In Palestina la terra non è solo fonte di cibo ma anche simbolo di resistenza, libertà, indipendenza. Gli agricoltori palestinesi sono guardiani di territori, in lotta per la salvaguardia della propria sicurezza alimentare e contro l’oppressione delle proprie terre

testo e fotografie di Fareed Taamallah*
traduzione di Stefano Rizzardi

English version below

Premessa: la Palestina viene occupata nel 1948 con la nascita del così detto nuovo “Stato di Israele”, che ha subito espropriato il 73% delle terre palestinesi e ha condannato i 2/3 della popolazione indigena a diventare profughi, conseguenza diretta della pulizia etnica avvenuta durante la catastrofe di Nakba.

Nel 1967 Israele occupa quanto restava della Palestina, compresa la Cisgiordania, Gerusalemme e la striscia di Gaza.

Dal 1967 Israele ha costruito 143 colonie in Cisgiordania, Gerusalemme compresa, ospitando circa 585.000 coloni ebrei israeliani, oltre a 97 avamposti; insediamenti costruiti senza una vera autorizzazione ufficiale.

Tali colonie sono state costruite da Israele su terre palestinesi confiscate ai loro proprietari, per consegnarle ai nuovi colonizzatori, privando i palestinesi dell’accesso alle proprie terre e alle proprie risorse idriche necessarie per l’agricoltura. I coloni hanno anche distrutto fattorie, dando fuoco agli alberi, attaccando i contadini, sradicando gli alberi e rubando i raccolti. Nel 2012 l’UNOCHA (L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) ha riportato che tra gennaio e metà ottobre sono stati distrutti 7.500 olivi in attacchi da parte dei coloni.

Nel corso degli anni di occupazione si ritiene che circa 2,5 milioni di alberi palestinesi, un terzo dei quali sono olivi, siano stati sradicati dall’esercito e dai coloni israeliani. 

Nel 2003, Israele ha iniziato a costruire un muro di segregazione sulle terre palestinesi. La lunghezza del muro è di 773 km e isola circa 710.881 dunum (più di 71.000 ettari), ovvero il 12,7% del territorio della Cisgiordania dietro il muro. Inoltre, sono stati sottratti alle comunità palestinesi 28 pozzi sotterranei e 27 sorgenti d’acqua.

Le politiche di occupazione hanno costretto molti contadini palestinesi ad abbandonare la terra, a diventare lavoratori del settore edile israeliano, alla mercé delle autorità israeliane, mettendo a rischio la stessa sicurezza alimentare palestinese.

Oggi, ciò che resta dei contadini palestinesi che continuano a coltivare stanno lottando non solo per produrre cibo, ma anche per proteggere le proprie fattorie, i propri alberi e le proprie terre dalla confisca da parte dell’esercito e dei coloni israeliani. 

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Se gli olivi conoscessero le mani che li hanno piantati, il loro olio diverrebbe lacrime!


L’olivo è una delle principali colture agricole nei territori palestinesi, dove è coltivato principalmente per la produzione di olio d’oliva. È stato stimato che la produzione di olivi rappresenti il 57% della superficie coltivata nei territori palestinesi, con 10 milioni di olivi piantati in 900.000 acri.  La produzione media annua stimata degli olivi è di 100.000 tonnellate di olive che producono 24.000 tonnellate di olio, che costituiscono circa il 15% del reddito agricolo della Palestina (2,4% del PIL). Circa 80.000 famiglie dipendono dalle olive per il proprio reddito primario, un’economia considerata principalmente un’impresa familiare. 

L’olivo è visto da molti palestinesi come simbolo di nazionalità e di connessione alla terra, soprattutto per la sua lenta crescita e longevità. Gli alberi di olivo assumono un significato più che economico nella vita dei palestinesi. Poiché sono resistenti alle siccità e sono capaci di crescere anche quando il suolo è in cattive condizioni, rappresentano la resistenza e la resilienza palestinese. Il fatto che l’olivo viva e fruttifichi da migliaia di anni è una testimonianza che corre parallela alla storia palestinese e mostra la continuità di una terra, i palestinesi sono orgogliosi dei loro olivi, e si prendono cura di loro con attenzione e dedizione. La raccolta delle olive era un tempo un momento di gioia per le famiglie palestinesi, che celebravano il raccolto e il loro legame con la terra. Eppure, ormai da molti anni, la raccolta delle olive si svolge sotto l’ombra dell’espropriazione  delle terre, delle restrizioni imposte da Israele in merito all’accesso ai lotti che rimangono, degli attacchi dei coloni ai raccoglitori e della vandalizzazione degli alberi. Alcuni oliveti sono situati nelle immediate vicinanze degli insediamenti israeliani, o addirittura al loro interno, per cui gli agricoltori non hanno accesso agli alberi. In alcuni luoghi, l’esercito israeliano permette ai contadini (come il mio amico agricoltore Duha Assous da Burin) di raggiungere la loro terra solo due volte all’anno (e per un numero limitato di giorni), ovvero durante le stagioni del raccolto e dell’aratura. Anche allora, spesso gli agricoltori vengono allontanati dalla loro terra per vari motivi. Per ciò essi non sono in grado di prendersi adeguatamente cura degli alberi. Di conseguenza, gli olivi producono raccolti più poveri e gli agricoltori subiscono perdite economiche; tutto ciò costringe alcune persone a trovare altri modi per guadagnarsi da vivere.

