testo Laura M. Alemagna
fotografie Jacopo Loiodice, Laura M. Alemagna

Superiamo il Po in viaggio verso una realtà agricola che ha visto il passaggio di testimone da un padre visionario alle giovanissime figlie. Oranami è una piccola azienda agricola e fa cose grandi con i formaggi di capra e di mucca, con il suo agriristoro in cima a Pizzocorno
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La mappa è un girigògolo tracciato sul cofano dell’auto da pulviscolo sahariano. Un disegno di rivolo, riccioli di sabbia, ingorghi. Il cielo è ancora giallo. Partiamo.
La strada da sud Milano verso la provincia pavese è un procedere ripetitivo, scandita dagli agglomerati commerciali che si susseguono uguali, identità di ipermercato, di multinazionali, colonizzazioni commerciali, deflagrazioni insensate di capannoni, villette, parcheggi che ricreano ovunque lo stesso brutale paesaggio. Sempre di più, sempre di più. Metodico dopo la devastazione arriva il dio dell’abbandono eterno, che alla confusione senza forma aggiunge desolazione, mortificazione del paesaggio, dei suoi abitanti, di quel che c’era.

Il viaggio verso Oranami non è lungo.
Superato il Po, avanti, si snocciola un paesaggio che muta e muove. Pianure alle spalle, agli occhi si presenta la prima collina morbida, morbidissima.
Pizzocorno è piccola frazione di Ponte di Nizza, provincia di Pavia. Guarda al territorio dai suoi seicentocinquanta metri sul livello del mare.
Ponte Nizza e un giro di tornanti, si svolta al segnale di legno. Il benvenuto è un colpo d’occhio su uno sciame biondo di vacche al pascolo, nel verde saturo di questo giugno acquatico.
È la minuta mandria di Maria e Lara.

Oranami è una piccola porta su Pizzocorno: lo spaccio, il caseificio, la sala mungitura e le stalle sono all’ingresso del paese. Per il luogo di ristoro serve proseguire verso il centro, salire sino al terrapieno sulla chiesetta dedicata a Sant’Ambrogio.

Oranami con La Terra Trema ha un rapporto decennale ma discontinuo. Nella sua intermittenza però c’è traccia e segno di un cambio di rotta, di un passaggio di generazioni, di una staffetta. Tra padre, madre e figlie.
Maurizio Tambornini, padre e artefice, partecipa per la prima volta con i formaggi e il pane nel 2009, tornerà a fasi alterne fino al 2012. Nel 2022 Oranami muta forma e si materializza nei sorrisi di Lara e Maria.
Il confronto con LTT è rinvigorito dai mercati: Eufemia, mercato agricolo de LTT negli anni del Covid e NO TANG CLAN, mercato agricolo allestito al Folletto25603 contro le infrastrutture che assediano Abbiategrasso, Albairate, il territorio che ruota intorno. È in queste occasioni che ci siamo dette/i di una visita.


UNA PREMESSA
Oggi Oranami è lavoro di due giovani donne e di una decina di coetanee/i a loro supporto. Lara e Maria in questo progetto ci sono nate, lo hanno prima vissuto da figlie e poi fatto proprio.
A ordire Oranami è Maurizio Tambornini, giovane e impelagato in storie di anni Settanta a Milano.
La famiglia arrivava alla metropoli proprio da quelle zone. L’edificio che oggi ospita cucine e parte del ristoro è luogo della sua adolescenza.

Le lusinghe del miracolo economico avevano convinto tutti e avviato, inesorabile, lo svuotamento delle campagne pavesi. Erano andati via tutti. Verso Genova, Torino, Milano, Pavia. Erano andati alle fabbriche, all’urbe.
Maurizio, ventenne, a Milano lavorava nei laboratori del gruppo industriale Montedison e viveva in pieno i fragori di quegli anni.
Ruota e muove intorno ad Avanguardia Operaia, alle dure battaglie, agli ideali irriducibili, la lotta armata, le lotte sindacali, le nuove spiritualità, l’ideologia rivoluzionaria.
Quando, per non scoppiare, arriva il momento di declinare aspirazioni, ideali e sogni segue la strada delle comuni. Torna al pavese con altre coppie e compagni e ci prova. Ma non è facile e tutto deflagra prima ancora di innescarsi. La Gran Mue, aveva drammaticamente cambiato il territorio. Non c’era più nessuno, tutto era in abbandono. Lavorare la terra, vivere insieme di agricoltura, la visione idealizzata di un’emancipazione armonica tra contadini del luogo e intellettuali di città si rivelano traguardi dolorosi e impervi. Maurizio è lasciato solo, con un pugno di vacche da gestire e debiti da risolvere.


