PETRICORE

Cicale e sirene. Autobotti e pompieri vanno e vengono, bruciano i boschi residuali, brucia la monnezza, bruciano i campi e le cascine, bruciano le percezioni.

Qui intorno, tutto è secco, giallo, polvere in gola, tutto arde, tutto è arido.
Dove il mais cresce è alto come fosse agosto. Dove il mais cresce, misura le cose: dice se puoi bagnare il campo, se hai comprato l’impianto per irrigare, se hai un pozzo, se puoi attingere l’acqua oppure se non puoi farlo.

È un’aridità che costa cara. Che pagheremo, che pagherete, sempre di più. È un primo segno di come stanno andando i tempi. Una somma diabolica di speculazione, inflazione, disperazione. C’è la guerra nel mondo, c’è la guerra col mondo, c’è la guerra fra i mondi.

Il grosso malinteso è che crisi ambientali, crisi sanitarie, crisi dovute a tempi belligeranti debbano essere pagate da noi; che un’obiezione, una reazione critica e attiva, feroce, non sia ammessa, non sia presa neanche in considerazione. Si aspettino le agevolazioni, piuttosto, si aspettino gli incentivi, le detassazioni, si aspetti il contributo una tantum, il finanziamento ad hoc, l’approvazione del finanziamento del progetto mirato, si faccia il crowdfunding, la domanda di sostegno. Come se questo bastasse. A tutte, a tutti.

Nulla di tutto questo sarà risolutivo. Non saranno risolutive le politiche di «transizione», piuttosto, agevoleranno il divario, polarizzeranno le differenze, cementificheranno le disuguaglianze, forniranno un assist ai modi di produzione più predatori. Di questo se ne prenda atto.

Petricore è il nome dato all’impressione olfattiva della prima pioggia dopo l’arsura. La sensazione al naso della pioggia sul suolo assetato di acqua. Una nota pietrosa, minerale, linfa che esplode, che irrompe. Una scintilla. Qualcosa che stiamo dimenticando.