del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

Presso il tribunale di Pisa si sta svolgendo il processo per i maltrattamenti avvenuti nella struttura per persone autistiche di Montalto di Fauglia, in provincia di Pisa, gestita dalla fondazione Stella Maris.

L’Istituto scientifico – Ospedale specializzato – Centro di assistenza Stella Maris (di cui la struttura di Montalto di Fauglia, che attualmente risulta chiusa, rappresentava una sede succursale) si occupa di assistenza e cura dei disturbi e delle disabilità dell’infanzia e dell’adolescenza. È attiva dal 1958 in seguito a una fusione di interessi tra Università degli studi di Pisa, ASL e diocesi di San Miniato. Fortissima è l’impronta cattolica che ne caratterizza i principi guida. Si tratta di una struttura enorme, sia per estensione spaziale degli ambienti in continuo ampliamento, sia per quanto riguarda l’elenco delle patologie e dei disturbi di cui si occupa. Sotto questo aspetto Stella Maris rappresenta un punto di riferimento per tantissime persone. Di fatto è un’istituzione privata convenzionata e finanziata con milioni di euro l’anno dalla Regione Toscana, che nonostante la gravità degli abusi non ha ritenuto opportuno costituirsi come parte civile al processo.

Nella Carta dei servizi del presidio di Montalto di Fauglia, parte in causa nel processo sui maltrattamenti, si affermava che il modello adottato «mette prima di tutto al centro il paziente come persona, nella sua individualità, nei suoi bisogni relazionali e personali (…). La nostra filosofia di intervento è “prenderci cura” oltre che curare (…). La nostra organizzazione è centrata sul modello del piccolo gruppo di pazienti condotto da educatori professionali e da assistenti con funzioni educative, che fungono da “io” ausiliario o “compagni adulti” dei pazienti, che li supportano concretamente e psicologicamente in ogni atto della vita quotidiana. (…) Ogni ragazzo (…) è visto come portatore di affetti, bisogni emotivi, aspirazioni, competenze». Una dichiarazione d’intenti che stride assai con i fatti. Durante l’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane ospite, la struttura è stata posta sotto controllo dai carabinieri tramite microcamere nascoste. Dopo tre mesi di intercettazioni la procura di Pisa ha configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti basandosi sull’enorme quantità di materiali video accumulati: 284 episodi in meno di tre mesi, più di tre al giorno. La maggior parte dei maltrattamenti rientra nella casistica della gravità più elevata («atti violenti o sessualmente espliciti»). Una violenza, quindi, non occasionale ma strutturale. Durante le udienze in tribunale, inoltre, genitori, tutori e altri testimoni hanno descritto le violenze subite dai ragazzi di Montalto documentate dalle videoregistrazioni. È emersa, ulteriormente, la totale mancanza di professionalità, la carenza di titoli idonei da parte del personale e l’assenza di direttive su come comportarsi in situazioni di crisi. 

Tra gli ospiti della struttura di Montalto di Fauglia ricordiamo Mattia, morto nel 2018 per soffocamento durante un pasto davanti alla famiglia, a causa di una disfagia dovuta a una somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci, come risulta dalla perizia tecnica. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi di cui la famiglia ha sempre dichiarato di non essere mai stata informata. Per questa vicenda è in corso un ulteriore procedimento giudiziario: la sentenza di primo grado non ha individuato alcuna responsabilità da parte dei medici e della struttura. Sondra Cerrai ha pubblicato nel 2020 Siamo tutti legati per le edizioni Porto Seguro, in cui racconta la storia di suo figlio Mattia.

Il processo per maltrattamenti sta andando avanti da più di cinque anni con estrema lentezza: le udienze sono troppo diradate se si considera l’elevatissimo numero di persone invitate a testimoniare. Si tratta, infatti, del più grande processo per violenze su persone con disabilità in Italia. Al momento gli imputati sono quindici. Tra essi figurano anche le due dottoresse che gestivano la struttura e il direttore sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il direttore generale Roberto Cutajar che, avendo scelto il rito abbreviato, è stato dapprima condannato a due anni e otto mesi di reclusione e poi è stato assolto nel processo d’appello. 