UN SOGNO E UNO SCENARIO
Il sogno però rimane latente, insiste, preme per uscire dal limbo: è una visione interiore che guarda verso una ruralità nuova, vissuta in condivisione, in cooperazione, coltivando, allevando, producendo con indole e modi diversi da quelli dei padri.
Per un decennio si muove alla ricerca di terre e stimoli, lavorando ovunque per risanare il debito.
In zona erano state avviate esperienze riuscite. Tra Val Tidone, Val Trebbia e Val Staffora, a Monte Pelice, c’era (e c’è ancora) la Canedo di Franco Daidone, esperienza collettiva sin dagli arbori, dalla stesura della tesi di laurea collettiva, interdisciplinare, di gruppo, conseguita in Agraria nel 1976 che ne decretò la nascita.
Le Valli Unite di Ottavio Rube erano altro punto di riferimento, rispondente, vivace, nell’onda fluida, «compenetrante», degli ideali di sostenibilità, cooperazione, solidarismo.

Maurizio conosceva chi animava quei progetti, partecipava alle lunghissime riunioni che agitavano quelle e altre cascine, casolari, corti. Il cibo diventava una possibilità di rivoluzione. Le voci di allarme sulla situazione ecologica erano ancora flebili, l’urgenza di cambiare i modi di produzione non era ancora pressante ma c’era chi cominciava a sentire la pressione. The Club Of Rome manifestava preoccupazione col suo rapporto sui limiti dello sviluppo. In Italia e nel mondo si cominciava a mettere giù le basi di economie fatte da consapevolezze diverse. Organic farm, conversione al biologico, macrobiotica, biodinamica. Si andava a delineare un lessico nuovo in cerca di nuovi sbocchi.

È un fiume in piena. La Fierucola a Firenze di Giannozzo Pucci, La Strada del Sale (e Il Mercato di Volpedo) nel basso Piemonte dal 1989; Alce Nero di Gino Girolomoni nelle Marche; Ariele, bottega agli albori del gruppo NaturaSì, le Cascine Orsine di Giulia Maria Crespi diventano punti di riferimento commerciali rilevantissimi.

Per alcuni anni Maurizio ci prova, tenta di assecondare queste visioni: produce pane, prodotti da forno, vive l’antroposofia, persegue la biodinamica, i principi di Rudolf Steiner e Fritjof Capra, di Masanobu Fukuoka, pratica le coltivazioni come rito, il giorno di San Giovanni, il corno letame, la pompetta, i fiori, le costellazioni, i preparati da preparare insieme. Ma a un certo punto non riesce più a starci dentro. Molla tutto, va in banca e chiede in prestito «un milione e duecentomila lire» per comprare otto vacche, varzesi, quelle autoctone della zona della Valle Staffora. Il sogno prende forma.

AVEVO UN’IDEA DELLA MADONNA
Nel 1947 la Madonna appare ad Angela Volpini, giovanissima, intenta a pascolare le mucche al Bocco, in piena Valle Staffora, poco distante da Pizzocorno. «Sono venuta per insegnarvi la via della felicità sulla terra», le dice. E su quelle parole fecero un santuario.

Anni e anni dopo, anche Maurizio farà suo quel presagio mariano sui luoghi e sulla t/Terra. Nella sostanza non troppo difforme da Śambhala, dimora di esseri spirituali benevolmente evoluti per il buddismo tibetano.
È il 1987 quando fonda Oranami, ragionando per quel nome, su un anagramma di una parola di felicità: armonia.
Armonia è per lui l’unione del tutto, degli uomini, delle donne e delle stelle, del suolo e del cielo, degli animali e delle piante. Il lavoro del contadino è immerso in tutto questo. Maurizio è lì che vuole stare, in quel suono. «Ed erra l’armonia per questa valle» proferiva Leopardi, altrove.

Nel 1988 converte l’azienda al biologico, e nel 2000, con Carmela, madre delle ragazze, prende anche un piccolo numero di capre, per differenziare la produzione, perché la capra ha un minore impatto ambientale; perché i formaggi consentono di lavorare, a latte crudo, su una diversità di sentori considerevole; perché, economicamente, poteva essere risorsa, pagata meglio e ben richiesta.

I call on all Supa Sistas to emerge from
the muck and the mire
Set the brainwashed-up masses on fire
Ursula Rucker, Supa Sista, 2001


Quando nel 2019 Maurizio confida alla figlia ventunenne di voler vendere tutto, questa trasecola.
È un colpo duro. Lara fa tutt’altro. Ha studiato a Voghera e seguito l’università, in infermieristica a Pavia, per alcuni mesi si è recata in Finlandia, per specializzarsi.
Forse perché lavorare con un padre ingombrante è durissimo forse per gioventù, la continuità di quel mestiere era faccenda che non aveva ancora preso in considerazione.
Ma l’eventualità di vendere tutto arriva come colpo di scudiscio: violenta, imminente.
Lara si confronta con Maria, che già aiutava (a denti stretti) il padre in caseificio: «Maria, facciamolo, prendiamo noi l’azienda».
E così è stato. In un anno le loro vite si ribaltano, con entusiasmo a mille. Maria si prende in carico la parte agricola, l’allevamento, i trattori, i campi. Lara del caseificio, della bottega, e dal 2023 dell’agriristoro, che in cucina ha Carmela ai fornelli.

