La vigna alla porta degli inferi
di Paolo Bellati
La vigna di Cantine dell’Averno è chiusa in una caldera che si è fatta lago. Qui i vini si producono tra vapori sulfurei e storie secolari.
Fotografie di Alice Selene Boni e Luca Lusiardi
L’appuntamento con gli altri è alle 10 in Corso Vittorio Emanuele. Ho dormito ai Quartieri Spagnoli. Sono a Napoli da due giorni, gli amici di Napoli Monitor mi hanno invitato insieme a Renato Curcio, per presentare La Rivolta del Riso, un libro edito da Sensibili alle Foglie nel 2015 che raccoglie la ricerca di socioanalisi narrativa fatta insieme a una quarantina di operatori sulle condizioni di chi lavora nelle imprese sociali e sul ruolo che queste, al di là del mito originario, oggi svolgono.
La presentazione del libro è stata interessante, hanno partecipato parecchie persone e lavoratori del settore. Settore poco indagato con prospettive sul futuro piuttosto incerte, in una società dove sempre più persone si trovano a rapportarsi con servizi sociali pubblici, ma soprattutto privati, con uno stato sociale ormai liquefatto.
Attraverso i Quartieri in salita.
Sui muri mi accompagnano i disegni di Cyop&Kaf, attenuano la fatica e mi fanno sentire questi vicoli fraterni. Mi avevano avvisato la sera prima mentre mi spiegavano la strada: “Quando non avrai più fiato sarai arrivato”. Così è stato. Arrivo nel luogo dell’appuntamento, prendo fiato e mi sento bene in questa mattina di sole, carico come dopo una passeggiata in montagna. Pochi minuti e arrivano gli altri in macchina e si parte.
La prima scoperta. Napoli è vicina ai Campi Flegrei, dove l’agricoltura è diffusa e la viticoltura è importante. Neanche venti chilometri e saremo già da Emilio, al Lago d’Averno.
Il paesaggio è incredibile e i nostri accompagnatori napoletani arricchiscono il breve viaggio con cenni storici e geologici. Questa è un’enorme zona vulcanica, nei secoli si sono succedute parecchie eruzioni, ci sono molti crateri spenti e alcuni ancora attivi. Numerose sono le sorgenti e gli impianti termali, in alcune zone sono visibili ai bordi delle strade i vapori solfurei, a Pozzuoli si vede il fango che bolle. Qui è diffuso il bradisismo (il suolo si alza e si abbassa di pochi centimetri ogni anno ma anche di qualche metro nel giro di una manciata di anni), un fenomeno che ha provocato lo sfollamento di interi rioni. Siamo in una zona sismica e spesso si avvertono scosse non solo percepite dai centri geosismici ma anche dalle persone che qui vivono. I nostri amici ci mostrano il paesaggio raccontando quello che sta sotto la terra e scherzando, ma mica tanto, ci dicono: “Lo vedete tutto questo? Un giorno non ci sarà più!”.
“Qua la terra trema veramente!”.
È la prima cosa che ci dirà Emilio accogliendoci. Arriviamo nei pressi del lago salato formato in un cratere spento. Il Lago d’Averno porta con sé leggenda e mito, Virgilio colloca qui la porta degli Inferi. Il tempo di intravedere il lago e siamo già alle Cantine dell’Averno. Emilio lo troviamo intento a cucinare nella piccola cucina del suo suggestivo e semplice ristoro in legno. Porte e finestre in vetro consentono di godere del magnifico paesaggio, del lago e di quello che gli sta attorno. Il cuoco del ristoro è lo stesso Emilio, cucina materie prime che coltiva in azienda o acquista da altri piccoli produttori del territorio. La cucina è prettamente di territorio e contadina. Pesce azzurro, verdure dell’orto, legumi e frutta del lago. Quasi mai carne.
Oggi aspettano ospiti per pranzo, ci tuffiamo subito verso le vigne: “Qua la terra trema veramente! Venite che vi faccio vedere”. La famiglia Mirabella conduceva quest’azienda dalla fine dell’Ottocento. Coloni, hanno sempre prodotto vino e lo vendevano a imbottigliatori e a privati. Dagli anni Ottanta in poi hanno prodotto solo uva per una cantina della zona, il vino prodotto era solo per uso familiare. Nel Duemila misero in vendita l’azienda, Emilio faceva altro ma il legame affettivo per quei terreni e per quell’azienda era forte, con il fratello e le rispettive mogli decisero di comprarla e di imbarcarsi in questa avventura. Coltivare, vinificare, imbottigliare. Il tempo di sistemare i vigneti, ristrutturare, attrezzare la piccola cantina, organizzarsi e dal 2010 cominciarono a produrre con una propria etichetta. Nei pressi della cantina ci sono due splendidi ettari di proprietà, viti su terrazze ad anfiteatro sul lago. Un altro ettaro e mezzo in affitto a Pozzuoli. Ai Campi Flegrei ci sono ventiquattro cantine. Un paio di queste sono grosse, con tanti appezzamenti di terra, comprano uve e vino anche da terzi, alcune non hanno neanche terra, comprano e trasformano solamente.