Per inquadrare il contesto più generale in cui si sono svolti gli eventi, una chiave di lettura è fornita dalla relazione tecnica agli atti del processo redatta da Alfredo Verde, ordinario di Criminologia dell’Università di Genova, che sottolinea «una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture». E ancora: «Una violenza così evidente richiama la possibilità di ipotizzare che altre violenze si siano verificate in contesti meno pubblici. (…) In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono gli strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo».

La relazione tecnica afferma ancora che «il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali in cui non solo gli ospiti vengono puniti, ma la punizione viene anche irrogata in una situazione di estrema visibilità (come per esempio il refettorio), in cui gli ospiti assistono silenziosi e acquiescenti al trattamento subito dai compagni: una sorta di teatro». Afferma ancora il professor Verde: «Il pensiero istituzionale presuppone, implica e giustifica la violenza, che può essere manifesta o anche solo accennata, assumendo quindi anche una funzione simbolica».

I maltrattamenti di Montalto di Fauglia diventano allora emblematici dei dispositivi coercitivi e degradanti insiti in questa tipologia di strutture, dove frequentemente le persone, ridotte a oggetti, diventano il bersaglio di sopraffazioni e abusi di potere quotidiani. Luoghi dove la contenzione fisica e farmacologica è spesso consuetudine e dove le prepotenze sono ordinarie e strutturali.

Quelle “istituzioni totali” che si autopresentano come luoghi di attenzione, di assistenza e di cura per gli ultimi e per gli esclusi (e che stanno crescendo ovunque di importanza e potenza) in realtà tendono a identificare, a comprendere e a classificare in categorie (disabile, autistico, matto, criminale, tossico, delinquente, ecc.) le persone a loro affidate. L’etichetta comporta un pesante stigma che depriva le persone dei loro attributi di umanità e le relega alla categoria di cittadine e cittadini di serie B e senza-diritti. Tutto questo non suscita né attenzione, né indignazione. Le privazioni, le umiliazioni che le persone in alcune strutture psichiatriche devono subire quotidianamente sono indicibili: non se ne parla e non se ne deve parlare.

Riteniamo sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta quotidianamente dal silenzio di moltissimi professionisti, tecnici e operatori, assistenti ed educatori. Ci piacerebbe partire da qui, dal sistema di omertà che sorregge questi abusi. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche violente e coercitive, né il silenzio con cui vengono accettate. Anche le argomentazioni dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive”, a cui sovente si fa appello nei reparti o nelle strutture, devono essere respinte, perché sono fondate sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. C’è chi ritiene, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come malate mentali a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso benessere, senza chiedere mai cosa ne pensino le persone interessate. 

Il problema, dunque, è superare il modello di internamento fondato su meccanismi e dispositivi manicomiali che in realtà non sono mai stati superati. Nel momento in cui riproduci le stesse pratiche (l’isolamento, la contenzione fisica, meccanica e farmacologica e ambientale, l’obbligo di cura) la logica dell’istituzione totale si riproduce e si diffonde fino ai reparti, alle strutture e alle residenze sanitarie come quella di Montalto di Fauglia: se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio. Un concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane, contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.


Il collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud
ha organizzato numerosi presidi davanti al tribunale per portare solidarietà, denunciare i maltrattamenti e più in generale gli abusi della psichiatria e far emergere il ruolo della Stella Maris nella cosiddetta medicalizzazione, patologizzazione, farmacologizzazione delle giovani generazioni. Ha collaborato attivamente alla realizzazione del reportage Rai per Spotlight del 25 luglio 2023 sulla vicenda dei maltrattamenti, diretto dalla regista Maria Elena Scandaliato.

www.artaudpisa.noblogs.organtipsichiatriapisa@inventati.org – tel. 3357002669


Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 31
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org

Immagine: sovrapposizione da Studies of Plants di Johann Wilhelm Preyer, Germania, 1833

Last modified: 15 Mar 2024

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