Oltre all’occupazione e alla distruzione degli alberi, gli olivicoltori palestinesi si trovano ad affrontare altre sfide, come ad esempio:

– Oscillazione della produzione annuale: da 24 mila tonnellate negli anni di buon raccolto a 8 mila tonnellate negli anni di cattivo raccolto.
– Basso consumo: Le tendenze del consumo palestinese sono notevolmente cambiate nel corso degli anni, e si prevede di assistere ad ulteriori cambiamenti, da 10 litri l’anno pro capite negli anni ’80 a 3,5 litri l’anno pro capite di oggi.
– Aumento significativo del consumo di olio industriale fino a 8,5 litri l’anno pro capite.
– La siccità e il cambiamento climatico influenzano il 95% degli olivi in Palestina che per vivere dipendono dall’acqua piovana.
– Alti costi di produzione e prezzo basso. Un litro di olio d’oliva costa circa 4 euro, mentre viene venduto al mercato locale per 5 euro.
– Le esigenze di urbanizzazione palestinese, che significa trasformare le fattorie in complessi di edifici, soprattutto nelle città.

D’altra parte l’olivo è però percepito come una componente importante della tradizionale vita agricola palestinese, con diverse generazioni di famiglie che si riuniscono per raccogliere le olive a partire dalla metà di ottobre. La stagione del raccolto è spesso occasione di festeggiamenti per queste famiglie.

L’agricoltura come mezzo di resistenza: 
La Giornata della terra palestinese

Per i palestinesi, la terra non è solo la principale fonte di cibo, ma rappresenta anche resistenza, libertà e rivendicazione di indipendenza. Gli agricoltori sono considerati come difensori della terra, combattenti per la libertà e guardie della sicurezza alimentare. L’olivo è universalmente considerato il simbolo della pace ed è diventato vittima di violenza. Una realtà così straziante ha portato il celebre poeta palestinese Mahmoud Darwish a dire: “Se gli olivi conoscessero le mani che li ha piantati, il loro olio diverrebbe lacrime…”.

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L’agricoltura come forma di resistenza

Come agricoltori palestinesi, io e mio figlio Eyad stiamo cercando di contribuire a questa lotta proteggendo la nostra terra con la coltivazione e l’agricoltura. Possediamo una terra ereditata dai nostri antenati in un piccolo villaggio chiamato “Qira” situato tra Nablus e Ramallah. Produciamo olio d’oliva, olive in salamoia, sapone d’olio d’oliva, mandorle, fichi e molte altre verdure di stagione. Stiamo anche cercando di attrarre più persone, soprattutto giovani, a fare agricoltura, ed esortiamo gli agricoltori e i consumatori a tornare a metodi tradizionali di coltivazione e consumo. Eyad (19 anni) sta studiando ingegneria civile alla Birzeit University, e io sono un giornalista che lavora e vive a Ramallah; entrambi ci trasferiamo nella nostra azienda agricola nel fine settimana e durante la stagione per occuparci dei campi.

Stiamo cercando di promuovere l’idea che non ci sia bisogno di impegnarsi a tempo pieno per fare agricoltura, ma che la si possa fare nel tempo libero e nei fine settimana per produrre parte del proprio cibo e contribuire a proteggere la terra. Abbiamo co-fondato Jabal Qurtees, una fattoria comunitaria nella città di Ramallah, che mira a dare alle persone che vivono in città l’opportunità di fare agricoltura e produrre. Facciamo anche parte dell’iniziativa Sharaka Grass Root per sostenere i piccoli agricoltori.

