Non è il vino del distributore

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Non è il vino del distributore

Per un’agricoltura contadina libera da monopoli. 
Per una distribuzione dei prodotti della terra e del cibo diffusa e autogestita.

Nell’ultimo periodo abbiamo raccolto una serie di narrazioni emblematiche, e forse un po’ preoccupanti, intorno al mondo del vino dei piccoli e bravi vignaioli di questo paese.

Dopo un decennio abbondante lo possiamo dire: molto lavoro è stato fatto, molte cose son cambiate in meglio, qualcosa in peggio, ma è innegabile che una bella scossa al mondo del vino e dell’agricoltura è stata data.  Molto c’è ancora da fare, molto ancora da imparare, ma abbiamo 
anche tante esperienze da raccontare. 
Tante le manifestazioni, le relazioni, le economie, i progetti, tante le riflessioni e le persone che stanno promuovendo e valorizzato i vignaioli e l’agricoltura contadina.

Un nodo in particolare urge però affrontare per dare continuità ad un dei tanti processi di cambiamento che si sono innescati in questi anni.


La DISTRIBUZIONE. 
La distribuzione che per noi (e non solo) ha un valore strategico, etico, economico e sociale di pari importanza a COME SI PRODUCE.

La distribuzione di un vino ci interessa tanto quanto le sue qualità organolettiche. Per essere ancora più chiari come si distribuisce un prodotto a noi (e non solo) interessa tanto quanta solforosa viene messa in bottiglia, ai lieviti utilizzati, a quanti e quali trattamenti vengono fatti in campagna e a come si lavora in cantina. Non da meno resta sempre il rapporto che si ha con i propri dipendenti (se si hanno) e i loro diritti.

Bisogna affrontare e ri-aprire un ragionamento serio intorno a questo nodo della distribuzione. Facendo tesoro dell’esperienza maturata in questi anni. Partendo dalle riflessioni iniziate proprio più di un decennio fa. Riflessioni, ragionamenti e progettualità maturate proprio dai bisogni dei vignaioli, dalla salvaguardia del lavoro contadino e dal tentativo di trasformare i rapporti di produzione (o almeno di rendere visibili le contraddizioni e i dispositivi mortiferi dei rapporti di produzione attuali e maggiormente diffusi).

In alcuni casi si sono sperimentate (e consolidate) nuove e diverse modalità di distribuzione e di commercio. C’è stato un momento che tanto quanto il pullulare di fiere, visibilità e attenzioni al modo di fare vino, ai lieviti, alla solforosa e alla chimica ci fosse un’attenzione e un pullulare di tentativi progettuali altri di distribuzione.

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E allora ribadiamo dei concetti e mettiamoli allo specchio con quanto si sta diffondendo di controproducente per i piccoli vignaioli autentici che fanno un vino di qualità. 
Abbiamo sempre avuto chiaro dell’importanza delle parti del delicato processo distributivo del vino: chi produce, chi (ri)vende, chi acquista.

Fin dia tempi di Critical Wine, insieme ai compagni e gli amici di molti centri sociali italiani, con Luigi Veronelli e soprattutto con le decine di vignaioli con cui ci si confrontava. L’abbiamo avuto sempre più chiaro in questi anni con La Terra Trema. Oggi riteniamo che sia questione strategica e fondamentale se si vuole immaginare un futuro per i produttori che ci stanno a cuore, un futuro che migliori la qualità dei loro vini, del loro lavoro e della loro vita. Un futuro diverso e migliore anche per noi tutti. Un futuro diverso e migliore per questa t/terra moribonda e violentata.

Per noi acquistare una bottiglia di vino significa acquistare consapevolezza e sapere oltre che la gioia di godere di un vino come poesia.
 Protagonisti di un’economia diversa. 
Ridurre la distanza tra produttore e consumatore, eliminare l’antagonismo diffuso nella nostra società tra i due soggetti, per costruire invece sinergie. Coprodurre. Coproduzione.

Obbiettivi del lavoro che facciamo e che abbiamo fatto. In molti casi obbiettivi raggiunti. Diffondendo una cultura e sviluppando esperienze concrete che avessero come fondamento questi principi.

Il vino è prima di tutto del vignaiolo. Quello che c’è nella bottiglia è frutto del suo lavoro, è una parte di se. 
Il vignaiolo deve essere libero di vendere il suo vino, ad un prezzo giusto, a chi vuole.

