La mia rivoluzione o “Chi ha attaccato quelle mele sull’albero?”
Breve e improbabile storia della nascita di uno spettacolo internazionale sui semi rurali: S.E.M.I.S.
Di Giulia Bocciero
Fotografie di Aurore Émaille, Marine Lafon
Capita che mia madre racconti di quando ero bambina.
Fra le varie storie tenere, buffe – e a tratti bizzarre – c’è un episodio che nell’ultimo periodo mi è tornato spesso in mente. Avevo 3 anni e, come sempre, tenevo le mani attaccate al finestrino per guardare fuori dalla macchina e non perdermi nulla. Adoravo osservare il mondo dall’auto: mi sembrava di andare a una velocità che permetteva di vedere tutto senza vedere niente. Stavamo attraversando una strada di paese e la vegetazione scorreva come pronta a diventare un passato di verdure. Ad un certo punto, un semaforo mi regalò la folgorazione del giorno:
“Mamma!!! Guarda quell’albero!!! Qualcuno ci ha appeso delle mele!!! Chi è stato?!”
Sono sempre stata una bambina curiosa e, checché ne dica la mia esclamazione, intelligente.
Non sono cresciuta in campagna e i miei facevano la spesa al supermercato. Le mie mele erano spesso confezionate o in dei sacchetti di plastica. Nella logica di una bimbetta di città – si fa per dire, la mia città aveva appena 60.000 abitanti – quelle mele potevano essere finite sull’albero solo grazie allo scherzone di qualche passante. Per me il “contadino” non aveva alcun ruolo, forse nemmeno esisteva. Se c’era, era triste, gobbo, aveva un cappello di paglia e lavorava la terra. Che significava poi “lavorare la terra”? E perché tanta fatica?
Il giorno in cui misi la mano in una vasca piena di vermi mi tornò in mente il povero contadino del mio immaginario e credetti di capire che cosa significava lavorare la terra. A Fano, nelle Marche, esiste un luogo chiamato Casa Archilei che insegna ai bambini e alle bambine a co-esistere con la natura. Ho passato un paio d’anni a correre nel prato di quel vecchio casale, a scoprire il profumo delle bucce d’arancia nel camino, a costruire oggetti con materiali di recupero, ad imparare i nomi degli alberi e ascoltare storie dimenticate. Alcune maestre (di vita) mi insegnarono con severa dolcezza che all’ansia di capire dovevo sostituire il piacere di sapere, che, forse, sarei potuta arrivare a capire tutto quello che desideravo, ma non da sola, e soprattutto che era possibile farlo confrontandosi con un’altra persona. Scoprire l’Altro, è stata la mia rivoluzione.
Per arrivare a capire realmente cosa significasse lavorare la terra e a cosa servisse quella fatica sconosciuta ci ho messo più o meno vent’anni. Poco prima della pandemia, io e il mio compagno, Davide, stanchi e delusi dalla città – questa volta una vera, di circa un milione di abitanti – abbiamo deciso di trasferirci in una casetta in collina, fra i boschi. Entrambi “ospiti” non avevamo mai vissuto il contatto diretto con la terra, la sua vita brulicante e silenziosa. La nostra porzione di casa faceva parte di una grande villa del Settecento appartenente a una signora e un signore di circa ottant’anni. Accanto a loro, sotto di noi, la “custode” della villa con estrema cura e dedizione si occupava di tutto: la pulizia degli spazi comuni, delle sale, della piscina, il contatto con i visitatori, la cucina, le galline, il roseto, l’orto. Iniziammo a darle una mano in cambio di uova, zucchine e pomodori, senza renderci conto di un altro bene prezioso che ci veniva offerto: la tecnica, quello che in francese viene chiamato “savoir faire”. Ed ecco il primo germoglio del mio rapporto con la terra (e con la zappa).
Lo stesso anno si concludeva un percorso iniziato nel 2018 con il Social Community Theater di Torino e il Théâtre National de Nice: un master di Teatro Sociale di Comunità al confine fra Italia e Francia, sulle montagne per recuperare storie e testimonianze transfrontaliere – grazie al quale conobbi Maxime Schmitt. Max è un agricoltore attivista, ricercatore e divulgatore. Vive in Liguria con sua moglie con cui fa un olio molto buono che porta spesso con sé e che è sempre pronto a condividere con chi è a tavola insieme a lui. Ci trovammo insieme a lavorare a una performance sui semi. Io non ne sapevo nulla (avevo superato la fase “mele appiccicate sull’albero”, ma ero ancora in quella “niente pomodori a dicembre?!”). Avevo però dalla mia un bagaglio di competenze che interessava molto a Max: la capacità, attraverso il teatro, di mostrare qualcosa di invisibile a un pubblico. Misi la mia esperienza di attrice/autrice a disposizione e ascoltai le spiegazioni di Max: la questione dei semi – di cui nemmeno sapevo l’esistenza, un po’ come la figura del contadino quindici anni prima – non era una cosa da poco.
“Dietro tutto quello che siamo ci sono dei semi.” Questa frase mi rimbombava in testa. Elaborammo una breve performance sull’importanza dei semi e della loro indipendenza, la presentammo a un pubblico che conosceva bene il valore delle nostre parole ed io lo imparai osservando le loro reazioni. Quei semi rappresentavano un “commun“, una materia viva e condivisa di sapori, tecniche, tradizioni, lotte e viaggi. Raccontavano l’identità di un paese senza negare l’esistenza di tutti gli altri.
