DALLA RESISTENZA ALLA RIVOLTA
Un romanzo carambolico di Pino Tripodi
e un vino critico di Claudio Solito
di Simonetta Lorigliola
fotografie di Claudio Madella
Si respira un’aria cupa e tetra infilandosi tra le pagine di questo portentoso romanzo di Pino Tripodi. Più che leggerlo lo si sente scorrere sulla pelle, insieme agli anni che ci dividono ineffabilmente dall’epoca dei fatti. I brividi che provoca non sono dati però dalla storia. Nonostante snoccioli vite, eventi e accadimenti non è un libro che parla nostalgicamente del passato.
“L’angoscia è la categoria del possibile. Quindi è infuturamento, si compone di miriadi di possibilità, di aperture sul futuro. Da una parte l’angoscia, è vero, ti ributta sul tuo essere, e te ne viene amarezza, ma d’altra parte è il necessario ‘sprung’, cioè salto verso il futuro”.
A parlare è Chiodi, personaggio disegnato da Beppe Fenoglio ne Il partigiano Johnny, è Fenoglio stesso, naturalmente, che si esprime ereticamente in uno dei romanzi più politicamente bistrattati nel Secondo dopoguerra.
Sulla Resistenza tanti libri sono stati scritti, pubblicati o solo pensati. Miriadi di ricordi, buoni o cattivi. Discrediti. Agiografie. Serviva un altro libro sulla Resistenza? No. Infatti questo non è un libro sulla Resistenza, con erre maiuscola.
L’EPOCA DEI FATTI
Furono molte ma poco ascoltate le voci che sventagliavano il tradimento degli ideali resistenti da parte dei nuovi partiti di massa e della neonata Repubblica. Gli azionisti – Emilio Lussu in testa, grande testa libertaria e antimilitarista – ne furono raffinati interpreti e cercarono, unici, la traduzione della lotta (dal basso, popolare, di democrazia diretta) nell’istituzione. Impresa decisamente impossibile. Aporia politica, forse.
Leggi “Partigiano ultimo”. Senti che i combattimenti autorganizzati di un triennio (1943-1945) nelle montagne piemontesi, lombarde, toscane, friulane… non poterono mai abbandonare le esistenze di chi li aveva attraversati con il proprio corpo. Freddo, fame, paura. Desiderio, rabbia, attesa.
Impossibile contenere tutto questo in una tessera di partito (fosse anche chiamato comunista) o nelle quattro pieghe di una scheda elettorale.
In parte ci fu messo. Le armi furono consegnate. O seppellite.
Ma ce n’era d’avanzo. I corpi avevano metabolizzato di più. I corpi desideravano possentemente un futuro nuovo. La libertà e la giustizia sociale erano aspettative pulsanti. Concrete.
Altrettanto lo furono le prese in giro.
“Faccio la resistenza. vinciamo ma il 26 aprile del 1945 già si respira un’aria che fa male ai polmoni”. Lo dice e lo scrive (il libro si basa sul collaudato artificio del manoscritto ritrovato), senza maiuscole, il protagonista del romanzo. Il pensiero del lettore corre dritto e con gioia verso Vogliamo tutto approdando con un doppio salto a I furiosi. Nanni Balestrini sorride dietro le quinte della scrittura sperimentale.
IL PROTAGONISTA
“Questo libro si ispira liberamente a giovanni ‘primo’ rocca protagonista dell’insurrezione di santa libera del 1946 già comandante partigiano della stella rossa poi IX divisione d’assalto garibaldi alarico imerito”.
“Primo” lo dice. Da subito tirava una cattiva aria. Di stagnazione. Se non di regressione.
Il 2 giugno 1946 si vota per la prima volta in Italia a suffragio universale. È un voto plurimo che comprende il Referendum su Monarchia o Repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente. Si recano alle urne più o meno il 90% degli italiani.
Vince la Repubblica (con un 10% circa di vantaggio). Alle elezioni la Democrazia Cristiana è il primo partito, ma il Partito Socialista e quello Comunista, insieme, hanno la maggioranza dei seggi. Compare il partito di Giannini, l’Uomo qualunque, che totalizza un inaudito 6%. Il 22 giugno 1946 viene promulgata l’amnistia che mette al sicuro tanti fascisti, firmata dal Ministro della Giustizia e segretario del PCI, Palmiro Togliatti. Ai combattenti partigiani, nessun riconoscimento.
Ce n’era già d’avanzo per non tacere. Per non stare fermi.
Le fabbriche del Nord entrarono in sciopero.
A Santa Libera, tra Cuneo e Asti, scoppiò la rivolta partigiana. E divampò in tutta la regione.
Una rivolta organizzata e determinata, con chiari obiettivi e rivendicazioni. Che raccolse molti consensi. Non un gesto disperato di pochi derelitti.
Si chiedeva: reinserimento dei partigiani, dei reduci e degli ex-internati nel mondo del lavoro, erogazione delle pensioni alle famiglie dei caduti, riconoscimento del periodo resistenziale ai fini del servizio militare, risarcimento alle vittime delle rappresaglie nazi-fasciste.
E poi c’erano le rivendicazioni politiche: abrogazione dell’amnistia, soppressione del Partito dell’Uomo qualunque, messa fuorilegge dei fascisti.
