Concetta è una donna straordinaria, contadina, sciamana, custode di un patrimonio immenso di cui non si rende conto: quello dell’agricoltura primitiva concepita su semplici livelli, l’uomo/la donna e la terra
Il sasso di Concetta
Testo e fotografie di Antonio Secondo
La cucina ha la sua stessa aria vissuta. Sarà per questo che qui, più di altrove, si sente serena. Da una scatola frigo tira fuori gli amaretti per accompagnare il caffè.
“Prendine di più”, mi dice quando vede che, per creanza, ne ho tirato fuori uno solo.
Dopo aver addentato il primo mi sbilancio in qualche complimento, ma non di circostanza: il loro sapore è quello della dedizione. L’argomento le interessa, il mio apprezzamento ha involontariamente toccato un suo piccolo vanto e passa subito a raccontarmi altre sue specialità della biscotteria secca locale. Letizie, confortini, scarponi, ceci ripieni: dolci dai nomi e dai sapori démodé, per chi come me non è pratico di alchermes e di biscotti fatti lievitare con polvere d’ammoniaca. Piccole meraviglie di pasticceria artigianale, il cui rito di preparazione costituiva, un tempo, motivo di raduno per le donne del paese in occasione di matrimoni e funerali, quando alle vedove, insieme a carne e caffè, veniva offerto il recùnzele (consolo) per sottrarle alla solitudine. Questo, lei, lo racconta con parole sue, allungando lo sguardo oltre le lenti degli occhiali e muovendo le mani per sottolineare il punto saliente di ogni frase.
Concetta narra quel mondo, il suo, così, illuminata dalla luce del primo pomeriggio che entra dall’unica finestra della stanza, con l’enfasi e il tono di un’attrice sul palcoscenico. Un mondo al tempo stesso così vicino e così lontano da me, che per questo mi colpisce. C’è, nella sua forma mentis, nel suo modo di ragionare, di esporre, l’attitudine in estinzione di una stirpe, anch’essa prossima alla scomparsa. Oggi ho promesso di accompagnarla in montagna. Su un altopiano nelle vicinanze, un vecchio pastore ha da qualche anno abbandonato il rifugio in cui si era stabilito con i suoi animali. La terra battuta nel ricovero del gregge è terriccio reso grasso e fertile dalla permanenza delle pecore. Quando le occorre, Concetta sale sull’altopiano per raccoglierne quel che gli basta per il suo orto, in sacchi di iuta conservati allo scopo. È lì che Concetta parla col vento di Baùllo, le correnti perpetue dell’altopiano che in tempi remoti furono malia di pastori e viandanti, e oggi solo materia prima per i parchi eolici di Collarmele. Questa sua capacità l’ha resa in grado di indovinare il tempo con lo sguardo e oggi, dice, pioverà sul Sirente, così la nostra uscita è da rimandare a domani. Suo nipote mio amico di lunga data, propone allora di cambiare itinerario e dirigerci alla pineta del paese sul versante opposto della valle per fare incetta di pigne, utili ad accendere la stufa. Concetta guarda di nuovo la montagna.
“Chissà” dice, volgendo lo sguardo da quel lato piuttosto delusa.
Nel frattempo c’è da organizzare i rifiuti. Carta e cartone vanno messi da parte per accendere stufa e camino. Del cartone, in particolare, va selezionato quello senza inchiostro, che serve per avviare i fuochi destinati agli arrosti. Taniche in vetro e plastica sono utili a pollaio e conigliera, lo stesso vale per un certo tipo di umido destinato ai beccatoi. Di quest’ultimo fanno parte scarti di pane, verdure, frutta e ortaggi, mentre carne, pesce, formaggio e dolci, insieme alla restante parte di umido, vanno nella compostiera per la terra. Il peperoncino, in piccole quantità, è destinato alla pappa dei polli, perché incrementa la produzione di uova, insieme alle cocchie polverizzate che fungono da integratore per rendere i gusci più solidi. Va per il pollame anche una piccola parte dell’aceto utilizzato per la cottura delle verdure da conserva. D’inverno, mischiato col pappone, rende immuni le galline da raffreddori e malattie. Quello che avanza, mischiato con una parte di sale, viene gettato sul vialetto per ridurre l’insorgenza di infestanti. La cenere, quasi tutta di faggio, si tiene a parte, per la coltura di legumi e liliaceae. I barattoli di vetro, anche senza coperchio (ce ne sono in abbondanza in cantina) e alcune bottiglie servono per le conserve stagionali. Potrei continuare ancora, ma questo è solo ciò che sono riuscito a memorizzare. Resta fuori solo la plastica.
