Fiorisce tra i primi di giugno e la fine d’agosto
testo e immagini di Silybum Marianum
Ci siamo interrogati più volte sull’esigenza di scrivere a conclusione di quest’estate.
Quali temi, suggestioni, critiche, avanzamenti, dubbi. L’attualità quando ti fa stare con i piedi nel fango è ardua da abbandonare, da comprendere, da contrastare.
Conosciamo l’importanza dell’inattuale, del saltare nel passato quando c’è da interrogare il presente. Quindi, da dentro la catastrofe, abbiamo deciso di agire per appunti – comuni e contraddittori, paradossali e affini – che ci hanno accompagnato con la loro faticosa incompletezza negli ultimi mesi.
Vi avvertiamo ci è difficile, anzi quasi impossibile, essere ottimisti, pensiamo piuttosto, con Marcello Tarì, che sia il tempo di organizzare il pessimismo.
I
Ci si chiede spesso come trasformare questo tempo, distruggere il presente, come modificare le nostre vite appese al filo della storia.
La storia, appunto, la libertà, il potere e il destino.
Sono giorni di morti, i soliti morti, schiacciati dalle macerie, strozzati dai mari, respinti da qualche velleità politica, dall’idiozia di esistenze misere.
Il potere, dunque, di alzare muri, di sparare su chi fugge, di rinforzare barriere e confini, gesti infami di chi non sa amare, di chi protegge identità di pietra e proprietà fittizie. Il destino di coloro che accorrono è fuggire dalla guerra, sollevandosi, lottando, modificando la storia.
Il destino di coloro che accorrono è fuggire dalla desertificazione, dall’occupazione, da territori resi impossibili da abitare.
Ma il più potente desiderio di coloro che accorrono è quello per una vita altra. La possibilità di riprendersi il proprio destino.
Non ci dicono proprio questo i quaranta migranti in fuga dal Centro di Rocca di Papa?
Non è tale possibilità che prende forma nelle grida piene di gioia dei seicento subsahariani che cantano e ballano dopo aver profanato la frontiera di Ceuta?
Con i loro corpi mettono in discussione, passo dopo passo, l’idiozia dei confini, della Legge che impone di dover vivere dove si è nati.
Fuori dalla retorica umanitaria delle ONG che altro non sono che l’altra faccia del Governo sui Corpi – forme sempre più raffinate di gestione e manipolazione, uso e profitto sulla pelle dei salta bordo.
Fuori dalla retorica della vittima, dei Saviano e compagnia, che non vedono altro che dei corpi docili privi di qualsiasi volontà da dover salvare e rappresentare. Corpi docili di cui parlare incessantemente senza mai realmente chiedersi chi sono e cosa vogliono.
Chi parla al posto di ha bisogno di una moltitudine senza volto su cui erigersi a profeta e quando essa si mostra come un corpo ingovernabile, nella fuga come nell’assalto, le rappresentazioni crollano e i profeti cadono nell’afasia.
II
La macchina mediatica spinge, sussurra insistentemente, lavora sulle soggettivazioni attraverso i suoi raffinati dispositivi. E allora Salvini diventa la maschera del consenso. Sputa, urla, insulta e i sorrisi si moltiplicano. I subalterni quelli da allontanare e rinchiudere. Dopo le navi rimandate, bloccate nei porti adesso è l’ora dell’attacco alle occupazioni abitative e non. I nemici sempre gli stessi. Gli amici pure: difesa della proprietà: politici-cani da guardia.
Per le strade, nei bar e nelle spiagge, in rete come sulle metropolitane, lamento e crudeltà si scagliano contro il quasi diverso.
Salvini è l’effetto tragico della misera condizione esistenziale che ci è dato vivere in questi tempi.
La crisi è esistenziale molto più che economica, è bene continuare a ripeterlo.