Sharaka (in arabo, collaborazione) è un impegno gestito da volontari per garantire l’indipendenza alimentare della Palestina e preservare l’agricoltura tradizionale palestinese. Sharaka è stata fondata a Ramallah nel 2011 con lo scopo di collegare direttamente i consumatori palestinesi agli agricoltori, nel tentativo di sostenere i piccoli produttori palestinesi che continuano a coltivare la nostra terra come i nostri antenati hanno fatto per generazioni. Nell’attuale contesto di politiche economiche neoliberali, di rapida urbanizzazione e di forte immissione di prodotti importati a basso costo sul mercato palestinese, i piccoli produttori palestinesi stanno incontrando delle difficoltà a vendere i propri prodotti a prezzi equi e ragionevoli. Le attività di Sharaka comprendono l’organizzazione di giornate di lavoro volontario, un ristorante stagionale, un mercato estivo dei contadini, forme di acquisto collettivo dalla fattoria a casa propria, e la sensibilizzazione della comunità sull’importanza di effettuare acquisti locali e stagionali direttamente da piccoli agricoltori palestinesi.

La missione di Sharaka è quella di preservare il nostro patrimonio agricolo attraverso un rapporto agricoltore-consumatore che incoraggi l’agricoltura palestinese su piccola scala.
E la nostra visione è quella di ispirare un movimento nazionale che sostenga il ritorno a metodi di produzione e conservazione del cibo rispettosi dell’ambiente e biologici, con l’obbiettivo di raggiungere la sicurezza e l’indipendenza alimentare. Stiamo cercando di impegnarci per coltivare più terre abbandonate e piantare più alberi per resistere alle espropriazioni delle terre. Cerchiamo anche di salvaguardare le semenze e le specie di alberi autoctoni palestinesi organizzando eventi per scambiare semi locali e promuovere cibo e ricette del luogo. 

Il nostro messaggio principale è “Farming Is Resistance”: tutti siamo invitati a sostenere i nostri piccoli agricoltori, i veri combattenti per la libertà contro l’occupazione e il capitalismo.

Eyad ed io abbiamo partecipato all’edizione 2018 de La Terra Trema, per presentare il nostro olio d’oliva, il nostro timo, le nostre erbe aromatiche e la nostra storia. Abbiamo incontrato produttori di vino, produttori di olio d’oliva e molti consumatori e attivisti, abbiamo parlato con molti di loro. È evidente che noi tutti (consumatori e produttori in Italia, ma anche in Palestina e dovunque) affrontiamo le stesse sfide fondamentali, anche se possono sembrare diverse da un paese all’altro. 

Tre giorni a La Terra Trema sono stati brevi, ma la fiera è stata ben progettata e ci ha permesso di scambiare conoscenze, condividere la nostra storia, imparare dall’esperienza altrui, fare rete con gli altri olivicoltori e stabilire un collegamento con gli attivisti. Questo ha rappresentato sicuramente un ulteriore passo in avanti verso l’unità di fronte alle sfide comuni, a partire dal monopolio delle società dei grandi capitali, senza dimenticarsi della lotta contro le sementi OGM e l’espropriazione dei territori, battaglie imprescindibili per garantire il futuro dei nostri figli e per proteggere il nostro pianeta. Sarò sicuramente felice di partecipare nuovamente a La Terra Trema il prossimo anno con più prodotti, più energie e più storie di resilienza. 

Se il proverbio dice “meglio accendere una candela che maledire l’oscurità”, io dico che “è molto meglio piantare un albero che maledire la sottrazione dei territori”. In Palestina, nonostante la distruzione della terra e lo sradicamento degli alberi da parte di Israele, siamo riusciti ad aumentare il numero di olivi piantati da 6 milioni di alberi durante gli anni ’80 a 10 milioni di alberi nel 2017… e non ci fermeremo!

*Fareed Taamallah
Giornalista palestinese, agricoltore e attivista di Ramallah; gestisce la propria fattoria nel villaggio di Qira, Cisgiordania.

da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 11
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori


The palestinian farmer: food producer and land defender

By: Fareed Taamallah*

Palestine has fall under occupation in 1948 when the new so-called “State of Israel” was born on the ruins of the British mandate by occupying 73% of Palestine land, and kicking out 2/3 of Palestinian indigenous population who became refugees, by ethnic cleansing during the Nakba “catastrophe” of Palestinian people. 

In 1967 Israel occupied the rest of Palestine including West Bank, Jerusalem and Gaza strip, which means that all historic Palestine became under Israeli occupation since then up-to-date.