Il consumatore, il coproduttore, lo spazio sociale, l’enoteca e il ristorante devono aver la possibilità di acquistare direttamente il vino dal produttore. 
Lavoriamo perché questo avvenga in modo sempre più diffuso.

Non può esserci nessun monopolio (oltre all’accisa discutibile che esercita lo stato). Non può esserci nessuna esclusiva.

Ultimamente ci è stato raccontato di vignaioli in ostaggio del distributore, dei distributori.
 Storie preoccupanti per il futuro delle aziende di questi vignaioli, del processo di cambiamento e della gioia del vino dei vignaioli. 
Vignaioli che non possono vendere le proprie bottiglie di vino perché l’esclusiva è nelle mani del distributore.
 Durante le fiere, contattati telefonicamente, via mail o addirittura in cantina.
”Sei di Milano? Vuoi il mio vino? Io non posso vendertelo, contatta il mio distributore su Milano. Ecco il biglietto da visita del mio distributore”. Pazzesco! Pazzesco tanto quanto usare dosi massicce di solforosa, lieviti e additivi in cantina e la chimica abbondante in campagna!!

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Sia chiaro. Sappiamo bene quali sono i motivi che hanno portato i vignaioli a intraprendere queste strade. 
Ma siamo convinti che siano strade pericolose e controproducenti per tutti.
 Questo non è un problema solo nostro. 
Ma è un problema di libertà di tutti. Per primo del vignaiolo anche se è convinto di valorizzare il proprio prodotto e di ottenere più profitto. 
Il suo vino non è più suo, ma è del distributore.
 E’ un problema che produrrà dispositivi simili a quelli della Grande Distribuzione Organizzata.
 Un problema su cui vale la pena aprire discussione e un problema da superare.
 Diversamente a nostro avviso se questo dispositivo distributivo prenderà piede torneremo indietro di 10 anni e molti piccoli vignaioli autentici passeranno dall’illusione del successo al rischio di non farcela più.

Noi continueremo a supportare dei rapporti liberi e non monoplistici.


Per una distribuzione dei prodotti della terra e del cibo diffusa e autogestita.

La Terra Trema

Last modified: 20 Ott 2019

23 Responses to " Non è il vino del distributore "

  1. teo ha detto:

    bien, ci voleva qualcuno che affrontasse l’argomento, ma occhio a dipingere i produttori come vittime di questo sistema, tante volte sono anzi motore di questo stesso sistema….

  2. Filippo Ronco ha detto:

    Su Teatro Naturale uscirà lunedì (mi pare) un editoriale a mia firma proprio su questo tema. Vi suggerisco di leggerlo.

  3. davide ha detto:

    Secondo il mio punto di vista questo è un non problema.

    La distribuzione serve al mercato e serve al produttore per far conoscere quel vino che altrimenti sarebbe rimasto appannaggio di pochi.

    I distributori, aziende spesso costituite da giovani appassionati, rappresentano l’unico volano per far si che la qualità venga apprezzata da ristoratori ed enoteche e questo significa anche “ridurre la distanza tra produttore e consumatore”

    I distributori, sempre più spesso sono persone appassionate, conoscitori dell’azienda e dei processi produttivi, che rispettano il produttore e ne valorizzano gli aspetti meno noti. Investono in benzina, telefonate, viaggi, tempo….è il loro lavoro e va rispettato.

    Il concetto di monopolio esiste solo se il produttore lo accetta, (quasi sempre vale per l’estero) alle fiere, molto spesso è il distributore a pagare la fee di ingresso, ecco perché il vignaiolo elegantemente lascia il suo biglietto da visita.

    Insomma, non lasciamoci spaventare da dinamiche inevitabili e spesso virtuose, impariamo a riconoscere le diverse situazioni e a non soccombere, informando ed informandoci.
    Speriamo invece che i distributori siano sempre mossi dalla Cultura del vino e non da mere speculazioni (che vanno quasi sempre per fortuna poco lontano)

    Speriamo invece che i produttori non cedano alle lusinghe della grande distribuzione, del profitto misero ma sicuro, a scapito inevitabilmente della qualità.
    Non possiamo (purtroppo) sabotare il sistema economico in cui viviamo, impariamo piuttosto a riconoscere le reali minacce dagli spauracchi del web….