La potente scintilla poteva accendere la rivoluzione? Se lo sono chiesto in tanti storici di sinistra. Fanno il loro mestiere. La diatriba grigia e cavillosa sul passato non è invece argomento tripodiano.
La rivolta fu placata, con l’intervento di Pietro Nenni, vicepresidente del Consiglio e segretario del Partito socialista. I ribelli si portarono a casa qualche cosa, ma niente di politico. Fine della storia. Per chi non la ricordasse.
OLTRE LA STORIA, QUESTO LIBRO
Un turbinio di voci, dialoghi, proiezioni e carambole che dicono molto di più di uno scarno sciorinare storicistico.
Una scura voce narrante non prende mai fiato e tiene dentro affetti e amore, sport e immaginazione, politica e sogni, trascinandoci oltre il suo monologo, lontano da ogni cosa, in un presente cupo e buio, dove chi vive ricordando diventa il più pestilenziale dei nemici. E dove la ribellione cerca nuove strade e si perde nei meandri dell’impossibilità.“Quando la ribellione finisce per tutti gli altri per noi deve continuare è proprio quello il momento giusto di ribellarsi perché durante la guerra si muore. quando la guerra finisce finalmente possiamo ribellarci per cambiare la vita”.
Un libro sul presente. Sul desiderio incessante di mutamento che abita dentro chi sia passato carnalmente attraverso il fragore dello scontro.
In chi abbia lottato – testa e cuore – contro la morte politica, psichica, intellettuale, affettiva. E ne sia uscito vivo.
IL LIBRO
Pino Tripodi
PER SEMPRE PARTIGIANO
DeriveApprodi, 2016
pp. 246, 16 euro
SANTA LIBERA.
UN VINO PLURIMO E RIBELLE
Claudio Solito, vignaiolo critico nei colli astigiani, da molti anni testardamente produce vini rispettosi della terra e di chi la lavora. Vini leali e interrogativi per chi li degusta. Le domande che suggeriscono non riguardano la loro tracciabilità e trasparenza: Claudio lavora rispettosamente da sè le sue vigne senza utilizzo di prodotti di sintesi, vinifica in modo mai invasivo, vende il vino nella sua cantina. I suoi vini sono sempre corretti e non lasciano dubbio alcuno sulla loro autentica piacevolezza.
Le domande che ci regalano sono sui luoghi, sulle storie, sul futuro.
I vini di Claudio narrano delle medesime cose che racconta lui stesso, in tono e modo antiretorico. Personaggi, vicende e posti che hanno rappresentato rabbia, sommossa, sollevazione, rifiuto di un mondo ingiusto e forzatamente pacificato.
Così Augusto Brut rosè. Un metodo classico rosato elegante, aereo e soignèe da uve pinot nero.
Ricorda Augusto Manzo il campione di pallapugno, o “pallone elastico” sport storico e popolare nell’astigiano, controcanto really pop al delirio commerciale calcistico.
E con Santa Libera dei Ribelli omaggia la rivolta di Santa Libera, senza un filo di retorica ma con lo sguardo rivolto in avanti. Abbiamo assaggiato il 2007. È un vino che al primo incontro tende la mano in modo convinto e regala spaziosi profumi di marasca accesa, portando poi in bocca la stessa, accompagnata da fine cannella. In chiusura il Santa Libera alza il pugno e sorride: compare una punta decisa ma non invadente di chiodo di garofano. Un vino lineare e senza radici. Un vino che cammina e ti invita a seguirlo. Non esiterai ad arrivare alla fine della bottiglia, e non ti basterà per indovinare la pluralità di uve territoriali e senza confini che lo compongono. Una base importante e riconoscibile (40%) di Pinot Nero. Hasta siempre comandante. Ma nella Divisione anima e corpo al vino li danno gli altri compagni: Cabernet Sauvignon, Merlot, Barbera, Sangiovese e, naturalmente, Nebbiolo.
Non possiamo tacere sull’ottusa legislazione che non consente, al di fuori del binario istituzionale delle Denominazioni, di indicare annata, uve e vigneti di provenienza in etichetta. Un vero abominio che impedisce a Claudio Solito di raccontare i suoi vini come decisamente meriterebbero.
Il suggerimento imperioso è di andare a compiere l’assaggio del Santa Libera (e di tutti i vini de La Viranda) presso l’agriturismo dell’azienda in San Marzano Oliveto (Asti).
Per scoprire anche la specialissima trattoria che Claudio Solito gestisce con la sorella Lorella, fata culinaria dei piatti del territorio. La trippa lessa in bianco, i ravioli e gli gnocchi, la giardiniera, la carne cruda… Tutti sublimi, perchè sublimi sono la delicatezza, la sapienza gastronomica e la sensibilità di Lorella.
Va da sè che i piatti sono tutti realizzati con materie prime autoprodotte o acquistate da piccoli produttori sensibili, in zona.
D’estate, sotto la pergola Claudio, con gli amici, stappa bottiglie e storie. Degustazioni immaginative uniche e indimenticabili. (S.L.)
La Viranda
Località Corte, 69
San Marzano Oliveto (Asti)
www.laviranda.it
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 03
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
Per continuare la lettura di questo e dei prossimi numeri de L’Almanacco potete scrivere a info@laterratrema.org o cercare la vostra copia in uno di questi nodi di distribuzione autogestititi dai sostenitori.
Last modified: 17 Mag 2023