“Non ho ancora scoperto come riutilizzarla tutta” ironizza lei, mentre noto che le è tornato il sorriso.
Il netturbino, mi dice, la prende in giro perché dai suoi secchi non c’è mai da raccogliere niente. Qualche ora con Concetta vale un intero corso di educazione ambientale. Nel piccolo orto dietro casa c’è gran parte di ciò che occorre per l’approvvigionamento annuale, in cucina e nella cantina quello che serve a conservarlo. Il paese è piccolo e il primo supermercato si trova a qualche chilometro di distanza. Così, per gli abitanti, un pezzo di terra ben organizzato costituisce ancora una comoda ed economica forma di sussistenza. In quello di Concetta, le piante officinali si trovano a ridosso del vialetto lastricato, in modo che la loro raccolta sia agevole anche nei giorni di pioggia. In questa organizzazione, il basilico occupa una posizione di rilevanza, dal momento che viene sfruttato maggiormente, e le sue infiorescenze, una volta essiccate, vengono immerse nei barattoli di sugo per perfezionarne il sapore.
Tutto il suo creato ha il valore di un ecosistema originale, modellato con fare divino. Un universo che estende i suoi confini alla totalità della zona pedemontana circostante. Da qui, infatti, vengono attinti frutti di bosco per le confetture di torte e biscotti, erbe spontanee, stabbio, noci e nocciole e il legname per la stufa e la riparazione di utensili.
Un ramo di ginepro raccolto nel sottobosco diviene facilmente un sostegno per le colture rampicanti, o il nuovo manico di un bidente.
Io e Francesco ci soffermiamo nella raccolta delle nuove melanzane mature, mentre Concetta torna in casa a mondare quelle appena stipate nella cassetta e prepararle per le conserve. Di nuovo in cucina, la trovo impegnata ad armeggiare con gli scarti, mentre un pesante sasso, spuntato da chissà dove, grava sullo scolapasta che contiene strati di melanzane e sale.
“L’ho trovato anni fa mentre facevo genziana sul Sirente. Me lo sono caricato da sola, l’ho lavato e tenuto per questo uso. Era della misura giusta”.
Lo dice con un candore che mi commuove. Quanti ancora riconoscono il valore di un sasso, di un ramo di ginepro. Quanti traggono presagi dalle nuvole in arrivo, o dal vento che soffia. Quanti, infine, pongono domande alla terra per capire di cosa abbia bisogno, versando un bicchiere di vino prima di un nuovo ciclo di colture confidando in un anno di grascia. Nella semplice apparenza di Concetta è racchiusa una storia antica, quella del popolo appenninico. Il suo sapere non proviene dai libri, ma dal bagaglio culturale tramandato da chi, prima di lei, ha osservato questa terra per millenni, perfezionando l’arte di allevarla.
Nel suo sguardo alle cime del Sirente è racchiuso l’incanto dei Kurgan, primigeni pastori indoeuropei che trovarono in queste lande terreno ideale per l’allevamento ovino. Nel suo cuore sopravvivono gli archetipi delle colonie albanesi dei Cerauni, le cui inquietudini ancora animano i racconti contadini locali. Nella sua concezione del tempo e degli elementi, persiste la vena sciamanica degli eremiti che fecero delle montagne abruzzesi palestre di dialogo interiore e dimore di solitudine.
C’è tutto questo in Concetta, ultima erede di un mondo che scompare con lei, trascinando con sé le maestrie acquisite dai pastori dei thòlos, il sapere degli amanuensi benedettini, la potenza matriarcale delle donne di montagna che fecero la storia dei paesi transumanti. Un patrimonio di cui lei è tra gli ultimi custodi, incompatibile con l’attuale e per questo suo di diritto, il giorno in cui scomparirà del tutto.
Antonio Secondo
Scrive e vive di e in Abruzzo. Studia da anni le dinamiche, la morfologia, il carattere, il folklore e il paesaggio del suo territorio, raccontandolo attraverso il blog di cui è editor e curatore: Gotico Abruzzese
da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 11
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
Last modified: 17 Mag 2023
Teneramente antico, rimpianto di valori che scompaiono sacrificati dal nostro finto essere modernamente evoluti.
Breve e saggio. Una lettura ottima per avviarsi alle terre d’Abruzzo