Cannabis Culture
La coltivazione della marijuana in California raccontata da un bracciante agricolo italiano
di Gabriele Moscatelli
illustrazioni di Andrea Rossi
Nelle mattine autunnali, da boschi di gigantesche sequoie dell’alta California, spuntano decine di ragazzi con lo zainetto che, come formiche, vanno verso il paese per fare colazione e, soprattutto, essere ingaggiati a lavorare. Sante è uno di questi e ha una storia comune a tanti viaggiatori-migranti: bracciante agricolo in vari luoghi e colture, dai kiwi ai pomodori, è stato aiutante in un allevamento di vacche da latte della Pianura Padana e, forse proprio per questo, lavorare in agricoltura lo fa stare bene. Come lui, qui molti ragazzi sono europei che sentono la crisi: soprattutto italiani e spagnoli, ma anche messicani o viaggiatori che, come Sante, non sentono più di essere padroni della propria vita nel paese di origine. Molti arrivano dal Canada dopo la raccolta della frutta e lavorano in nero con il solo visto turistico. Pochissimi sono americani (questo lavoro è considerato poco nobile dall’opinione pubblica), eccetto i proprietari a cui questa attività rende un sacco di soldi contanti. Sante è la prima volta che arriva da queste parti e ha, allo stesso tempo, una sorta di gioia e preoccupazione: rincorre il sogno di ogni fumatore d’erba – qui ha la possibilità di lavorare con la cannabis – ma, sebbene in California la produzione e il consumo per scopi medici siano leciti e diffusi e quello ricreativo sia tollerato, lavorare nelle farms è illegale e pericoloso.
Per Sante non è facile trovare lavoro, da nuovo arrivato non ha un contatto diretto e nessuno può passarglielo, come fosse un segreto prezioso, correndo il rischio di dover aspettare giorni. Il giorno dopo il suo arrivo riceve una telefonata inaspettata dal suo amico Bob che gli chiede di sostituirlo nel gardening, ovvero pulire le piante di cannabis dalle foglie più grosse così che le energie si concentrino verso i fiori, il vero obiettivo produttivo. Questo compito gli viene pagato all’ora, e per una settimana con dieci ore al giorno di lavoro guadagna quasi quanto uno stipendio mensile di un operaio.
Finita la settimana Sante torna a dormire in tenda nel bosco, risvegliandosi assieme ai cervi e aspettando l’arrivo del suo amico Bob con cui, prima o poi, avrà un pezzo di terra in cui poter vivere la propria vita in modo diverso, magari in qualche sperduto angolo del Nicaragua. Si incontrano dopo pochi giorni e, da buoni amici, si mettono a suonare la chitarra e a chiacchierare sul pick-up dell’amico; a un tratto, però, da un altro pick-up molto più grosso li affianca un grande Lebowski sorridente: “Volete venire con me?”. “Certo, ovvio!” rispondono prontamente.
E così Sante arriva al trimming, lavoro che consiste nel potare la pianta essiccata di cannabis da tutte le foglie e i rami, così da ricavarne solo le infiorescenze, dette cime, pronte all’uso.
Sante è preparato e, nonostante i negozi lucrino sui lavoratori tenendo prezzi altissimi, ha investito cento dollari per delle forbici giapponesi che gli serviranno per lavorare velocemente. Ha scelto quelle a lama curva e ne ha comprate tre paia, perché nel trimming le forbici si impastano di continuo e bisogna lasciarle per qualche tempo a mollo nell’alcool a novanta gradi. La farm in cui finisce a lavorare, una come tante, è dispersa in mezzo ai boschi e si raggiunge solo attraverso una stradina sterrata. I caseggiati sono molto spartani, lui li definisce “zingarate” e ciò lo diverte. Appena arrivato sceglie il posto ideale per dormire, una variabile assai importante in una situazione di illegalità dove bisogna stare attenti a possibili imprevisti e controlli. Qualcuno dorme al chiuso proprio nella stanza dove si lavora l’erba, la maggior parte invece sceglie di stare in auto lì di fianco; Sante però preferisce dormire in tenda, magari in un punto nascosto e non troppo vicino alle strutture, per essere pronto alla fuga. Per mangiare può cucinarsi con il fornelletto ma, non avendo il permesso di scendere in paese per tutta la durata della sessione, non può fare la spesa, ed è quindi il capo a occuparsene per tutti. Farà due sessioni di lavoro, ognuna di quattordici giorni.
