Di Leonardo Lovati

Con l’aggravarsi delle catastrofi climatiche e il conseguente deterioramento del tessuto sociale e delle reti di sicurezza statali e individuali, la ricerca di una valvola per sfogare la rabbia e la paura della precarietà assoluta si fa sempre più urgente per non sprofondare nella disperazione. Così se da un lato cresce la radicalità delle azioni di contrasto al governo fossile, dall’altro crescono rami dell’estrema destra che riescono a infiltrarsi nel dibattito ecologista. 

La risposta della destra al problema climatico ha sempre preferito l’opzione del negazionismo o della gogna pubblica per le persone che prendono parte a movimenti “anti-sistema” spostando l’attenzione dei loro elettori, dalla loro ignoranza o negligenza in materia, alla pigrizia, alle spalle coperte dai genitori delle attiviste e degli attivisti, alla mancanza di proposte “non ideologiche” nella sinistra parlamentare, alla “violenza” dei centri sociali e altri spauracchi. La faccia elettorale dell’estrema destra però nasconde un terreno sempre più fertile di teorie che ricordano le dissertazioni di Himmler, Eichmann o Hitler. Se non ci sarà una risposta reale della sinistra alle persone che perderanno casa, lavoro e cari, vedremo, come nei peggiori film distopici, queste teorie neonaziste attecchire perché risponderanno immediatamente ai loro bisogni emotivi: trovare dei colpevoli per la loro situazione e sentirsi al sicuro.

Queste tendenze “ecologiste” dell’estrema destra vengono denominate, dai loro stessi esponenti, ecofascismi o econazismi1. Hanno preso piede soprattutto nel Nord America, grazie ai forum di estrema destra come 8chan e il facile accesso alle armi, ma si sono espanse anche in Italia e nel resto del territorio europeo, con maggior presa in Germania. La loro ideologia è un miscuglio di teorie di destra come la pulizia etnica, le teorie sulla relazione tra scarsità di risorse e aumento della natalità di Malthus, il Sangue e Terra (Blut und bloden) nazista, la sottomissione della donna, la superiorità della razza, con pratiche New Age e un ritorno alla terra che ricordano le parole di Henry David Thoreau, Theodore Roosevelt e Theodore John Kaczynski (Unabomber), utilizzato come meme profetico sui blog dell’alt-right negli ultimi anni2. Nelle comunità in cui è promosso l’ecofascismo non è raro che vengano utilizzate per l’attività di reclutamento pratiche comuni a quelle delle sette: lovebombing, uso strumentale dell’empatia e, successivamente, isolamento dalle relazioni affettive e richiesta insistente di denaro per accedere ai livelli successivi dell’organizzazione o delle “pratiche di purificazione”3.  

Per quanto riguarda il fronte europeo il tedesco è la lingua prediletta, come sono tedesche le prime teorie a cui fanno riferimento. La stessa parola “ecologia”, intesa come scienza, ha origini legate al darwinismo sociale. Ernst Heinrich Haeckel, fautore tedesco di Darwin, coniò il termine in modo da poter applicare categorie biologiche ad aspetti sociali4. Già nel 1920 un gruppo di hippy di destra, i Wandervögel, si unirono a migliaia al partito nazista, proprio perché negli scritti dello stesso Hitler ci sono richiami al pensiero ecologista e all’amore verso gli animali, al legame indissolubile tra sangue e terra di appartenenza. Di recente si è ricominciato a parlare di movimenti ecofascisti durante il 2019 dopo due massacri compiuti a El Paso, in un centro commerciale dove morirono ventidue persone di origini ispaniche, e a Christchurch in Nuova Zelanda, in cui furono uccise cinquanta persone in due moschee. In entrambi i casi gli attentatori inserivano nei loro manifesti delle preoccupazioni ambientali, per cui la risposta doveva essere lo sterminio di una certa etnia, o l’adozione di soluzioni xenofobe. Sempre nel 2019 è emersa in rete una serie di video, a volte fasulli, nei quali, con la popolazione mondiale chiusa in casa per la pandemia, la natura si riprendeva se stessa, i fiumi si purificavano e piante e alberi crescevano rigogliosi. La didascalia di questi video era «Noi siamo il virus», pendendo verso una logica estinzionista per cui «se l’essere umano dovesse estinguersi il pianeta starebbe meglio», ignorando però tutte le motivazioni sociali legate alla distribuzione di risorse, ai posizionamenti storici dei paesi in via di sviluppo e alla storia colonialista dell’Europa nei confronti del mondo5. A quanto pare l’ecofascismo moderno, soprattutto in America, è caratterizzato anche da una isteria legata all’ascesa della destra populista e all’uso del meme e dei social network come strumenti di polarizzazione6.

