SU TUTTO, LE FURIE
Quando il vino è un mezzo, la vigna il fine e l’azienda agricola un desiderio condiviso tra due mari in provincia di Messina

Testo e fotografie di Laura M. Alemagna

Il clima di dicembre invita all’erranza. Approfittiamo dell’occasione per far visita a una piccola esperienza agricola conosciuta nel corso dell’ultima Fiera Feroce.

Il primo scambio è avvenuto via email, un dialogo epistolare di parole fitte e piene di evocazioni. La firma talvolta è quella di Alessandro Solano ma la persona utilizzata è sempre adeguata a un’entità plurale. «Le Furie è un sodalizio», scrive Alessandro e poi continua: «a Le Furie L’Almanacco è letto e studiato» e poi, ancora: «il comunicato di intenti che invita a La Terra Trema è preso sul serio, ragionato, soppesato, elaborato».
Facciamo che a La Terra Trema si materializzi la possibilità di riconoscersi, così sia. La curiosità è in parte dissipata nell’incontro con Claudio Risitano ed Elena Zanghì che a Le Furie si dedicano. Li canzoniamo un po’, hanno mandato pochissimo vino, appena qualche cartone. Quelle poche bottiglie in magazzino sono un contrappunto quasi impercettibile rispetto agli invii di certi altoatesini. Di questo Claudio ed Elena sembrano preoccuparsi poco, partecipano energicamente all’assemblea dei produttori del sabato e, qui, Claudio ha parole decise e padronanza sulle questioni. Al banco di assaggio torniamo a confrontarci, scambiando reciproci vissuti, memorie, rivalutando le impressioni e le azioni. Un po’ di più ma qualcosa rimane ancora impenetrabile.
Non che esista. Non che sia pensabile un’inquadratura, un piano che restringa il campo, che renda l’idea del tipo di agricoltore o agricoltrice che partecipa a La Terra Trema, tante volte, anche in questo caso è difficile capire appieno, qualcosa sfugge. Bisogna fare un passo in più. 

COSPITO
Nella parentesi catanese capita l’occasione di partecipare a un presidio, la sera del primo gennaio 2023, di fronte al carcere di Piazza Lanza, contro il 41bis, per Alfredo Cospito e non solo per lui. Per contestare lo stato in cui si è reclusi nelle carceri italiane, per ribadire la necessità di ribaltare un fronte, quello dell’inflizione della pena, che porta a suicidi, abusi, torture e storture, che tutto innesca fuorché riabilitazione, recupero, sanamento.
Gli interventi si susseguono. Consapevoli, precisi, chiari, le voci che ascoltiamo sono per lo più giovani, questo rincuora non poco. Tra i volti qualcuno è conosciuto. A Catania è più difficile, è passato tanto tempo. Uno di questi visi s’insinua in testa come un grande, reciproco, punto interrogativo: «Ma dove, dove diavolo ci siamo viste?». Proprio non si riesce, entrambe elenchiamo luoghi e conoscenze, città, occasioni, ci vuole un po’ di tempo prima di riuscire a sciogliere il nodo «ma certo, a La Terra Trema, ero con Le Furie».
Eccolo, finalmente, un nuovo tassello. Elena, coincidenza inaspettata.
«Domani saremo da Alessandro, abbiamo appuntamento con lui a Messina» le diciamo.

LE FURIE
Agricola Le Furie, si trova a Castanea delle Furie, frazione di Messina, neanche dieci chilometri dal capoluogo sullo Stretto.
Messina è anch’essa arcana. Messina t’attraverso. Verso il porto, verso le navi, oppure al contrario. Città di transito, bassa, come schiacciata, raggelata dalla devastazione del terremoto di inizio Novecento.
Le strade scendono (o salgono) su tracciati che furono torrenti, fiumare Gazzi, Boccetta, Giostra, Zafferia, spesso residui, oggi di asfalto, cemento, case.

Sul viale Giostra aspettiamo Alessandro, abbiamo appuntamento lì, in alto, sotto il cavalcavia della circonvallazione. Nell’attesa percorriamo la strada fino a vedere il mare. Dal lato opposto al nostro si susseguono piccole casette mezze diroccate, nel loro aspetto deforme c’è un senso. “MELA” è scritto su un muro rosa a caratteri cubitali neri, intorno alla finestra. “CAR” è scritto piccolo in un angolo in alto a sinistra.
La notte di capodanno ha lasciato il suo ricordo per terra e sul metallo dei cartelli stradali, gusci di proiettile, cartucce di vario tipo, scacciacani cinque millimetri, bossoli di fucile.
Torniamo in alto. Alessandro non ha un telefono cellulare, non possiamo perderlo.

Arriva e si presenta veloce, è un uomo alto, dai modi gentili. Chiede dove abbiamo parcheggiato e fa cenno con pochi convenevoli: «Seguitemi» e lo seguiamo.

Da qui in poi è un viaggio sconosciuto, mai fatto prima, se non nell’infanzia più remota, forse. Erano i luoghi di mio padre e di suo padre e sua madre, prima di me.
Un viaggio a salire, che s’inerpica tra tornanti, tra quartieri e case, casolari rurali e poi boschi (periurbani?). Dall’alto Messina è anche una città che fiorisce, di bougainvillea e mimosa.