III
Ma chi è oggi il tiranno? Dove risiede il potere? Non possiamo più credere ad una personalizzazione della scelta, della politica, della strategia, degi sbarchi, delle oppressioni…
Mario Tronti ci dice che la tirannia oggi viene esercitata non da chi gestisce il potere, ma da chi lo concede. E ci riferiamo all’Occidente, alla sua cultura che ha sempre espresso dominio.
La sua cultura democratica, dietro la quale si nascondono il tiranno, il governante, le numerose microfisiche del potere. La democrazia dunque rappresenta oggi forse il più potente meccanismo identitario, il nemico più acerrimo della differenza. E l’arma totale in braccio al tiranno diviene l’opinione; opinione maggioritaria come senso comune di massa, comportamenti stabiliti e omologati.
Chiunque voglia governare, ha bisogno di farsi opinione, necessita del consenso maggioritario, che non viene dunque dal basso ma è già presente nella maggioranza.
Il popolo manca! Oggi ancor di più, la servitù volontaria ha trovato nella tirannide democratica il suo Principe ideale.
L’uomo tiranno di se stesso ha aperto le porte alla dittatura della maggioranza.
Di questa identità, di questa maggioranza, di questa democrazia, ci si deve liberare.
Bisogna riconoscere che il colore degli oppressi è anche il nostro, ritroviamoci a saltare e cantare a Ceuta: quei corpi ci gridano di scavalcare i confini di un’esistenza povera, di sovvertire una storia dove l’opinione della maggioranza genera oppressione, decadenza dello spirito, paure e quindi richiesta di sicurezza.
Non si può parlare infatti di una guerra sociale. Si tratta piuttosto di una guerra tra due mondi. Fra il mondo della decomposizione capitalista, e i tanti mondi frammentati in cui emergono le forme di vita.
Fra la catastrofe e la possibilità di destituire il tempo presente.
IV
Anche da questo lato della barriera, in occidente, c’è da rompere un confine, una frontiera ma che è interiore, dentro di noi.
Senza questo gesto difficilmente riusciremo a sostenere il gesto di chi arriva dal di fuori.
Pórci anche noi nel fuori.
V
Come contrastare la banalità del male?
Attitudine alla metamorfosi.
Disimparare i privilegi, riprendersi – anche da questa parte del mare – il destino tra le mani.
Lottare contro se stessi, contro la propria cultura, in quanto parte del disastro.
VI
Uno contro molteplicità. Quali realtà della guerra in atto?
L’Uno è il nemico, la frontiera che radica l’identità capitalista, moribonda.
L’Uno è omologazione, ripetizione dell’invariato, una copia della copia del sé medesimo.
Accentra, unisce e per questo separa, strangola ogni forma di vita, ogni possibilità.
L’effetto naturale [della società moderna] è di fare in modo che ogni individuo sia il suo proprio centro. Ma quando ciascuno è il centro di se stesso tutti sono isolati. Quando tutti sono isolati, non c’è che polvere. Quando arriva la tempesta la polvere diventa fango.
VII
Quando la guerra sarà finita finirò il mio poema Syria –
tu ci uccidi, la poesia continua
Così sui muri ancora in piedi di Damasco la poesia prende le sembianze dell’oltre-tempo, l’azione scappa alla parola.
Nei tanti che si rivoltano nelle città, che si sentono disambientati, che si riparano dalle bombe, che si oppongono, che formano alleanze, c’è il seme della pluralità, c’è la forza di tutte quelle singolarità sotterrate e sottodeterminate dal grande processo sociale, unificante dell’economia.
Durante il giorno, alla luce del sole, il tempo scandito dagli orologi del presente, si aggira la Speranza come belva stanca, insanguinata, dal passo incerto.
Il fiore dell’amicizia sboccia su terreni di lacerazione, ma i suoi petali vedono attimi scintillanti, la notte e la luna vegliano su di essi.
da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 10
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
Per la lettura di questo e dei prossimi numeri de L’Almanacco potete scrivere a info@laterratrema.org
o cercare la vostra copia in uno di questi nodi di distribuzione autogestititi dai sostenitori.
Last modified: 20 Ott 2019