Le vacche, oggi, sono una ventina, di cui undici in lattazione. Sono di razza Varzese e pezzata rossa. La resa della Varzese è bassissima se messa a confronto con la Frisona, che in pianura fa anche sessanta litri al giorno, preparata geneticamente per fare questi numeri. La Varzese è un alambicco al confronto: venti litri se va bene, bene, bene.

Quelle di Oranami sono varzesi incrociate con la Reggiana.
Longeve son longeve, non si ammalano, mangiano tutto, ma producono poco, pochissimo, troppo poco, arrivassero a dare 40/50 litri al dì, sì, sarebbe super: questo, più o meno, è il mantra che Maria recita due volte al giorno a voce alta alle sue vacche, in fase di mungitura. 

Lo spostamento del bestiame al pascolo, la pulizia delle stalle, la gestione del foraggio, la mungitura, la responsabilità delle nascite, la semina. È un lavoro infinito, ripetuto ogni giorno da Maria, giovane, tenace, indole combattiva.

Lara, dopo il pranzo al ristoro, ci accompagna in esplorazione. Pizzocorno è un piccolo paese e trentacinque sono le sue anime. Il territorio non è mai stato popoloso, per questo per Lara sono tantissime. 

Gli edifici intorno al ristoro appartenevano ai nonni. Una parte venne costruita dagli stessi nonni negli anni Cinquanta, quelli più storici chissà da chi. Lara abita una delle casette antiche sulla stradina di pietra adiacente. Alcuni locali vengono usati per le iniziative estive, per l’ospitalità, la vendita dei prodotti, le letture al pubblico, i concerti.
Qualche gradino sopra il piccolo patio che accoglie i tavolini del ristoro, e sotto la casa di Maurizio, hanno spazio il forno e i locali per la panificazione. Il forno a legna eretto dal padre anni prima oggi è una risorsa preziosa, un tesoro. Le farine vengono molite nel mulino a pietra di un’anzianissima coppia di Casatisma, poco distante.
La materia prima servita ai pasti è in massima parte prodotta da loro o comunque poco distante. Tutto è conosciuto a menadito. Il ristoro è un luogo confortevole e caldo, la cucina è ragionata evoluzione della tradizione. Svettano le tome di capra, misto pecora, vaccine; il taleggio; le caciotte molli e quelle più stagionate. Si dà lustro alle carni, dai loro capi o dalle Valli Unite. Tra i vini riconosciamo i nostri e le relazioni che La Terra Trema è capace di innescare. Accade anche nel piccolo spaccio, tappezzato dai manifesti delle ultime edizioni. Qui trovano spazio i prodotti agricoli di Sanapu, Piccapane, Umaia, Filarole, ad esempio. E con loro anche quelli della florida rete locale di Oranami.

Le stalle per mucche e capre sono vicine alla bottega, sono in legno. Le rondini svolazzano, l’area destinata alle capre è piena di nidi, su, in alto.
L’espansività buffa delle bestiole ci accoglie con belati, baciucchi, annusate. Si fanno sentire, chiamano, avvertono quando rimangono sole, quando rimangono incastrate con le corna tra rami e recinzioni.

Gli animali hanno un loro pascolo e sono munti due volte al giorno.
Maurizio e Carmela praticavano la destagionalizzazione dell’attività riproduttiva, le loro capre producevano sempre, per ragioni economiche, per comodità, perché in estate Maurizio doveva andare anche nei campi e riusciva a mungerle prima della fienagione.

Maria e Lara hanno tenuto questo modo di produzione fino all’anno scorso, da quest’anno hanno deciso di far tornare le capre al loro ciclo naturale. Rinunceranno a produrre da ottobre/novembre.


Il caseificio è un luogo piccolo, ben pensato. La lavorazione si fa tre volte a settimana. Visti i bassi numeri di produzione la stagionatura non va troppo oltre, i formaggi li vendono tutti. Lara riesce di rado a mettere via qualche toma per sperimentare tempi più lunghi di maturazione per i suoi formaggi. 
Maria chiama a voce alta e per nome le vacche alla mungitura. Ci incamminiamo.

Sulla strada del ritorno una piccola discesa ci porta al chiringuito campestre di Gerri, da qualche tempo compagno di avventura delle sorelle Tambornini. Una stia di galline, un piccolo stagno con i pesci, una struttura in legno pensata è luogo di svago, oasi, per loro stesse/i, soprattutto, capita anche per gli ospiti, un piccolo luogo che premia le fatiche di una vita faticosa e piena. È un luogo dedicato e delicato, il consumo di acqua e di tutte le altre risorse non arreca impatto sul suolo prezioso.

Nel 1911 Arnold Schönberg, compositore, pubblica il suo “Trattato di Armonia”, Harmonielehre, è un passo rivoluzionario, ardito verso una musica profondamente diversa, che superava la distinzione consolidata tra consonanza e dissonanza. Di lì in poi nessun suono poté più essere considerato non armonico e le note della scala cromatica, i dodici semitoni del sistema temperato, presero tutti medesima stima. 

Oranami dice di armonia tra i tanti mondi in questo mondo. È la possibilità che si sono date Lara e Maria e la decina di giovani che hanno tirato in mezzo. 


Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 33
20 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org

Last modified: 18 Ago 2024

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