IL RISULTATO DI UN LUNGO AMORE
Bosco Falconeria, una storia siciliana e secolare
testo e fotografie di Laura M. Alemagna
Le colline tra Partinico e Alcamo alternano verde boscaglia a giallo arso e nero carbone, e dentro questo mondo cangiante si snodano filari di vite smeraldo su terra bruna e rossastra.
La via per Bosco Falconeria bisogna cercarla bene, tra le strade che si inerpicano ai lati, quasi invisibili. Neanche le alte pale eoliche servono a punto di riferimento, sono troppe, immense e vertiginose.
«Cassette della posta, ne vedete?» dice Natalia al telefono, «No, no, noi, non ne vediamo… ah sì! ora sì» ma è una, una sola, andrà bene lo stesso?
Prendiamo e saliamo, saliamo, inseguendo un segnale telefonico che non regge, una voce che cade. «Saliamo» queste belle colline, che non sembravano così ripide.
Alle spalle abbiamo lasciato il mare, la Sicciara di Balestrate, la Trappeto di Danilo Dolci, il Golfo di Castellamare. Oltre noi, oltre le colline, avanti, sappiamo esserci le rupi di San Giuseppe Jato, la Montelepre di Salvatore Giuliano, Piana degli Albanesi, La Pizzuta, la Rocca Busambra che fu sepolcro per Placido Rizzotto.
Fare mente locale sulle implicazioni di questo viaggio fino ai Simeti-Taylor è davvero complesso. L’epopea è nei luoghi, sì, è vero, ma è anche, soprattutto, profonda e attorta, nella storia familiare di cui Bosco Falconeria, azienda agricola, è (solo?) un florido ramo. Sappiamo, allora, di dover scoprire molto. Ora, aspettiamo che accada.
La famiglia Simeti-Taylor (una porzione, tutta è impossibile) la troviamo sulla via sterrata, avanti a un primo piccolo nucleo di casette rurali e ai primi filari delle vigne di proprietà. Troviamo Tonino, Natalia, Francesco. Poco oltre, discendendo di qualche passo la collinetta, vediamo la casa di Natalia e Rami e, poco più sopra, lungo la vigna, la dimora di Tonino e Mary che una volta fu palmento di Bosco Falconeria. Lì dove siamo, alle casette, è il posto di Francesco.
Tonino ha addosso il dono di una giovinezza lucida e vivace. È ancora tale e quale all’uomo che conoscemmo oltre quindici anni fa e che arrivò a La Terra Trema con una calata palermitana roca da birbante, gli occhi vispi, il riso di chi combina marachelle, un modo tutto suo di muoversi felpato e gesticolare lento. In agosto, verrà detto, questo ragazzino impertinente, ha compiuto ottantasei anni.
«Me ne manca uno, di tutta la serie». Prima de La Terra Trema Tonino frequentava per convinzione il mercato agricolo organizzato a Ask191, uno spazio occupato di viale Strasburgo a Palermo. Fu da lì che arrivò a noi, nel fermento eccitato dell’iniziare questa storia dei mercati agricoli negli spazi delle occupazioni urbane, da Palermo a Milano, nei tempi in cui ci si annusava gli uni con gli altri con grande curiosità. Con lui arrivava Natalia, figlia che in quegli anni, 2007, subentrava al padre nella conduzione dell’azienda agricola. Con loro portavano una storia vinicola e agricola lunghissima, partita novant’anni prima, e che si dimostrava nell’olio e nei tre vini presentati, peculiarità di territorio da uve catarratto e nero d’Avola.
SE L’OCCHIO, NON VEDE
Bosco Falconeria è antica contrada partinicese, su queste terre sedimentano storie secolari, prima sicane, poi romane, arabe, federiciane, borboniche, sino ai nostri tempi, detti moderni. Spettatrice di questo avvicendarsi è stata, e persiste nel farlo, la natura di questi luoghi, col sorvolare di gheppi e poiane, col crescere lento di querce, nel frinire di cicale sull’asfodelo.
Quella del 2022 è stata una stagione violenta, di api disperate, un’estate calda e secca, tanto secca da diventare pericolosa.
Il giorno precedente al nostro arrivo un incendio ha lambito casa e boschi, nonostante le linee tagliafuoco. Per un soffio non è successo l’irreparabile. È stato un attimo, velocissimo, giusto il tempo di percepirlo al naso e quel muro di fiamme si è presentato alle porte, alle 12:30, quando Rami era preso a etichettare. Natalia ha chiamato i soccorsi ma i confini amministrativi di quella terra, le competenze, i «non spetta a noi», rischiavano di conclamare un disastro. Così si è deciso di fare da soli, con quel che c’era. Il vento, o se non lui qualcosa, ha cambiato il verso delle cose nel momento giusto, una miracolosa circostanza che ha frenato le fiamme e la paura che andasse tutto perduto.