    • Antoine ha detto:

      cito: …….Il concetto di monopolio esiste solo se il produttore lo accetta……..
      leggendo questa frase risponderei, quasi in modo sgarbato, è ovvio sul piano formale, ma chi fa l’imprenditore, non può sempre fare le scelte che si dicono, ci sono le necessità di incassare, di vendere che fanno parte di una realtà troppo facilmente dimenticata.
      E non e vero che le esclusive valgono di più all’estero! anzi io vivo l’esatto contrario non ho problemi da avere più importatori nei vari paesi, escludendo i stati con monopolio Svezia, Norveggia, Canada.

      cito ancora ….i produttori non cedano alle lusinghe della grande distribuzione…….. ma quale lusinghe? chi ci ha mai creduto? tutti sanno che è uno strozzinaggio, ma qualcuno ha necessità di vendere, intanto penso di sbagliare poco ma i produttori di qui non hanno i numeri della grande distribuzione

  4. Fabio Zanzucchi ha detto:

    Articolo naïf a dir poco, ideologico, inconcludente e anche furbetto. Se il produttore è libero di vendere a chi gli pare nel mercato dove opera il suo distributore, allora il suo distributore è libero di non comprargli più il vino. Decida il produttore: come vuole impostare la sua politica commerciale ? vuole vendere direttamente ai consumatori ? fantastico: sappia però che non avrà più tempo per coltivare il suo vigneto. Auguri.

  5. Wroom ha detto:

    secondo me prendete un grosso granchio: il distributore non ricatta proprio nessuno, solamente prende accordi con il produttore e spesso toglie tanti problemi ai produttori, non ultimo quello degli incassi. È un distributore ben organizzato permette una diffusione del vino che copre meglio il territori.
    Certo che poi gli accordi vanno rispettati altrimenti perchè si fanno?
    Un’altra cosa, voi partite da un punto di vista sbagliato: il vino è del produttore, ma una volta comprato dal distributore non è più suo, ma x l’appunto del distributore che quindi cerca di farne l’uso migliore possibile.

  6. La Terra Trema ha detto:

    Ciao Teo, si siamo consapevoli. In alcuni casi i vignaioli per svariati motivi ( dalla sopravvivenza, dalla fatica di gestire la commercializzazione, alla voglia di occupare nuove fette di mercato, all’ego un po’ spinto ecc.) sono parte del motore di questo sistema.
    Davide, sappiamo che le “nuove figure” di distributore spesso sono giovani (o meno giovani) appassionati che si inventano un lavoro con serietà all’interno di questa nuova fetta di mercato del vino . All’interno del capitalismo finanziario e digitale a cavallo della crisi economica. Fanno il loro lavoro. Offrono un servizio al produttore.
    Noi prima di entrare nella discussione sulla funzione del distributore e sulla figura sociale del distributore vogliamo sgomberare il campo da un problema, a nostro avviso, grosso: non ci sta bene, lo riteniamo un pericolo per la sopravvivenza delle piccole aziende stesse, della qualità dei vini, dei rapporti di produzione, delle relazioni di cooperazione e di tutto quello che spieghiamo nello scritto e di tutto quello che abbiamo cercato (e fatto ) in questi anni. Cose che sono il frutto di un decennio di discussioni fatte con i vignaioli stessi, Veronelli e gli amici e i compagni che lavorano con il nostro stesso spirito e attitudine. Il problema non è il distributore , ma l’ESCLUSIVA-IL MONOPOLIO. E’ allucinante che a milano ( o in altre città) un vignaiolo non puo’ più vendere DIRETTAMENTE il suo vino. Allucinante che il gestore di un’enoteca, di un ristorante, un normale avventore non possano comprare il vino a La Terra Trema, alla fiera “cippa lippa” o addirittura in cantina direttamente dal vignaiolo! Il sistema economico dominante non ci piace. Tu usi la parola sabotare (il sistema economico) che a noi piace. Ci piacerebbe sabotarlo, sappiamo che non è proprio semplice, almeno cerchiamo di rendere visibili le contraddizioni e i dispositivi mortiferi dei rapporti di produzione attuali .
    Fabio, chiaro che in ultima analisi la responsabilità è del produttore che accetta queste condizioni. Auguri, appunto, a chi accetta. Sono scelte. Noi sappiamo di vignaioli che distribuiscono in modo virtuoso , alcuni addirittura riescono a distribuire alcune migliaia di bottiglie direttamente, altri lo hanno come obbiettivo, altri sperimentano modalità di co-distribuzione e cmnq nn accettano le esclusive di nessuno.
    Wroom, certo. Gli accordi vanno rispettati. Noi diciamo che certi accordi non vanno proprio fatti e il vino a certe condizioni è meglio non venderlo.
    Apparentemente e sicuramente accettare queste condizioni paga. Paga nell’immediato (nel vero senso della parola!).
    A nostro avviso però riteniamo che se questa modalità distributiva, che contestiamo, si diffonderà produrrà una minor qualità dei vini e difficoltà per la sopravvivenza della scena dei vignaioli che abbiamo conosciuto, supportato e contribuito a far nascere e crescere.