Later, Palestinian leadership made a compromise by accepting to have a Palestinian state only on territories occupied in 1967 (West Bank and Gaza) which constitute only 27% of Historic Palestine. Israel refused this proposal and kept using peace negotiations to control the whole land, to build more settlements and a wall on Palestine lands to segregate Palestinian population from Israelis. 

Since 1967 Israel has built 143 settlements in the West Bank including Jerusalem, housing about 585,000 Israeli Jewish settlers, in addition to 97 outposts – settlements built without official authorization.

All these settlements were built by Israel on Palestinian land confiscated from their owners, to be given for new settlers, and depriving Palestinians from having access to their land and water resources needed for farming. The settlers also do destroy the nearby farms and trees, by setting fire to the trees, attacking farmers and their farms, uprooting trees and stealing the harvest. In 2012 UNOCHA reported that 7,500 olive trees were destroyed between January and mid-October in Attacks by settlers.

Along the years of occupation, around 2.5 million Palestinian tree, one-third of which are olive trees, are believed to have been uprooted since 1967 by Israeli army and settlers. 

On the meantime, Israel started building a segregation wall on Palestinian lands in 2003. The wall length is 773 km and isolates around 710,881 dunums constitute 12.7% of West Bank Land behind the wall. In addition to that, 28 Palestinian ground water well and 27 water springs have been isolated from Palestinian communities. Extraction rate from these isolated wells reached 22 million m3/year which constituted more than 34% of Palestinians’ share in the Western Aquifer as stated within the Oslo interim agreement.

The Occupation’s policies forced many Palestinian farmers to abandon the land, to become workers in the Israeli construction sector, under the mercy of the Israeli authorities, Putting Palestinian food security at risk.

Now, the rest of Palestinian farmers who remain farming are struggling, not only to produce food, but also to protect their farms, trees and their own land from confiscation by Israeli army and settlers. 

“If the olive trees knew the hands that planted them, their oil would have become tears!!”

Olive trees are a major agricultural crop in the Palestinian territories, where they are mostly grown for olive oil production. It has been estimated that olive production accounted for 57% of cultivated land in the Palestinian territories with 10 Million olive trees planted within 900 Thousand Acres.  The estimated average of annual production of olive trees is 100,000 tons of olives producing 24,000 tons of oil, which constitute around 15% of Palestine’ agriculture income (2.4% of GDP). Around 80,000 households rely on olives for their primary income which mainly considered as family business. 

The olive tree is seen by many Palestinians as being a symbol of nationality and connection to the land, particularly due to their slow growth and longevity. Olive trees carry more than an economic significance in the lives of Palestinians. They are not just like any other trees, they are symbolic of Palestinians’ attachment to their land. Because the trees are draught-resistant and grow under poor soil conditions, they represent Palestinian resistance and resilience. The fact that olive trees live and bear fruit for thousands of years is parallel to Palestinian history and continuity on the land, Palestinians are proud of their olive trees; they take care of them with care and appreciation.

The olive harvest was once a joyful time for Palestinian families, celebrating the crop and their ties to the land. Yet for many years now, olive gathering has been taking place under the shadow of land grab, restrictions Israel imposed on access to the plots that remain, settler attacks on harvesters and vandalization of trees.

Some olive groves are located in close proximity to settlements, or even within them, so farmers have no access to the trees. In some places, the Israeli military allows farmers -Such as my friend farmer Duha Assous from Burin- to go to their land only twice a year – and for a limited number of days, at that – during the harvest and plowing seasons. Even then, farmers are often turned away from their land on various grounds. Because farmers are prohibited from accessing their land, they are unable to tend to the trees properly. As a result, the trees yield poorer crops and farmers incur financial losses, forcing some to find other ways to make a living.

The destruction of Palestinian Olive trees has become a feature of the Israeli–Palestinian conflict, with regular reports of damage by Israeli settlers

In addition to occupation, Palestinian olive farmer is facing other internal challengessuch as:

  • Fluctuation of annual Production: from 24 thousand tons at the good year down to 8 thousand tons at the bad year. 
  • Low consumption: The Palestinian consumption trends have changed remarkably over the years, and are expected to witness further changes, from10 liters per year per capita in 1980s to 3.5 liter per year per capita now a days.
  • Significant increase of artificial oil consumption reached 8.5 liter per year per capita.
  • Drought and climate change influence 95% of olive trees in Palestine which are depending on rain water.
  • High cost of production and low price.One Liter of olive oil costs around 4 Euros, while sold at the local market for 5 Euros.
  • Palestinian urbanization needs, which means turning farms into buildings compounds especially in the cities.