Dell’incendio, quando arriviamo, è rimasto un panorama nero e scorticato a una manciata di passi dal canneto, dagli ulivi, dalla casa. Dell’incendio è rimasta la rabbia di come vanno le cose e di come occorre governarle.
La fuliggine svolazza ancora intorno e ha forma di piuma.
SE LA PELLE NON TOCCA, NON SA
«Vi ho preparato pure la luna» ci dice a sfottò Tonino la sera, di fronte a un cielo che è sconvolgente di fulmini che esplodono tra le nuvole in lontananza e un contrappunto di fuochi d’artificio, «sì, vi ho preparato anche i fuochi».
Solo i gruccioni, splendidi, sono ancora disorientati e volano cercando pace e nuovi nidi. Dopo l’adrenalina nel patio di casa Simeti si odono voci di gioia, allegria.
L’estate siciliana è un vortice centripeto, una calamita, una madre sirena. Ogni pagliuzza ferrosa cede alla forza magnetica dell’origine, ogni marinaio si arrende docile al richiamo. La famiglia chiama a sé i propri esemplari sparsi per il mondo. E noi a questo radunarsi partecipiamo.
Come sciame intorno all’alveare, sono arrivati/arrivano a casa di Natalia tutti.
È un raduno multilingue, universale. Francesco, fratello di Natalia ha famiglia a New York, lì è artista famigerato, Martina Simeti, nipote a Tonino, è figlia di Turi Simeti, pittore e scultore grandissimo, che ha fatto la storia dell’arte informale con Burri, Schifano, Tano Festa, Fontana, Manzoni. C’è Rami Salo, anima finlandese di Bosco Falconeria, maestro di Tai Chi Chuan e compagno di Natalia. Un insieme dinamico e ramificato che ruota intorno al nucleo affettivo che sono queste case e in queste case ci sono Tonino e c’è Mary, Mary Taylor, moglie di Tonino, madre e nonna, e lei merita un discorso a parte.
SE L’UOMO NON IMMAGINA, SI SPEGNE
Mary arriva in Sicilia nel 1962. Newyorkese e fresca di laurea al Radcliffe College, si propone come volontaria in un progetto nel centro di sviluppo comunitario gestito da Danilo Dolci. La Sicilia che conosce in quell’approdo è disgraziata, sprofondata nella miseria, nell’abbandono. Il lavoro svolto da Dolci è una spietata traversata nel deserto e Mary deve farci i conti, con le visioni di Danilo, con le feroci situazioni di vita. In quei mesi di formazione Mary conosce Tonino, a quei tempi insegnante di Estimo all’Università di Agraria a Palermo. La morte del fratello maggiore di Tonino impone a entrambe l’approdo a Bosco Falconeria poco prima degli anni Settanta, all’inizio solo nei fine settimana poi in modo più stabile. L’azienda di proprietà della famiglia di Tonino dagli anni Trenta è sempre stata nugolo operoso e vitale per il territorio. Il progetto agricolo, in assoluta devozione nei confronti di quel territorio naturalistico, culturale, parte così. Gli intoppi non saranno pochi, tra tutti il devastante terremoto del ’68 nel Belice, ma saranno di più, però, le felici intuizioni, come la conversione al biologico avvenuta intorno al 1985, ad esempio.
Negli anni Ottanta Mary prenderà a collaborare con diverse testate giornalistiche soprattutto americane e inglesi ma anche italiane. Scriverà di viaggi e di cucina siciliana, si addentrerà con curiosità nella tradizione gastronomica regionale e, conseguentemente, nella cultura, nelle usanze, nel sapere millenario dell’Isola di Persefone. Mary coltiva quel patrimonio di conoscenza ampissimo che oggi è essa stessa. Mai ferma, sempre esploratrice, Mary oggi sa quasi tutto, della Sicilia e delle sue genti, e il suo è un sapere aperto e disponibile. A fare un passo indietro, nel corso delle nostre storie personali, prima ancora de La Terra Trema, è lei, Mary Taylor, che incontriamo, nei libretti di cucina attratti dai romanzi di Tomasi di Lampedusa, da minne di vergine e monachelle laboriose, sapore di dolci di mandorle.