  7. Antoine ha detto:

    Ciao
    grazie per il messaggio, butto li 2 o 3 riflessioni e “incazzature” che mi faccio da anni.
    E ovvio che tutta la catena del commercio ha le sue ragioni di essere, e tutti hanno il diritto di avere una retribuzione dignitosa.

    Fosse solo per il fatto che abbia lavorato per più di 30 anni da solo, è impossibile essere in vigna e cantina e ai mercati, anche se vari mercati sono simpatici ma se si vuole vivere con una famiglia qualcosa che esca dal lavoro i mercati di fine settimana sono impossibili, e dunque un agente, un distributore o simili diventano necessari.
    Detto questo ci sono vari però e perchè.

    Alla rinfusa
    – perchè un agente italiano prende dal 15 al 20% e un agente tedesco dal 4 al 7% ?
    – Perchè quando c’è un aumento dei costi di produzione e che c’è difficoltà di vendere l’unico che fa sconti è il produttore, sia l’agente che i vari rivenditori moltiplicanop il prezzo di vendita per una certa percentuale e il guadagno è sempre lo stesso! L’unico che è sottopressione per stare nel mercato è sempre il produttore, che deve ridurre i margini per mantenere lo stesso prezzo se i costi aumentano. Perchè non si diminuiscono la percentuale anche l’agente e/o il rivenditore?

    Cosi fosse si ricreerebbe una corretta interpretazione della catena di vendita, siamo nella stessa barca, con rispetto reciproco, e conspevolezza di partecipazione e fedeltà commerciale, e tutti con la necessità di vendere e incontrare il cliente finale.

    Sulle esclusive il problema esiste, perchè se ho un bravo agente che si da da fare su una certa zona, dare il vino in diretta sarebbe farli concorenza diretta. La realtà purtroppo è spesso diversa per noi piccoli, ed è che siamo una delle aziende di un portafoglio con logiche solo di mercato, e per noi queste logiche non sono nemeno quantitative, ma decorative. Per cuio è ovvio che nasce un problema quando trovi da te un cliente, un ristoratore…

    La miglior esclusiva è quella spiegatami da un importatore inglese, finchè siamo tutti e due contenti uno della qualità del prodotto l’altro del quantitativo venduto, non c’è n’è bisogno se nasce l’esigenza significa che uno dei due no è soddisfatto. Con questa idea ben chiara in testa secondo si può affrontare il problema che è sempre un rapporto tra le necessità del produttore e il rapporto costruito con il venditore e/o l’agente.

    Tanti saluti
    Antoine (Casina di Cornia, Castellina in Chianti)

  8. Il Cerchio ha detto:

    Cari ragazzi de La Terra Trema,
    sono tra quelli che non hanno distributori, che fanno tutto direttamente e personalmente, quindi concordo pienamente che prima di tutto il vino che faccio insieme a mio figlio è nostro e solo nostro.
    Vorrei però sottolineare l’aspetto speculare del problema. Più di una volta, facendo i miei giri “promozionali”, in cui presento me stessa, la mia azienda, e porto sempre un assaggio dei miei vini in omaggio, mi sono sentita rispondere da ristoratori, gestori di wine-bar, enotecari, che “mi spiace, ma io ho un distributore che mi porta diversi vini insieme, non posso mettermi a comprare direttamente”, o addirittura che il distributore di turno “ha l’esclusiva dei vini bio in città”. Per quieto vivere non faccio nomi…soprattutto del “distributore esclusivo”!!
    Ecco, forse si dovrebbe fare un’azione di “educazione” anche per chi i nostri vini li rivende e li mesce.
    Distribuzione libera e autogestita, ora e sempre!
    Ciao a tutti e grazie della sempre viva presenza e partecipazione.
    Corinna ( Il cerchio, Capalbio, GR)