Qualche minuto e Alessandro si ferma all’ennesimo tornante, davanti a un filare di cipressi anche alti. Ci invita a scendere, siamo arrivati.
È un altro posare lo sguardo su un mondo nuovo. Su tutto, Le Furie. Sul Mar Tirreno, lo Stretto, su queste colline, su una piccola, bellissima vigna, ad alberello, appena potata, immersa nel fumo bianco e sgargiante di un falò di tralci che ci investe e sale sulle terrazze. Da una parte il mare che abbaglia Messina, dall’altra una piccola valle verdissima. Su tutto, Le Furie.

«Le Furie è un desiderio, condiviso» aveva scritto Alessandro, che adesso ci accompagna e ci presenta Michele Borgia, preso ad accudire quella brace. È il momento per capire, per chiedere, approfondire.
Provenienze nella sostanza diverse, Michele lavora in campagna, segue la vigna, le api, le colture, Alessandro, commercialista, frequenta attivamente gruppi ecologisti e politici. Si incontrano, nello scoutismo, nella formazione comunitaria, attenta, altruista e rispettosa che quel tipo di aggregazione insegna. Scout, escoute, ha una radice in écouter, ascoltare.
La famiglia di Alessandro salutava quel luogo ogni volta che partiva per le escursioni al mare, un fondo abbandonato da circa cinquant’anni che un giorno si decide di acquistare. Il desiderio è quello di produrre un vino per la comunità allargata che frequentano. Qualcosa che, anzitutto, riesca a rendere concreta la volontà di tutela di quel luogo, che sia protettivo, per i palati, per la terra.


Su quei neanche due ettari, incastonati a trecento metri sul mare, decidono per un innesto in campo provando, dove possono, a recuperare varietà antiche come reliquie da vecchi vigneti: nerello mascalese, nerello cappuccio, gaglioppo, nocera e, ancora, nocerone, nero tavola, citana bianca, citana nera, jacchè, eppula, francesina, zibibbo, cori di palummu. Decidono di lasciare spazio per un orto, per gli ulivi, per un bel numero di alberi da frutto. È il 2012.
Michele raccoglie una zolla da terra. È un suolo ricco, ci dirà, molto complesso, composto da marne argillose, arenarie, depositi calcarei. Non toccano quasi per nulla quel suolo, solo sfalcio e zappa con mani e piede.
Si produce un unico vino rosso «generico», Rosso delle Furie, in due maniere. Vino di due mari che, solo se capita, solo se succede, prende la denominazione Faro, denominazione neanche troppo frequentata che riguarda appena una ventina di aziende vinicole, alcune di queste davvero esemplari, altre veramente molto note.
Le Furie vinificano presso l’Istituto Agrario Cuppari di Messina con il supporto di Turi Marino, amico enologo. Poco meno di tremila bottiglie.

Michele e Alessandro dicono di questo nucleo di persone diverse che lì intorno ruotano, dicono di Claudio Risitano, della sua delicatezza, della sua predisposizione, della militanza del corpo suo e non solo. Delle lotte condivise, contro il Muos a Niscemi, contro il Ponte sullo Stretto, contro uno stato di cose che sta schiacciando e opprimendo. A Le Furie ognuna, ognuno, lavora in vigna coi suoi modi, lì porta il proprio personale vissuto, sentimentale, politico. A questo serve questa vigna senza nome, appollaiata su questa collinetta a ridosso dei Monti Peloritani.

Può, il vino, essere solo strumento, può essere semplicemente mezzo? Può la vigna essere il fine? La cura del suolo e del contesto naturale in cui la vigna si è inserita, il desiderio di lavorare in condivisione, l’azione e la pratica politica sono l’intento che si vuole, oltretutto, duraturo e  perpetuo.
È possibile che sia questo il pensiero ribaltato, che aiuta a capire e dare un senso, alle poche bottiglie spedite a La Terra Trema, a Elena al presidio contro il 41bis e contro le carceri, ai processi, alla sorveglianza speciale, alla gentilezza di Michele e di Alessandro.
Le Furie è forse un cerchio concentrico e di fauno, un motivo, convergere indisciplinato e contrario a quanto scorre intorno. «Custodiamo il tempo migliore, quello liberato dalla necessità. Adottiamo quindi la pratica di resistere agli assalti del finito, attaccando» hanno scritto.

Un rapace di piccole dimensioni, forse un nibbio, stride e volteggia in ricognizione su, in alto, anche qui l’alisso profuma l’aria di miele. Ci accompagnano a una delle panche tra gli alberi. Il vino, gli agrumi, i formaggi e i salumi della rete di produttori, il miele e la marmellata dalle loro arance. Sulla strada del ritorno rimuginiamo, rinnoviamo le nostre domande.

Torneremo a Messina, qualche giorno prima di partire, se possibile caricheremo in auto un po’ di queste sante bottiglie per la Carta dei Vini al Folletto25603. 

Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 27
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org

Last modified: 7 Ago 2023

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