Questo è un movimento nato di recente che si sta sempre più espandendo e che minaccia di colpire fasce della popolazione già a rischio, come persone di origine araba o ispanica che vivono nei paesi cosiddetti occidentali. Questo tipo di idee si è affermato pian piano anche in Italia, in cui esiste un ramo di Casa Pound, La Foresta che Avanza, in cui vengono promosse istanze green a favore dei diritti degli animali (solamente nella dimensione della vivisezione e del circo), e la preservazione del territorio. Cito dal loro sito: «La Foresta che Avanza è un movimento ecologista identitario che si batte per un’integrazione dell’uomo nell’ambiente in cui vive, superando la visione antropocentrica e materialista dell’ambiente al servizio dell’uomo o dell’ambiente come risorsa da sfruttare. […] (Facciamo) divulgazione attraverso conferenze, convegni e pubblicazioni del modello energetico rinnovabile, del modello ambientale integrato fra uomo e natura, la tutela degli animali per le loro necessità e la tutela dei loro spazi, la visione di una società futuristica, dove grazie alle nuove tecnologie l’ambiente possa essere non una risorsa da sfruttare ma un patrimonio da tutelare e con cui convivere e non un vezzo ecologista simbolo di un edonismo ambientalista che ha portato i nostri luoghi a perdere il contatto con la propria identità»7.

Il pericolo di questi movimenti però diventa significativo quando le loro ideologie si insinuano nel dibattito ecologista. A quanto riportano diversi studi è un pericolo reale la confusione tra ecologismo esclusivista (matrice dell’ecofascismo) e ecologia sociale, che si cura e prende in considerazione i rapporti di forza tra popolazioni. È famosa infatti la diatriba, durante tutti gli anni ‘80, tra Murray Bookchin e la spinta malthusiana del movimento dell’ecologia profonda. La Deep ecology, movimento nato dal filosofo norvegese Arne Næss, promuove una visione biocentrica e un antiumanesimo che per Murray Bookchin getta le basi per un ecofascismo di stampo malthusiano. Il biocentrismo, equiparando l’importanza dell’essere umano a qualsiasi altro essere vivente, porterebbe a pensare che, nel grande schema di Gaia, la presenza di una siccità e di una carestia siano un riassestamento dell’equilibro ecologico, invitando così le comunità internazionali a «lasciar fare alla natura il suo corso», lasciando morire le persone di fame, in mare durante le migrazioni o lasciandole al loro destino dopo un’alluvione, in nome della scarsità di risorse, o dell’«equilibrio terreste». Dave Foreman, fondatore di Earth First!, la prima propaggine americana della Deep Ecology, ha appunto affermato che provare a contrastare la carestia in Etiopia sarebbe stato semplicemente accelerare la disgregazione delle risorse, tanto i bambini non avrebbero comunque vissuto una vita piena nella scarsità di risorse in cui già versavano. Sempre su Earth First! altri sostenitori della Deep Ecology affermavano che l’AIDS era un modo di Gaia di riequilibrare i conti per l’aggressione umana e la sovrappopolazione e allo stesso tempo fosse quindi un modo per ridurla8. Inutile dire che queste teorie sono estremamente pericolose per le popolazioni più fragili, dove la popolazione è più numerosa, mentre gli occidentali si possono godere la fine del mondo (finché non toccherà a loro). Queste teorie non riconoscono il ruolo delle politiche dei paesi sviluppati nella distruzione degli ecosistemi e degli equilibri climatici, scaricando la loro responsabilità sull’umanità in generale. È simile al problema che si è riscontrato con il termine antropocene che invece di responsabilizzare i rapporti economici e culturali alla base della crisi climatica fa ricadere il cambiamento della geologia terrestre sull’umanità senza discriminazioni. Eppure, non siamo tutti ugualmente responsabili. Un operaio non è responsabile quanto il CEO di un’azienda petrolifera, così come un abitante del Congo non è responsabile quanto un italiano. Se vogliamo capire dove si pone la differenza tra un ambientalismo di facciata (o l’ecofascismo) e un ambientalismo sociale è proprio qui che dobbiamo guardare. A chi viene assegnata la responsabilità? Come vengono distribuite le risorse in una situazione climatica ed ecologica sfavorevole? Queste domande devono incominciare a ronzarci in testa perché queste situazioni sfavorevoli saranno sempre più frequenti e ci troveremo presto a fare una scelta: o sacrifichiamo le nostre comodità per far star bene tutti o lasciamo morire miliardi di persone per non rinunciarvi. Con l’aggravarsi della situazione climatica questa è una possibilità reale, per gli scienziati una certezza. Un’altra accezione della parola ecofascismo nel futuro sarà legata, se non agiamo collettivamente per una rivoluzione, a una situazione reale, una possibile conformazione territoriale fortificata (la cui grandezza dipenderà dalle risorse del paese in questione) in cui chi è ricco o appartiene a una certa categoria sociale, probabilmente bianco o del nord, lascerà fuori tutte le altre persone, avrà l’accesso esclusivo alle risorse primarie come acqua e cibo, e deciderà chi dovrà morire e chi no. Parliamo davvero di una situazione così distopica da essere impensabile per noi italiani: dobbiamo ricominciare a immaginarci o come parte del cambiamento o ammazzati sulle frontiere tra uno stato e l’altro, perché la risposta autoritaria e nazionalista è quella più facile durante i periodi di grande crisi (le derive di estrema destra nel mondo degli ultimi dieci anni sono un sintomo di questa crisi generale, e ricordiamoci che il nazismo nasce da una situazione di estremo disagio sociale).  