La conduzione agricola è in mano a un gestore incaricato dal proprietario. Ogni giorno Sante ripete il solito ciclo: di mattino va all’essiccatoio (dove sono stoccate tutte le piante di cannabis), prende un bucket, un cassone di plastica un po’ più grande di una cassetta delle arance, lo porta nella stanza di lavoro e, sedendosi al tavolo rotondo da sei postazioni attrezzate con un vassoio di plastica ognuna, pulisce le cime con le forbici. Sante tiene il conto mentalmente della quantità che prepara man mano utilizzando tre vasetti, di cui conosce il peso da colmi, risparmiando il tempo necessario a pesare la borsa di volta in volta: essendo il trimming molto ripetitivo e snervante, questo lavoro mentale lo aiuta anche ad andare avanti.
Viene pagato a cottimo per ogni borsa chiusa che pesa un pound (poco meno di mezzo chilo) e il conteggio viene fatto ogni mattina dal gestore. In media la produzione a testa al giorno è di un pound e mezzo e per ventotto giorni di lavoro Sante guadagnerà cinque volte quanto uno stipendio medio italiano1.
Tra i lavoratori è nota una pratica, chiamata cherry picking, per essere più veloci e produttivi ma a discapito dei colleghi: consiste nello scegliersi i bucket migliori con le piante più facili da pulire e con le cime più grosse. Sante dice però di aver visto anche molta solidarietà tra i lavoratori, che anzi si aiutano a vicenda in caso di cassoni lunghi e noiosi.
In California la produzione per la vendita ai dispenser è legale e regolamentata: nella zona dove ha lavorato Sante, per esempio, si può avere un’unica piantagione e coltivare un massimo di novantanove piante. I proprietari hanno quindi sì un permesso, che però viene sforato: coltivando più piante in diverse piantagioni producono più del consentito e parallelamente rivendono in nero l’eccesso. L’eccedenza, in alcuni casi, può rappresentare anche il 70-90% della produzione totale di un unico proprietario. Sante stima che il mercato nero rappresenti in California circa il 60% della produzione totale e ci dice che il costo al dettaglio per il consumatore è comunque diminuito dopo che alcuni Stati hanno preso la via della legalizzazione, regolandone quindi il prezzo2.
Le autorità fanno i controlli soprattutto sulle piantagioni troppo grandi o abusive. Solitamente all’arrivo della polizia federale la piantagione è deserta: gli appezzamenti sono infatti isolati e l’unica strada di accesso ne rende facile la sorveglianza da parte del gestore. L’FBI non fa altro che tagliare e calpestare le piante per distruggerle, lasciando il più delle volte intatta l’attrezzatura, permettendo ai gestori di recuperarla e, in alcuni casi, persino di tornare a coltivare in quel luogo richiamando gli stessi lavoratori. Inoltre è difficile per le autorità risalire al proprietario, perché spesso gli appezzamenti sono presi in affitto; in ogni caso la prima volta che viene sorpreso rischia solo una multa e la chiusura dell’attività. Il lavoratore invece, quando colto sul fatto, se è americano riceve al massimo una multa, se è straniero rischia almeno un mese di carcere prima di essere processato, espulso e interdetto dagli Stati Uniti anche per cinque o dieci anni.
Essendo il possesso depenalizzato non viene incriminato in caso di detenzione di marijuana, rischia invece con l’hashish Sante ci dice che il narcotraffico, prima molto sentito, è nettamente diminuito, come la stessa polizia di frontiera e la DEA hanno documentato3. Non è sempre facile capire se si sta lavorando per un cartello criminale, bisogna tuttavia distinguere tra criminalità organizzata e illegalità diffusa: la California rimane il maggior produttore di marijuana illegale ma anche di quella a uso medico. Le dimensioni delle aziende variano dai dieci ai cinquanta lavoratori; possono procurare ogni bene necessario, avere il cuoco che cucina per tutti e lo spazio per dormire, o invece non garantire niente e vietare l’uso del cellulare per non permettere di comunicare con l’esterno.
Molti fumatori di marijuana si lasciano affascinare dalla coltivazione di questa pianta; Sante per esempio, osservando i diversi sistemi di produzione, li definisce semiprofessionali, lontani da quelli agricoli e più simili agli hobbisti, probabilmente per le piccole dimensioni delle piantagioni e per gli investimenti limitati a causa dell’illegalità.
I criteri di legge sono stabiliti in modo da giungere a caratteristiche specifiche, uno su tutti il rapporto THC:CBD (i due più importanti principi attivi presenti nella cannabis), che è determinato geneticamente in ogni varietà: entrambi alleviano il dolore ed entrambi sono importanti a scopo medico soprattutto nel loro effetto combinato; ma, se il THC agisce sul sistema nervoso centrale e induce rilassatezza, il CBD non è psicoattivo e favorisce lo stato di veglia4. Negli ultimi anni paesi come la California hanno riservato molta attenzione alla selezione di nuove varietà con alto contenuto di CBD, il quale si sta rilevando estremamente efficace contro alcune malattie come tumori, diabete, ansia, asma ed epilessia, solo per citarne alcune. Sante, nonostante fosse già un fumatore attento, adesso ha preso ancora più confidenza con la sostanza in generale, le diverse varietà e gli effetti che provoca su di sé.