COME UN LIMONE LUNARE / CHE NON RIPOSA MAI
La campagna che Tonino, Natalia e Mary accudiscono è per forza di cose sterminata, non ha mai quiete, vorrebbe e chiede sempre lavoro, attenzione, cura. La vigna, gli ulivi, le fave preziose, il frutteto diffuso, il suo tesoro infinito di cachi, albicocche, gelsi, susine, pere, melograni, fichi, mandorle, carrube, nespole, mandarini, gli agrumi, il sommacco, gli avocado. «Non ti puoi fare una passeggiata senza che non trovi qualcosa da risolvere» si dice piano Tonino.
Con gli avocado ha un legame tortuoso, iniziato con una sperimentazione per l’Università, negli anni in cui insegnava. Tonino li minaccia uno a uno, giorno per giorno, questi alberelli indisponenti. «Quello fa poco, quello li fa piccoli». Le minacce di Antonino son prese seriamente si vede, perché a ogni minaccia di abbattimento «qualcosa fanno». Tonino dice che hanno animo ozioso «non è che si affaticano molto». Sorride.
Lasciamo Tonino con Nasu, cane di famiglia. Le vigne le attraversiamo con Natalia.
Il nuovo impianto a nero d’Avola ha deciso di destinarlo al rosato, una grande novità per loro. Era un po’ che Tonino sollecitava: «Natalia, perché non fai un rosato?». Natalia non era un’appassionata ma quando sono entrati in produzione i vigneti nuovi a nero d’Avola, la differenza con le vigne storiche era talmente conclamata da imporre un cambio di rotta per dominare quei rapporti tra vecchio e nuovo. È l’estate 2019 quando comincia a collezionare rosati per farsi l’idea di un percorso, di un punto d’arrivo. È così che scopre un mondo nuovo. Il risultato sono 1100/1300 bottiglie, uscite in piena pandemia, quasi in sordina, di Alcamo doc Rosato 2020.
Camminiamo ancora tra filari di vigne ed erbe spontanee altissime, tra piante da frutto e querce. Una di queste è da sughero, memoria di un tempo in cui qui erano più ricorrenti e la via era detta suveraia. Natalia, in vigna, cerca di intervenire pochissimo, solo con sovesci da spontanee e leguminose, se si può. Tonino tanti anni addietro ha compiuto non pochi passi indietro rispetto alla conduzione familiare e quella è la strada che lei vuole mantenere. Ha una visione precisa della natura del suolo, frutto di mille domande, di prove, tentativi. Lavorare con perizia, con cura, chiedersi come muovere, con che mezzi. Vorrebbe far partire un lavoro serio sulle linee di scorrimento dell’acqua, per non perderne neanche una goccia, per convogliarla o fare in modo che la terra riesca ad assorbirla per bene. Non è solo un desiderio di rigenerazione, è una necessità, altrimenti saranno disastri, danni, problemi. Come già è accaduto.
«Non vogliamo che i fiumi si disperdano nel mare e le montagne aride si erodano, rimanendo allagati a ogni piovasco. Non vogliamo case insicure, senza respiro, scuole-galere tra mura decrepite, né fontane con quattro pisciatelle né le piante in museo, in tre giardini per la domenica. Non vogliamo restare inerti, o non valorizzati (…) E acque democratiche vogliamo – e come l’acqua ogni fonte di vita» così aveva scritto, poco lontano, Danilo Dolci ne Il limone lunare (1970), che qui scandisce anche questo scritto.
È un’emergenza lenta dunque. Accentuata dal clima che cambia, anche qui. Il «vento di terra» che la notte soffiava e asciugava ha lasciato il passo a un’aria più umida che porta rischio, che apre le porte a funghi e muffe, peronospora. L’escursione termica ha cambiato le misure e il mare è un brodo che non riesce più a rinfrescare come prima.
RIVOLUZIONE È MUOVERSI OGNI GIORNO
La piccola vigna a catarratto che costeggia la strada è ad alberello all’alcamese, alberello sostenuto da tre lunghe canne che viene potato a ramo lungo chiuso a cerchio. È metodo di allevamento più impegnativo, perché la canna deve essere cambiata ogni anno. Qui persiste, monito, residuo, museale.
Le vigne restanti sono a controspalliera, per praticità, anche se i mezzi meccanici non sono quasi mai usati.
