente tenuto queste colture fuori dal nostro continente, con l’eccezione (notevole) delle importazioni di mangimi. Troppo scomodo, per le multinazionali che le producono, dover apporre un’etichetta sui prodotti finali, garantire la tracciabilità lungo la filiera e produrre valutazioni dei rischi ambientali e sanitari. Con tutta questa precauzione, il mercato si riduce a dismisura, perché le persone hanno la possibilità di scegliere e gli agricoltori possono rivalersi contro la contaminazione.

Allora perché questa rinnovata passione di ricercatori e capitale per qualcosa che da noi non ha richiesta? La risposta è semplice: il mercato si può sempre creare. 

I promotori di un’agricoltura industriale fatta di biotecnologie, ipermeccanizzazione e intelligenza artificiale hanno capito che basta aggiornare la narrazione. Sanno che sono le storie a costruire la Storia. E hanno cominciato a raccontarne di nuove. Storie di nuove tecniche capaci di modificare l’intima struttura della vita in modo preciso, puntuale, chirurgico ed efficiente. Descrivono l’avvento di una nuova ingegneria genetica, emersa negli ultimi dieci-quindici anni, diversa e più moderna di quella che ha prodotto gli OGM e in grado di dar vita a prodotti indistinguibili da quelli che vengono dalla natura o dalla selezione dei contadini. 

Perché chiamarli OGM allora, se sono identici a quelli che crescono fuori dai laboratori? Perché sottoporli a lacci e lacciuoli burocratici che impediscono all’innovazione di risolvere i gravi problemi dell’agricoltura e della sicurezza alimentare? Di fronte a conflitti geopolitici, cambiamento climatico, aumento della popolazione globale, pensiamo davvero di poter fare a meno della biotecnologia?

Chiunque rifiuti una deregolamentazione completa delle Nuove Tecniche Genomiche (New Genomic Techniques – NGT) è contro il futuro, dicono, preda di teorie del complotto sempre più diffuse in questa società dove resiste una minoranza incapace di comprendere che l’evoluzione della tecnica è la via per la salvazione. Una minoranza che non si fida della Scienza e della sua intrinseca positività.

Questa storia è la base di un’operazione condotta su scala mondiale da gruppi d’interesse ben definiti, che intrecciano ricerca pubblica e privata, principali imprese agrochimiche e farmaceutiche, filantropia e giganti del digitale. Big-Ag, Big Pharma e Big Tech stanno operando una forte convergenza con il sostegno di governi e centri di ricerca, per trasformare profondamente non solo i sistemi alimentari, ma l’intero ambiente dove si dispiega la vita ogni giorno. 

Per semplicità, questo racconto si muoverà soltanto lungo quel filo sottile che collega questo complesso agro-tecnico-industriale ai vignaioli e agricoltori immersi nei preparativi della Fiera Feroce. 

Un approfondimento più compiuto si può trovare in “Perché fermare i nuovi OGM” (Terra Nuova Edizioni, 2024). 

Per fortuna, agli appuntamenti de La Terra Trema si raccontano anche altre storie. Si racconta che le tecniche di modificazione del genoma di nuova generazione non sono poi così precise, puntuali e chirurgiche. Con sempre maggior frequenza emergono prove che i loro tagli nel DNA degli organismi viventi sono piuttosto disordinati e dall’esito non controllabile, con effetti sconosciuti sulla salute e la sicurezza. Si racconta che c’è una grande differenza tra le piante selezionate in campo da quelle prodotte in laboratorio, e che questa differenza si chiama “brevetto”. 

I brevetti sulla vita sono illegali in Europa, così come quelli su processi essenzialmente biologici. Nessuna pianta ottenuta da selezione convenzionale o contadina si può brevettare. Quelle realizzate in laboratorio invece sì. Utilizzare la biotecnologia per spostare una sequenza genetica e traghettarla dentro un nuovo individuo, così come rimuoverla per privarlo di una funzione, è considerato un processo inventivo brevettabile.

Il brevetto è un diritto di proprietà intellettuale che rende il suo detentore una specie di sovrano assoluto, con pieni poteri su chi può utilizzare la sua invenzione e a quali condizioni. Brevettare una sequenza genetica è possibile quando a essa viene associato un carattere, come la resistenza alle malattie, la tolleranza alla siccità o un aumentato contenuto nutrizionale. Sancire questa correlazione e ricavarne un brevetto fa sì che tutti gli organismi in cui quella sequenza è presente, passino automaticamente sotto il controllo dell’inventore. 