  9. Corrado Dottori ha detto:

    Esattamente dieci anni fa il progetto Critical Wine è stato fatto morire – inutile nascondersi dietro altre cazzate – per il NON aver voluto affrontare in modo frontale e definitivo il nodo della costruzione di una filiera distributiva (alternativa? autogestita? critica? non mi interessa il nome ma ci siamo capiti).
    Ho sempre pensato che fosse un errore imperdonabile e credo che ormai ci sia ben poco da rimediare, visto che quello spazio è stato occupato da altri che in modo legittimo fanno un mestiere che deve essere remunerato esattamente quanto il nostro di agricoltori.
    Concordo sul rischio di andare verso posizioni monopolistiche e/o di finire a usare metodi da GDO. Ma sta al produttore gestire con intelligenza certe dinamiche. Pensare che sia possibile vendere anche solo 10.000 bottiglie fra fiere e mercatini o circoli arci è impensabile e – credo – neanche troppo giusto. E c’è chi ne deve vendere 100.000 o 200.000… Soprattutto quando la vendita diretta al ristoratore o all’enotecario o anche al circoletto presuppone di NON essere pagati o essere pagati a 120 giorni mentre il “cattivo” distributore paga invece con regolarità e assumendosi tutti i rischi sia di liquidità che di magazzino…
    Non so, comincio a pensare che noi tutti si debba evitare di restare aggrappati ad immaginari che dieci anni fa avevano un senso ben evidente ma rischiano oggi di impantanarci in derive ideologiche (alla prezzo sorgente, per intenderci). Il ragionamento critico sulla distribuzione va benissimo ma sempre tenendo conto che una bottiglia di vino non è un ceppo di insalata, che l’agricoltura contadina non è tutta uguale e che il piccolo distributore locale (spesso come è stato qui ricordato di giovani appassionati che si stanno inventando letteralmente un nuovo mestiere) non è per forza eataly o esselunga.
    Sul discorso “esclusiva” poi ci sarebbe da parlare a lungo. Posto che il vino venduto in fiera dovrebbe essere escluso da qualunque accordo – se partecipi a una qualunque fiera sennò che ci vai a fare ad una fiera del vino? – (lo stesso per la vendita in cantina), per esperienza vissuta vi dico che molto spesso chi chiede un invio di vino direttamente saltando il distributore è perché ci vuole inculare, detto proprio serenamente e con linguaggio da Oxford. Me ne sono capitate di tutti i colori dai difensori della filiera corta e del rapporto diretto e del bla bla bla. Cazzo a me va bene tutto – e lo sapete – ma mai uno straccio di autocritica nei nostri circuiti “critici”, eh?!
    Insomma, stavolta sono d’accordo solo a metà…. ma apprezzo la parafrasi del titolo :-)

  10. La Terra Trema ha detto:

    Caro Corrado,
    noi invece a sto giro non siamo d’accordo con più della metà di quello che scrivi.
    Non è vero che critical wine è stato fatto morire per il NON aver voluto affrontare in modo frontale e definitivo il nodo della costruzione di una filiera distributiva.
    La storia è un po’ più complessa e in parte ben raccontata qua http://www.laterratrema.org/2014/10/fare-a-pezzi-un-discorso-di-simonetta-lorigliola-un-invito-a-scrivere-nel-decennale-dalla-morte-di-gino-veronelli/
    Se proprio dobbiamo dirla tutta crtical wine dopo che è morta è risorta in decine di pratiche, storie e immaginari differenti tra loro e da critical wine stessa
    Storie e pratiche che hanno contribuito a valorizzare decine e decine di vignaioli, a cambiare in modo forte il mondo del vino e dell’agricoltura.
    Comunque non è importante sapere come e perchè è morta critical wine. Ci interessa aprire una discussione su altro.
    Non è vero che la filiera distributiva è stata occupata solo da queste nuove (e vecchie) figure di distributori. Esiste e è nato anche dell’altro e per quanto ci riguarda è molto più interessante dei giovani appassionati che fanno il loro mestiere che deve essere giustamente remunerato. Sappiamo bene che queste “nuove” figure di distributori non sono come l’esselunga o eataly, ma alcuni dei dispositivi che producono sono identici alla GDO.
    Sono anche tante e diversificate le esperienze (individuali e collettive) che sperimentano e consolidano modi distributivi diretti e di co-produzione. Esperienze che lavorano in modo diverso dai distributori locali che detengono l’esclusiva nei propri territori.
    Noi non abbiamo detto che tutti i vignaioli debbano vendere tutte le bottiglie tra fiere, mercatini e spazi sociali. Abbiamo detto che è auspicabile che la fetta di vendita diretta sia sempre maggiore e che è fondamentale sviluppare e supportare una distribuzione dei prodotti della terra e del cibo diffusa e autogestita.
    Pensiamo sia un lavoro immane vendere direttamente migliaia di bottiglie. Pero’ non è vero che come dici tu sia impossibile. Qualcuno lo fa!
    Non abbiamo detto che non debbano esistere i distributori. Abbiamo detto che NON CONDIVIDIAMO L’IDEA DEL MONOPOLIO DEL DISTRIBUTORE.
    ll problema non è il distributore , ma l’ESCLUSIVA-IL MONOPOLIO. E’ allucinante che a milano ( o in altre città) un vignaiolo non puo’ più vendere DIRETTAMENTE il suo vino. Allucinante che il gestore di un’enoteca, di un ristorante, un normale avventore non possano comprare il vino a La Terra Trema, alla fiera “cippa lippa” o addirittura in cantina direttamente dal vignaiolo!!
    Abbiamo posto questo problema che rischia di diventare un problema enorme se si diffonde come pratica.
    Noi non siamo mai rimasti aggrappati ad immaginari di dieci anni fa . Anzi- e lo sai – ne abbiamo creati di nuovi e ci sforziamo di costruirne sempre di nuovi senza rimanere fermi.
    Partendo proprio dalla messa in discussione di noi stessi e dei nostri circuiti critici, dei nostri spazi, delle nostre pratiche e dei nostri modelli organizzativi ( su questo lo sai e se chiedi in giro alla compagneria siamo famosi per essere quelli che mettono in discussione “la famiglia” senza remore)
    Infine, sarebbe interessante che ci raccontassi bene la storia della tua esperienza “che molto spesso chi chiede un invio di vino direttamente saltando il distributore è perché ci vuole inculare” .
    Noi conosciamo molte persone, enoteche e spazi che acquistano direttamente vino dai vignaioli non inculando nessuno, anzi questi di solito pagano in anticipo, prima della consegna.