Come le Cantine d’Averno, che coltivano la propria uva, che vinificano e imbottigliano, sono in sette, otto. Forti sono le criticità che rischiano di portare il territorio a non essere più zona agricola. Napoli è vicinissima, i prezzi delle terre qua sono molto alti, aleggia e a volte proprio si concretizza la speculazione edilizia, devota soprattutto al turismo e alla ricezione.
In zona Emilio è un piccolo vignaiolo ma il suo “Vigneto storico Mirabella” (nel versante nord orientale del lago) per quanto piccolo è il più grande come estensione, per gli altri, una miriade di piccoli appezzamenti di terreno. Non fatichiamo a credere che collocazione, esposizione e microclima qui siano unici e adatti alla viticoltura e anche all’orticoltura.
La vigna è bellissima, il paesaggio surreale.
In cima alla vigna, le rovine di un’antica costruzione di epoca romana andata distrutta con un’eruzione vulcanica. Intorno a questa si apre un panorama letterario di antiche divinità, leggende, narrazioni mitiche. Si tratta di un antico complesso termale, molto grande, che utilizzava sorgenti d’acqua calda che ancora oggi attraversano il sottosuolo.
Adalgisa, moglie di Emilio, ci racconta che mentre scavavano tra le vigne hanno trovato una sorgente termale. Un tino di legno, un tavolino e un bicchiere di Falanghina, è bastato poco per fare una sauna coi fiocchi. Il vigneto ha piante di circa ottant’anni, qualcuna anche di più.
La vigna è quasi interamente a piede franco, la fillossera è arrivata, ma non ha mai fatto danni importanti. I vitigni sono Piedirossso, Falanghina e Aglianico. Il vigneto si trova sulla base di Monte Nuovo, praticamente sull’ultima eruzione del 1538. In campagna tutte le lavorazioni vengono fatte a mano, compreso il diserbo. Non usano diserbanti e concimi chimici. I trattamenti sono quasi tutti fatti con rame e zolfo, a parte qualche trattamento con prodotti citropici e loco-sistemici. Nella piccola cantina, la vinificazione avviene in contenitori d’acciaio a temperatura controllata. Per far partire la fermentazione utilizzano dei lieviti selezionati. Hanno provato a far partire la fermentazione spontanea; la fermentazione partiva, ma non sono rimasti soddisfatti dal punto di vista organolettico. Producono quattro vini: due Falanghine e due Piedirosso. La Falanghina del vigneto del canneto (il vigneto storico) l’affinano in barrique usate, per un anno e altri sei mesi in bottiglia. Il Piedirosso del vigneto del canneto è affinato in botti grandi da venti ettolitri per un anno e poi sei mesi in bottiglia. L’altra Falanghina e l’altro Piedirosso di altri vigneti vengono affinati in acciaio e in bottiglia senza passaggi nel legno. In totale producono quindicimila bottiglie l’anno.
Ci congediamo presto, rammaricati per il poco tempo a disposizione e con la promessa di tornare presto per conoscere meglio questo territorio, per goderci ancora questo angolo che non avevamo immaginato così magico; giusto il tempo di assaporare una bottiglia di Falanghina Campi Flegrei dop Vigna del Canneto 2013. Buono! Non sa di violetta! Una goduria, facciamo proprio fatica ad alzarci dalle sedie nei pressi del ristoro col sole che ci scalda, il lago e le vigne sullo sfondo. A casa, con un’ottima pasta cucinata da Roberto – i pomodori del suo orto – cerchiamo di consolarci ancora con una Bottiglia di Piedirosso dop Campi Flegrei 2013: Salute, in alto i calici! A Napoli, a Roberto, a Luca, ad Andrea, a Rubina, a tutta Napoli Monitor, agli operatori di Traparentesi onlus, a Emilio, a suo fratello, ad Adalgisa e ai Campi Flegrei. Arrivederci.
“La Terra Trema l’ho conosciuta perché ho dei parenti di mia moglie che frequentano il Leoncavallo e loro mi hanno sempre parlato di questa manifestazione per cui… sono venuto! La cosa bella di quei tre giorni è che c’è un pubblico normale, quella è la cosa fondamentale, in altri posti ti rompi il cazzo, tutta questa gente che ha fatto sti mezzi corsi di sommelier e hanno tutti lo stesso approccio col vino. Un approccio che non è naturale, guarda che è brutta ‘sta cosa. Al Leoncavallo vengono ragazzi giovanissimi e anche persone adulte, ma non mi vengono a dire “profumo di violetta”, mi chiedono come lavoro, da dove vengo. Qua hanno fatto diventare il vino una cosa d’élite. Qua o arrivano quelli che pensano di sapere tutto perché hanno fatto quindici giorni di corso da sommelier o quello in imbarazzo che non dice nulla perché teme di fare una brutta figura. Tanti posti in Italia sono così, tante sono le persone che hanno questo approccio, persone che si avvicinano al vino naturalmente è difficile trovarle… ma La Terra Trema è bella, mi piace assai là“.
da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n.00
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 90 | 2 colori
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Last modified: 10 Mar 2021