C’è un altro aspetto che differenzia l’ecofascismo dall’ecologia sociale o, più in generale, il fascismo dalla resistenza. L’ideologia fascista è una corsa verso la fine della storia, è un’accettazione del suicidio collettivo, tendente verso l’istinto di morte. La resistenza di chi combatte per un mondo migliore, invece, fa la storia a ogni suo passo. Per questo all’interno dell’ecofascismo, dell’ecologia profonda, l’essere umano è chiamato a un suicidio collettivo. Perché nel sacrificio di sé, inteso come necessario riequilibratore del sistema ecologico, si esercita la tendenza alla morte per evitare la responsabilità della vita. È un altro tipo di sacrificio quello richiesto dalla resistenza. Ne Il sentiero dei nidi di ragno il monologo del partigiano Kim mostra bene questa differenza: «Kim pensa alla colonna di tedeschi e fascisti che forse stanno già avanzando su per la vallata […] Ora un soldato svegliandosi a uno scossone del camion pensa: “ti amo, Kate”. Tra sei, sette ore morirà, lo uccideremo; anche se non avesse pensato: “ti amo, Kate”, sarebbe stato lo stesso, tutto quello che lui fa e pensa è perduto, cancellato dalla storia. Io invece cammino per un bosco di larici e ogni mio passo è storia; io penso: “ti amo, Adriana”, e questo è storia, ha grandi conseguenze, io agirò domani in battaglia come un uomo che ha pensato stanotte: “ti amo Adriana”. Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano»9.
Quindi, la famosa citazione di Chico Mendes, sindacalista brasiliano che si batté per i diritti dei popoli indigeni, «l’ambientalismo senza lotta di classe è solo giardinaggio» da qualche anno va rivista, perché l’ambientalismo senza lotta di classe, di genere, meridionalista e antirazzista, probabilmente è ecofascismo. La soluzione davanti a queste prospettive non è altro che la resistenza civile, l’infuriare al morire della luce, cercare di essere artefici della storia e non accettarne la fine, non andarsene docili nella buona notte.

Glass die - Roman
1st–2nd century CE
(from MET)
Glass die
Roman
1st–2nd century CE
(from MET)

Fonti:

1 Inform your resistance, episodio podcast “Distorting the Climate Crisis: Far Right Environmentalism” con Alex Amend

2 Ivi

3 lespresso.it/c/inchieste/2021/3/24/sangue-patria-e-ambiente-lecofascismo-e-il-nuovo-volto-delle-sette/22292

4 Amitav Ghosh, La maledizione della noce moscata, Neri Pozza Editore, Vicenza 2022, p. 245

5 iltascabile.com/scienze/ecofascismo

6 Inform your resistance, episodio podcast “Distorting the Climate Crisis: Far Right Environmentalism” con Alex Amend

7 casapounditalia.org/la-foresta-che-avanza

8 Selva Varengo, La rivoluzione ecologica, Zero in Condotta, Milano 2021, p.186

9 Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, Milano 2014, pp. 164-165


Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 33
20 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org

Last modified: 9 Set 2024

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