    speriamo che questo dibattito porti maggiore conoscenza dell’aspetto distributivo, a nuovi immaginari e che dia forza a modelli distributivi nuovi e che metta in discussione fortemente la pratica del monopolio distributivo

    alla prossima

  11. Corrado Dottori ha detto:

    Se vi ho scritto è perché vi voglio bene.
    Il disaccordo è ciò che ci rende vivi. E se c’è dialettica vuol dire che ci stiamo parlando.
    Quel passaggio di Critical Wine non fu un passaggio indolore e chi stava alla riunione del 2005 alla Lodola lo sa bene al di là di tutto ciò che è venuto dopo. E il nodo della distribuzione/filiera fu cruciale.
    Dopodiché, figurasi se non sono d’accordo che la vendita diretta debba essere sempre maggiore e che i monopoli sono da abbattere. Mi pare di ricordare di aver scritto con Marco Arturi e condiviso con voi questa roba qua: http://www.laterratrema.org/2010/12/perche-ci-girano-i-cosiddetti/ che già diceva molto di ciò che andava e va succedendo.
    Ma il punto è che stavolta – secondo me – sbagliate obiettivo e siccome non sono ipocrita mi andava di dirvelo.
    La distribuzione è uno dei grandi problemi dell’economia di oggi (quante volte ne abbiamo parlato?)… Vale per il cibo come per la musica come per il cinema o i libri. Su questo siamo d’accordo. Ma non è abbattendo l’intermediazione in sé che si risolve il problema, casomai creando le condizioni perché la distribuzione abbia caratteri di un certo tipo.
    La sacrosanta idea di accorciamento della filiera deve fare i conti anche con le specificità dei diversi prodotti, dei diversi costi industriali, delle diverse strutture produttive. Vedere vino non è e non sarà mai come vendere il fresco, ad esempio. Un azienda vinicola, per quanto piccola, ha nella logistica e nel magazzino grosse criticità. Io comincerò a ottobre 2015 a vendere un vino vendemmiato nel 2013 e i cui costi ho iniziato a sostenere a ottobre 2012.
    Voi queste cose le sapete perché ormai siete “del mestiere”.
    E allora non potete non osservare che figure intermedie “commerciali” servono, specie se sono molte e in concorrenza fra loro (esattamente quel che sta succedendo) cioé NON in posizione dominante e monopolistica.
    Quindici anni fa, quando ho iniziato, giravo a vendere vino ed ero solo soletto contro gli agenti delle super-aziende e prendevo mazzate. Oggi sul mercato si danno e si prendono ma non siamo più soli. Una certa distribuzione del “vino naturale” è nostra alleata non è nostra nemica. A volte dietro ciò che chiamate “monopolio” si celano semplicemente relazioni umane, gente che ti ha dato fiducia quando non eri nessuno, gente che ha creduto in te quando altri dicevano che era impossibile, gente che ha investito nel naturale quando altri lo schifavano non oggi che va di moda, magari – a volte – pure compagni di strada e di lotte.
    Dite bene, non è impossibile vendere tutto direttamente: il problema è se uno deve fare il vignaiolo o il venditore. Io voglio stare in campagna e non girare come una trottola tutti i giorni a vendere il MIO vino perché il vino deve essere solo MIO e di nessun altro.
    Il mio vino racconta una storia che deve essere di tutti.
    Certo, bisogna fare attenzione e certo alcune logiche sono problematiche. Lo sappiamo talmente bene che una delle battute fatte con Nino Barraco e Francesco de Franco quest’anno a LTT è stata proprio quella di metter su una nostra distribuzione autogestita! Per dirvi quanto non smettiamo di sognare e di essere utopistici… Ma un conto è sognare un conto è la quotidianità di aziende che hanno fatto anche investimenti importanti, non per “sabotare il sistema” ma molto più umilmente per provare a cambiarlo.
    Con l’affetto di sempre.
    Corrado