Per chi di mestiere seleziona piante senza le biotecnologie, questa è una iattura, perché nel suo lavoro sarà costretto a fare costose ricerche per evitare cause legali per uso di materiale brevettato. Ciò significa che le operazioni di incrocio e selezione, che ancora oggi rappresentano il modo in cui si riproduce la gran parte della biodiversità nel mondo, sono a rischio. E l’esito di una liberalizzazione dei nuovi OGM sarebbe la fine delle piccole aziende sementiere, inglobate dalle multinazionali perché incapaci di fronteggiare i costi della cosiddetta “freedom to operate”, l’analisi che occorre per assicurarsi di non aver inavvertitamente usato germoplasma coperto da brevetto. 

C’è di più. Immaginiamo un campo di nuovi OGM e un terreno coltivato a biologico vicini tra loro. Gli impollinatori trasferiscono polline da uno all’altro e la sequenza brevettata migra nel campo biologico. La contaminazione sarebbe di per sé sufficiente a far cadere la certificazione bio, che vieta l’uso di OGM in tutte le fasi della filiera. In più, se venissero aboliti i meccanismi di tracciabilità, rilevamento e identificazione oggi obbligatori, l’agricoltore biologico non potrebbe nemmeno difendersi in tribunale da una accusa di violazione di proprietà intellettuale. Trattato come ladro di brevetti, vedrebbe sequestrare e distruggere il proprio raccolto oltre a perdere lo status di coltivatore biologico.

Queste sono alcune delle storie che si raccontano alla Fiera Feroce, per mettere in guardia chi produce il nostro cibo e il nostro vino da una minaccia esistenziale descritta come cura per ogni male della contemporaneità. Immaginare piante resistenti agli shock climatici, oltre che più performanti e nutrienti, è incoraggiante. Lo è anche pensare che qualcun altro faccia la fatica di scoprirle e distribuirle ai contadini. Ma chi ha scelto di lavorare avendo come soffitto il cielo sa che nulla è mai semplice come viene descritto. Le magnifiche favole narrate dai ricercatori, dalle aziende e da qualche tempo anche dalle grandi associazioni di categoria, hanno una pecca: non hanno riscontri nella pratica.

Gli altri racconti, invece, purtroppo si basano su fatti acclarati e documentati, impossibili da eludere. Trent’anni di OGM hanno mostrato che la biotecnologia non ha ridotto la fame nel mondo, non ha arricchito gli agricoltori e non ha contenuto l’impiego della chimica. Tutti gli indicatori convalidano queste affermazioni. Chi ci ha guadagnato, allora? Un pugno di grandi aziende, sempre meno, che governano il mercato globale delle sementi e dei prodotti chimici per l’agricoltura. E qualche scienziato che ha lavorato per loro.

Non vi è ragione di credere che i “nuovi OGM”, basati sulle stesse identiche premesse degli altri, avranno un destino diverso. 

La vite è una delle specie vegetali su cui si concentrano più sperimentazioni con le New Genomic Techniques. Le ragioni principali sono due: una economica e una culturale. Il vino, infatti, è un mercato molto importante, soprattutto per Italia, Francia e Spagna. Nel nostro paese l’export vale quasi 8 miliardi di euro. Se non fosse per la vite e il vino, avremmo un deficit nella bilancia commerciale. Ma è anche un prodotto culturale. L’introduzione di OGM nel principale prodotto culturale di tutta l’Europa latina è la chiave per facilitare l’accettazione pubblica dell’ingegneria genetica nel cibo. Certo dovrebbero spiegare, anche per bene, che fine farebbero molti dei vigneti storici e tradizionali con questi nuovi cloni.

Per fortuna, abbiamo ancora tempo. Il dibattito in corso tra le istituzioni europee per abolire tracciabilità, etichettatura e valutazione del rischio per le New Genomic Techniques è bloccato. Alcuni paesi non sono convinti che sia questa la strada per la sostenibilità e la sicurezza alimentare d’Europa. Tra questi, sfortunatamente non c’è l’Italia, che invece sostiene apertamente la deregulation. 

L’argine alla trasformazione irreversibile dell’agricoltura in questo continente però non reggerà a lungo. Nel silenzio assordante di un’opinione pubblica ignara, potrebbe cedere di schianto una bella mattina del prossimo anno. 

A meno che non lo puntelliamo noi. 

A meno che, da una Fiera più Feroce che mai, non scaturisca un appello alla resistenza attiva dei contadini e delle contadine in tutti i territori, in difesa del proprio spazio vitale, del proprio lavoro e di tutta la rete della vita.


Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 34
20 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org

Last modified: 3 Dic 2024

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