Le varietà utilizzate sono moltissime, arrivate inizialmente dai viaggi in India, Nepal, Marocco e poi create e selezionate dagli stessi produttori: le famose Orange e AK47, le varie Cherry con note dolci e fruttate, la Sour Diesel con sentori di idrocarburi, la popolare Girl Scout Cookies, la Original Gangster Kush detta O.G. con elevati livelli di THC e CBD, e così via. Ogni produttore riutilizza spesso i semi delle piante autoimpollinate, oppure li acquista da altri colleghi. Sante non esclude che ci sia anche chi coltiva piante da seme.
La produzione indoor con luce artificiale e sensori che regolano luce, temperatura e umidità è l’unica prevista dalla legge. È una regola molto restrittiva e impegnativa da rispettare, a livello sia agronomico sia economico, che solo il 10-30% dei produttori segue come imprescindibile: la marijuana che finisce nei dispenser legali corrisponde più o meno a questa percentuale. Poiché non c’è corrente elettrica si usano dei generatori (con ingente consumo di gasolio) per alimentare l’essiccatore, le pompe d’irrigazione e naturalmente i caseggiati. La più dispendiosa è la produzione indoor, al chiuso, che in più usa luce artificiale, spesso ininterrottamente per tutto l’anno, illuminando tre o più piantagioni consecutive; ci sono poi le coltivazioni stagionali (che fanno concentrare il lavoro tra settembre e novembre) con sistemi outdoor a campo aperto e su terrazzamenti, o con sistemi a serre fredde, chiuse in alto ma aperte ai lati, dove con dei teli si regola la luce naturale (il rapporto tra giorno e notte nella coltivazione della cannabis è fondamentale per la produzione delle infiorescenze), senza quindi l’uso di quella artificiale. Anche l’uso dell’acqua è notevole e indiscriminato; secondo Sante è il problema maggiore per tutta l’area, per via sia delle produzioni intensive di cannabis sia di quelle di uva per il vino californiano. I produttori di cannabis, con pozzi costruiti di volta in volta, pescano l’acqua dalla falda fino al suo esaurimento, dopodiché si fanno arrivare ogni giorno enormi cisterne da migliaia di litri d’acqua giusto per completare il raccolto, per poi abbandonare il terreno e stabilirsi l’anno successivo in un’altra parte della montagna. Su questo problema non c’è alcuna regolamentazione, controllo e nemmeno monitoraggio, eppure potrebbe compromettere l’intera zona.
Prospettive
Dopo che Colorado, Washington, Alaska, Oregon e District of Columbia hanno legalizzato la produzione, la vendita e il possesso di marijuana per scopi ricreativi, c’è da aspettarsi che anche la California, il primo stato ad autorizzarne l’uso medico nel 1996, arrivi a questa soluzione con il referendum dell’8 novembre 20165, nonostante i forti interessi dei produttori e delle persone a loro legate siano per l’immobilismo. Questo porterebbe sicuramente a una regolarizzazione del modello californiano per la cannabis, che per ora, con l’uso tollerato per scopi ricreativi e legale solo per motivi medici (anche se facilmente ottenibili6), è ricco di mancanze, tra cui la tutela dei lavoratori e degli utilizzatori7. La proposta di legge per la legalizzazione della cannabis in discussione al Parlamento italiano8 regolamenta produzione, vendita e consumo della cannabis, e prevede: possesso consentito solo ai maggiorenni (qundici grammi in casa e cinque grammi fuori); coltivazione in casa fino a cinque piante permettendo di possederne il prodotto; coltivazione e trasformazione previa autorizzazione e vendita al dettaglio solo in negozi dedicati e muniti di licenza; coltivazione in forma associata fino a cinquanta membri; maggior semplicità e reperibilità dei farmaci a base di cannabis; divieto di fumare cannabis in qualsiasi luogo pubblico, parchi compresi; divieto di guida in caso di assunzione; finanziamento del Fondo nazionale per lotta alla droga.
In Italia si percepisce uno stallo culturale e politico per cui non sarà facile arrivare a una situazione simile a quella spagnola o a quelle statunitensi, nonostante la proposta sia molto avanzata (anche se criticabile). Noi lo auspichiamo.
Note
1 https://www.forexinfo.it/Stipendi-medi-in-Italia-1-560-euro
3 ibidem
4 http://www.cannabis.info/it/abc/10007612-7-informazioni-sul-cbd
6 http://www.lettera43.it/cronaca/marijuana-come-comprarla-in-california_43675144250.htm
7 http://www.latimes.com/health/la-oew-gutwillig-imler6-2009mar06-story.html
8 http://www.cannabislegale.org/proposta-di-legge/
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 02
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
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Last modified: 20 Ott 2019