    PS Mi chiedete di raccontare alcune storie, ma non è che sian così interessanti: la più bella di tutte è di un compagno che dai su insomma fammi comprare il vino direttamente che noi facciamo cultura e relazioni sociali e dai fra compagni siamo contro le logiche distributive e dopo che gli ho mandato il vino in pratica non faceva altro che re-distibuire a sua volta il vino a destra e a manca, ovviamente a prezzo inferiore, essendo un circolo arci o qualcosa del genere. Ma non volevo e non voglio fare polemica su questo. Voi avete le vostre storie e ognuno di noi ha le nostre, stanno sullo stesso livello, quello che mi dà fastidio è la tendenza sempre più evidente a dividere il mondo in “puri” ed “impuri”. Sapete quello che penso e voglio avere libertà di criticare anche voi, no?

  12. Antoine ha detto:

    Non riesco ad avere un idea chiara su quali sono i problemi attorno ai quali non siete d’accordo, Corrado Dottori e la Terra Trema, diciamo che ho l’impressione che sono molto teorici. Il commercio i scambi sono sempre esistiti e nascono da se certi meccanismi, è ovvio che il produttore può fare delle scelte in funzione sia delle sue necessità sia delle sue voglie di sostenere o perseguire un tipo di rapporto o un altro con il consumatore.
    Ma ho come l’impressione che non si dà abbastanza importanza a quello che succede già ora nella realtà, del rapporto produttore consumatorie finale, parlo degli esempi che conosco. GAS, ci sono GAS e GAS ma è importante smontare e cercare le pulci? Pesno di no! Sono comunque sempre nati da una riflessione di qualcuno e il produttore ci si avvicina con i prezzi che ritiene giusti,ovviamente in rapporto al mercato che potrebbe avere nella stessa area, ci sono i negozi della “spesa in campagna” ( https://www.facebook.com/pages/Bottega-spesa-in-campagna-siena/367006010100328 ) nei quali il produttore vende direttamente al consumatore ad un prezzo che DECIDE il produttore sapendo che deve lasciare una percentuale per pagare chi nella bottega lavora, che è in percentuale un suo/una sua dipendente.
    Insomma si stanno muovendo le cose nel mondo reale, in funzione non solo della voglia dei produttori di ottenere un prezzo più giusto, ma alla fine anche e sopratutto grazie ai consumatori, interessati ad un rapporto qualitativo con i produttori, che premiano questi spazi.
    Pensare di inventare meccanismi commerciali “nuovi” che si applichino ai vini XXXX su larga scala, mi sembra un utopia attraverso la quale creare percorsi di fregature future dei consumatori ancora più grande di quelle del mercato “normale”, a meno che si metaà in piedi un sistema di CONTROLLO un altro ancora. Se si parla di perseguire un mercato molto di nicchia tra amici settari, tutto può anche funzionare per un po di tempo, ma se vogliamo far vivere delle famiglie in agricoltura sarà necessario di uscire dalle nicchie, anche perche il vino si conserva, ma come alimento ha i suoi limiti per l’autarchia..!! ;-)