Dopo due anni di peripezie, incontri, scoperte e un’altra casa per me e il mio compagno, in cui coltivare le nostre zucchine e i nostri pomodori, decidemmo insieme a Max di creare uno spettacolo. Nouvelle Plague, la nostra compagnia teatrale, creata nel 2017 insieme a Davide Simonetti accetta una sola definizione: indipendente e senza fissa dimora. Per noi, immaginare di creare uno spettacolo da zero è ogni volta un atto di coraggio che deve essere accompagnato da onestà e determinazione, altrimenti finisce nella cartella “idee”. Ciò che ci spinge ad accettare una proposta di spettacolo è il livello di coinvolgimento che sentiamo, l’interesse che proviamo per il tema: generalmente quelle che trattiamo sono sempre storie omesse o dimenticate. Quella dei semi è una narrazione invisibile e infinita, madre di tutte le altre storie. Impossibile resistere.
Una stanza della nostra casa è stata adibita a piccola sala prove e studio. Abbiamo chiesto a Max di farci una formazione teorica intensiva e il più possibile accurata sui semi, la loro produzione e la legislazione europea che ne regola la diffusione e il commercio. Mi sono resa finalmente conto che a volte non basta avere una persona in gamba che ti spiega qualcosa, bisogna anche accettare di non capire tutto, senza perdere il desiderio di farlo.
Co-evoluzione, biodiverstà coltivata, ibridi F1 e disobbedienza civile sono diventate le nostre parole-chiave: i capitoli del nostro spettacolo. In una settimana di residenza (a casa nostra) abbiamo elaborato un primo studio di circa mezz’ora. La seconda parte di residenza (a casa di Max) ci è servita per dare ritmo alla nostra creazione e renderla sempre più chiara.
In scena, io e Max, entrambi esperti nei propri settori (teatro e agricoltura) e inesperti nei nuovi panni che vestiamo – quelli di divulgatrice e di attore – ma tremendamente onesti con la voglia di comprendere e far comprendere. Alla regia, (nella versione francese) Davide, custode della forma della nostra nuova creatura.
Grazie alla Maison des Semences Paysannes Maralpines di cui Max è coordinatore troviamo le prime date: una tournée dalla Provenza ai Pirenei. Partiamo con cinque scope per raccontare le prodezze dell'”amélioration génétique“; una sequenza di acroyoga per parlare dei vuoti della legge in cui potersi infilare; una canzone originale dedicata alla “femme semencière“; un gomitolo di lana per mostrare che è possibile organizzarsi in collettivo e altre scene che provocano spettatori e spettatrici motivandoli a fare qualcosa e, ancora prima, a capirci qualcosa.
Lo spettacolo è stato concepito come un manifesto vivo sull’indipendenza dei semi che viene seguito da un momento di confronto con il pubblico: per noi il teatro serve a porre le domande, il dibattito a trovare insieme le risposte. Chi già sa ci ringrazia per il solo fatto di parlarne o per averlo spiegato ai suoi figli, chi non sa spalanca occhi e bocca: partecipare a questa presa di coscienza collettiva è per noi qualcosa di estremamente emozionante. L’ultima data è stata a metà ottobre a La Brigue, fra Francia e Italia, nelle terre dov’è nata la sua prima versione.
Marie Bonneville, una vera “femme semencière” ci ha accolto nella sua serra e con generosità e passione ha messo in contatto diverse realtà. Ciò che conta per noi è proprio la “rete” che si crea ogni volta che facciamo S.E.M.I.S. Spectacle Européen de Mobilisation pour l’Indépendance des Semences perché permette allo spettacolo di vivere, evolvere e provocare cortocircuiti ove possibile (e perché no, anche dove non è proprio previsto…). Presto inizieremo a tradurre lo spettacolo in italiano per poterlo far girare in primavera/estate 2022.
Adesso non riesco più a pensare al contadino o alla contadina come a una figurina stilizzata.
Vedo tutti i volti delle persone che ho incontrato finora – oltre a quelli delle persone da cui compro da mangiare. L’immagine del contadino gobbo e triste l’ho intravista un paio di volte, ma quella che ho visto di più è quella del contadino o della contadina arrabbiati e stanchi, forti, presenti e innamorati della propria scelta. Hanno in comune gli occhi accesi di chi conosce la vita, ma quel che è straordinario è che alcuni hanno girato il mondo, altri non sono mai usciti dal proprio campo.
Per quanto riguarda me, ho imparato un sacco di cose: ho scoperto che le mele crescono sugli alberi, che ogni verdura ha la sua stagione, che “la fretta vuole il tempo”… ora sono nella fase intermedia-avanzata in cui cerco di accettare che quello che esce da me non è solo uno scarto, ma può tornare alla terra e diventare concime per cui non ho bisogno di sprecare 40 litri d’acqua per ogni pipì. Ci vorrà un po’, ma mi sto impegnando.
Giulia Bocciero (1993) è performer, autrice e regista.
CREDITS:
lanouvelleplague.wixsite.com/nouvelleplagueteatro
mspm.fr
www.archilei.it
www.terract.eu
www.jardin-rocambole-roya.com
www.sol-asso.fr/semons-notre-autonomie-un-outil-pour-explorer-la-legislation-autour-des-semences/
INFO:
lanouvelleplague@gmail.com / semencemaralpine@gmail.com
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 22
16 pagine | 24x34cm | Carta Nautilus Classic gr 100 | 2 colori
LEGGI E SOSTIENI L’Almanacco de La Terra Trema.
Le modalità di adesione sono elencate QUI.
Last modified: 9 Gen 2022