Lighea
di Mariagiorgia Ulbar
È buona questa notte.
Ci protegge una lingua dove lingua
significa il mio muscolo
che si muove intorno al bulbo del tuo occhio
e significa l’idioma
che parliamo sulla terra e sottotraccia
per dire ciò che è la parte illesa
di radice che veniva già da prima
di radice di collina
di radice di una tana silenziosa
di estati molto lunghe di occhi deboli
per la luce.
—
Trova una luce lattea per terra
la lascia, si prepara per raccoglierla.
Un cartello, sentore d’alga o di salina,
di saliva, un volo di un uccello.
Per purezza mi vesto e poi mi spoglio
per purezza si perderà qualcuno
lo so, voglio
una riga della luna
che incrocia un mio braccio e fa una croce
localizza dove è stata la fortuna.
—
Faccio prova di arrivare insieme all’anima
partire dal binario al pomeriggio
arrivare in altro posto a giorno presto.
Trovare ossa, scavando tra i binari
nasconderle tutte nella bocca.
—
C’è una pala eolica ogni metro
case basse a trapezio che si sgretolano;
vicino a ogni binario si trovavano
la materia sua e la nostra via.
Ora un popolo si chiude in una lingua
alza reti mentre ci affacciamo
per guardare i ponti sopra
e sotto il fiume
che fino a poco fa possedevamo.
—
Una strada stretta e di piante
via ombrosa che ombrosa mi porta
con un garofano bianco alla porta
che si apre su un’altra e si apre su un’altra.
—
L’hotel Arcadia è un mausoleo orientale
strappi e buchi
e oro nostro zecchino per richiuderli.
Dormimmo colpiti dalla luce
formavamo angoli, vestiti,
non sapevo che cosa arriva dopo
dove arrivo io e chi trattengo.
Alma, chiamava la mia testa,
Alma Alma Alma,
manca tanto? Dimmi, manca poco?
—
Uccelli e pesci
in tre dimensioni si possono spostare,
invece sulla terra
coi terreni animali noi solo
in lungo e in largo ci muoviamo.
Né abissi né cielo
e sempre da un’isola veniamo
che sia un corallo, un campo o un continente
sempre il mare ci circonda
sempre come per avvistare guardiamo.
—
Sirene, sfingi e arpie stanno qui dietro
da fuori io non le vedo
da dentro se entro poi non esco.
Resterò qui sotto che è lontano
sempre su guarderò
non si affaccerà nessuno.
Io sarò me se aspetterò in agguato
ciò che è vero che è mistero che è segreto.
—
Il mio stesso bianco petto prende sguardi
e prende dardi, si nasconde la sottile
vita mia che non si fredda, non si macchia
sotto coltri di veemenza e di sollievo.
Ora perdo la coscienza dentro un luogo:
sul binario di mattina la natura
che è veloce che realizza tutto prima
mi raccoglie mi porta dove vuole
mi smussa muovendo la sua lima.
—
A un passo dalla bella che si tuffa
a due da quella che si mostra
in doppia fioritura rifulgente
a tre dagli aghi sempreverdi
sono ferma,
umido niente
che toglie la vita e la conferma.
—
Esistono scudi trasparenti
che fanno un velo agli elementi
tu chiedi perché voglio spostarli,
uguale luce è, uguale forma.
Ma io qui voglio toccarli:
c’è un’ora
in cui saperne la vampa o la frescura
provvedere alla calma e alla calura
richiuderli lasciando dentro un’orma.
—
Un garbuglio mi stringe come un nido
mi affaccio a un cielo alto, le mattine
si aprono sul muro sul chiodo sul mattone:
scendo in basso con gli occhi sotto terra
poi salgo verso l’alto senza fine.
—
Abituarsi alla luce è stare qui
dove l’acqua si concentra su un istinto
c’è un lago, il caos, lo sguardo oltre
la spira lucida iridata che mi avvolge.
—
Mariagiorgia Ulbar è poeta, insegna, traduce, modella la ceramica e tiene laboratori di “scrittura e immaginazione”. Dal 2012 è editrice e curatrice de La Collana Isola che pubblica piccoli libri sperimentali di poesia e illustrazione. Le poesie qui pubblicate sono tratte dal suo libro “Lighea”, pubblicato da Elliot nel 2018. In “Lighea” Ulbar ci disorienta e orienta al contempo, inserendoci all’interno di una rarefazione, il cui quadro ci appare deformato, indefinibile, allucinato. Nei suoi versi prima perdiamo, poi ritroviamo (e ancora perdiamo) la cornice del paesaggio, l’aderente e stretto abito individuale, la sagoma cinetica dell’altruità e (a somma e persino) la forma invisibile del bersaglio, della meta. In questo modo la poeta ci depista per metterci sulle tracce non di una preda, ma di un viaggio che è il paesaggio (e non “nel paesaggio”) di un sentimento. Questo ci pare da intendersi sia nella sua cartesiana connotazione geografica/mitica, sia nella sua vertiginante dimensione fisica/grammaticale. E così, seguendo i versi di Ulbar, ci si avvia sinfonicamente verso il ciglio di un mistero.
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 31
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org
Immagine da: Anna Atkins (British, 1799–1871), Cyanotype, Fucus æruginosus Turner. “Med. Sea Sisbon”, ca. 1853
Last modified: 9 Ott 2024