A Bosco Falconeria il modo di lavorare in vigna e in cantina è quieto, si fa fin dove si arriva a fare, non si inseguono chimere, si segue, coi propri tempi, la propria storia cercando di fare vini che somiglino a quel che si è, non a quel che è richiesto. Dalla vigna a catarratto nascono due vini, Falco Peregrino e Catarratto igp Terre Siciliane. Il primo è l’espressione più complessa, appassionata, caratteriale di queste uve: la migliore selezione, macerazione sulle bucce, affinamento in acciaio e poi in bottiglia. Al naso e in bocca riempie con tutto lo spessore di questa famiglia immane: fieno tagliato e deposto, la frutta poco più che acerba, una certa amarezza. Per entrambe le vinificazioni Natalia insiste sui tempi: sono vini che possono aspettare, dice, di anno in anno possono dire di più, sono storie che si complicano, che evolvono.
Catarratto igp Terre Siciliane lo berremo felicemente a Catania da Lino Volzone di Mulsum e con Pasquale e Floriana di Malopasso.
Gli ulivi alternano tre varietà: Biancolilla, Cerasuola e Nocellara del Belice, poi frante e messe insieme in un blend.
Le piante più giovani sono state impiantate da Tonino a sesto d’impianto, ravvicinate, con l’idea di toglierle a un certo punto. Natalia non ha mai voluto prendere in considerazione la possibilità di estirpare degli alberi ma adesso si rende conto che ampliare queste distanze potrebbe agevolare la crescita e lenire una certa sofferenza.
Prima degli ulivi, dopo il carrubo, sulla sinistra, ha preso spazio una nuova acetaia a norma, pensata coi modi della bioedilizia. L’aceto di Bosco Falconeria è una produzione affettiva, una passione, un’abitudine familiare. Tonino serba un quadernetto zeppo di appunti a riguardo e cura il suo aceto «agresto» fuori da lì, sulla soglia di casa, perché l’acetaia è «feudo di Natalia».
L’aceto in casa c’è sempre stato, c’erano botti e nonni che vi aggiungevano vino. Quando Natalia ha dovuto decidere, per un finanziamento, se fare la cantina e fare l’acetaia, ha scelto questa.
Nelle prime botti la madre è sottoposta a controlli periodici. Una volta deciso che l’aceto è pronto (quando raggiunge il livello di acidità gradita e quando l’alcol è conforme), è messo in una nuova botte ad affinare. Ne fanno uno bianco e uno rosso.
CIASCUNO CRESCE SOLO SE SOGNATO
Mary e Tonino hanno consapevolezza della memoria dei luoghi. Tonino sciorina uno dopo l’altro i momenti di un passato di lavoro nei campi, in vigna, in cantina, al palmento. Il terremoto del Belice massacrò il patrimonio rurale di palmenti, quello che rimane oggi è parte della sua casa, dentro la grande cucina. Racconta di quei luoghi di lavoro affollati, di lui piccolino che aiutava. Mostra le magnifiche coffe di corda intrecciata, gli argani, dice di spinte faticose, di un torchio enorme, del lavoro di tutti, «uno solo pigiava, gli altri scaricavano», dice delle quartare in rame che misuravano il mosto, del prezzo che si faceva a botte: « otto quartare facevano una salma, cinque salme facevano una botte». «E tu, ti divertivi» dice Mary, «e sì, perché guardavo soltanto» risponde Tonino, «al pompiaturi, a Minicu Bonventre, gli rompevo le scatole».
Mary, di suo, coltiva un giardino di memorie e pratiche e, nel raduno estivo e ogni altra volta che è possibile, coinvolge questa famiglia cosmopolita e impregnata d’arte al midollo nell’esercizio della vita agreste, della cucina, delle erbe spontanee, della materia prima da venerare. Quello che ha imparato negli anni, quel cucinare appreso dal mestiere di donne e uomini di Sicilia, si fa patrimonio di tutti, special modo dei più piccoli, i nipoti. La casa è un piccolo tempio eretto in onore di mani artigiane e operose: strumenti di lavoro, pentole di ogni foggia, giocattoli di legno e di latta, piccoli cavalli a dondolo di gesso alla maniera di Nunzio La Venuta, madonne in preghiera, temi votivi, carretti decorati. La Sicilia dei pescatori, dei contadini, degli scrittori e degli illuminati è qui, protetta, in ultimo, da uno sguardo contemporaneo ossequioso: l’opera artistica di famiglia, quella di Francesco Simeti fra tutti, cultura materiale di un secolo nuovo.
Il paesaggio appena fuori è un’oasi, un miraggio sospeso, un sogno avvenuto e risolto.
Nasu e Nana oziano attorno a noi, in prossimità delle aiuole curate da Mary e Tonino, ascoltano. Solo Virgola, cauta, non si avvicina.
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 26
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
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Last modified: 7 Ago 2023