On the other side, Olive trees are seen as being a major component of traditional Palestinian farming life, with several generations of families gathering together to harvest the olives starting from mid of October. The harvest season is often associated with celebration for these families. Farming as mean of resistance Palestine Land day

For Palestinians, land is not only the main source of food, but also represents resistance, freedom and sovereignty. Farmers are considered as land defenders, freedom fighters and food security guards.

Olive tree is universally regarded as the symbol of peace, and has become the object of violence. Such heartbreaking reality has led the Palestinian famous poet, Mahmoud Darwish, to say, “If the olive trees knew the hands that planted them, their oil would have become tears …”

Farming as a form of Resistance

As Palestinian farmers, my son Eyad and I are trying to contribute to this struggle by protecting our land through cultivation and farming. We own a land inherited from our ancestors in a small village called “Qira” located between Nablus and Ramallah. We produce olive oil, olive pickles, oil soap, almonds, figs and many other seasonal vegetables. We are also trying to attract more people (especially younger people) to do farming, and do urge farmers and consumers to go back for traditional methods of cultivation and consumption. Eyad Taamallah (19 years old) is studying civil engineering at Birzeit University, and I am a journalist works and live in Ramallah, we go to our farm at the week end and during season to do farming.

We are trying to promote the idea that it doesn’t need to give a full time work to do farming, but can do farming at your free time and week-ends to produce part of your food and contribute to protecting the land. We co-founded Jabal Qurtees farm, a community farm in the city of Ramallah aims at giving urban people opportunity to do farming and produce. We also are part of Sharaka grass root initiative to support small scale farmers.

Sharaka (Arabic word means partnership) is as volunteer-run effort focused on ensuring a food sovereign Palestine and preserving traditional Palestinian agriculture. Sharaka was established in Ramallah since 2011 in order to connect Palestinian consumers directly to the farmers in an effort to support the small scale Palestinian farmers who continue to tend to our land as our ancestors have done for generations.  In today’s environment of neoliberal economic policies, rapid urbanization, and excessive dumping of cheap imported products in the Palestinian market, small scale Palestinian producers are finding it difficult to marketing their produce for fair and reasonable price. Sharaka’s activities include organizing voluntary working days, an underground seasonal restaurant, a summer farmers market, from the farm to your home collective purchase, and raising awareness within the Palestinian community on the importance of consuming local and seasonal purchasing directly from small scale Palestinian farmers.

Sharaka’ Mission is to preserve our Palestinian agricultural heritage through farmer-consumer partnership that encourages small-scale Palestinian farming.

And our vision is toinspire a national movement supporting the return to environmentally-friendly, organic farming, food production and preservation methods, to move towards food security and independence.

We are trying to do cultivating more abandoned lands and Planting more trees to resist Land grabbing. We also try to maintain Palestinian local seeds and types of trees by organizing events to exchange local seeds and promote local food and recipes.
Our main Slogan is “Farming Is Resistance” means that we all are required to support our small scale farmers, who are the real freedom fighters against occupation and capitalism. 

We (Eyad and myself) have participated in the 2018 edition of Terra Trema, to exhibit our olive oil, Thyme, herbs and more important..our story. We met wine producers, olive oil producers and many consumers and activists, we talked with many of them. It is very clear that we are all -consumers and producers in Italy as well as in Palestine and everywhere- have similar core challenges, although it might look different from one country to the other. 

Three days at Terra Trema was short, but the exhibition was well designed in a way enabled us to Exchange knowledge, share our story, learning from other’s experience, and do networking with our counterparts who produced olive oil and to establish connection with activists. That definitely is a further step towards unity in front of mutual challenges starting from the monopoly of big Capital companies, but not ending with confronting the GMO seeds and land grabbing, which seems a must to maintain the future of our kids and to protect our planet. I will be definitely happy to come gain next year to Terra Trema with more produce, more strength and more stories of resilience. 

The Proverb says “better to light one candle than to curse the darkness” and I say that “it is much better to plant one tree than to curse the land grabbing”. In Palestine, despite all the land destruction and trees uprooting done by Israel, we succeeded to raise the number of planted olive trees from 6 million trees during 1980s up to 10 million tree in 2017 .. and we will continue!

*Fareed Taamallah: Palestinian journalist, farmer and activist from Ramallah and running his own farm in the village of Qira

Extract from L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 11
16 pages | 24x34cm | Recycled cyclus offset paper gr 100 | 2 colors


Last modified: 30 Ott 2023

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