  13. La Terra Trema ha detto:

    Cari Antoine, Corrado e tutt*,

    con quanto scritto non vogliamo affrontare il discorso della distribuzione e dei meccanismi commerciali nella loro complessità e interezza (anche se sembra interessante e utile farlo)
    L’abbiamo scritto e lo ribadiamo: prima di entrare nella discussione sulla funzione del distributore, sulla figura sociale del distributore e sulle filiere distributive “nuove” vogliamo sgomberare il campo da un problema, a nostro avviso, grosso
    NON CONDIVIDIAMO L’IDEA DEL MONOPOLIO e dell’ESCLUSIVA DEL DISTRIBUTORE. Queste pratiche non ci stanno bene, le riteniamo un pericolo per la sopravvivenza delle piccole aziende stesse, della qualità dei vini, dei rapporti di produzione, delle relazioni di cooperazione e di tutto quello che abbiamo cercato di fare (e fatto ) in questi anni.
    Non abbiamo detto che non debbano esistere i distributori. ll problema non è il distributore , ma l’ESCLUSIVA-IL MONOPOLIO del distributore. E’ allucinante che a Milano ( o in altre città) un vignaiolo non puo’ più vendere DIRETTAMENTE il suo vino.
    Corrado e tutt*, vi sembra ok che una signora o un ragazzo che vengono a La Terra Trema e vogliono comprare una bottiglia di vino vostro gli si dica di chiamare il distributore o di andare all’enoteca xy?
    Corrado e tutt* , vi sembra ok che se il centro sociale x, l’enoteca y e il ristorante z vengono a La Terra Trema e dopo aver conosciuto il vignaiolo e assaggiato il vino se vogliono acquistare gli si dice di chiamare il distributore?
    Vi sembra tutto ok se si fanno fiere dove i vignaioli sono presenti, ma a vendere il vino sono i distributori con lo stand a 10 metri? I vignaioli cosa sono lì a fare!?! Folklore!?! La promozione al distributore!?!
    Di questo vogliamo parlare. Questo vogliamo capire. Perchè alcuni vignaioli sottoscrivono questi accordi? Perchè accettano queste condizioni?
    Tutto il resto, come già detto, è interessante e necessario affrontarlo, ma prima vogliamo affrontare questa questione dell’esclusiva e del monopolio imposto e /o accettato.
    Affrontare e superare questo che per noi (e non solo) è un problema grosso non è utopia, sogno e sabotare il sistema, ma è una questione basica per sviluppare cultura, immaginari e progettualità con esperienze coma La Terra Trema
    Diversamente a nostro avviso se questo dispositivo distributivo prenderà piede torneremo indietro di 10 anni e molti piccoli vignaioli autentici passeranno dall’illusione del successo al rischio di non farcela più.

    A presto e buon lavoro a tutt*

  14. Antoine ha detto:

    Ho capito, il problema però è tutto del produttore, che deve (SE PUO poi ci ritorno) avere un rapporto con il ditributore che li permetta di fare capire che è a vantaggio di tutti anche del distributore avere delle vendite che fanno conoscere il vino.
    Ho un esempio personale su New York, mi sono ritrovato con due dsitributori li, impossibile far capire ad uno che non era contrario a che ce ne fosse un altro, ma voleva un altra etichetta che invece se girava di più la stessa etichetta era un vantaggio per tutti, il vino avrebbe avuto più visibilità etc etc… impossibile dopo 2 anni ho dovuto sceglierne uno…

    Cosa voglio dire è che non credo ci sia “una legge alternativa” che permetta in modo intelligente far diventare la gente intelligente!
    Se il tuo didtributore di Milano ti vieta di vendere il tuo vino ad una fiera come la Terra Trema o altre manifestazioni, è uno stronzo, ma mettere in croce il produttore che lo subisce necessità un po di ricerca, perchè magari non può rischiare di perdere quel distributore, perchè rischia di mettere la sopravivenza dell’azienda in difficoltà.
    La domanda diventa allora perchè partecipa a quelle manifestazioni?
    Temo che di andare a grattare in questi casi qua ci si trovi davanti a risposte strane. Scusate se infilo io il primo chiodo nella croce….

  15. teo ha detto:

    che bello, finalmente si parla (si scrive) e si sentono posizioni contrastanti rispetto ad un tema che ritengo fondamentale (ed evidentemente non solo io).
    Sul discorso del fallimento di CW son daccordo con Corrado, CW è imploso nel momento in cui è stata rifiutata l’idea di implementare una distribuzione su terrotorio nazionale con marchio registrato (CW appunto) gestita da “compagni” o strutture vicino al “movimento”. sarebbe stata una situazione rivoluzionaria che avrebbe permesso di approfondire in termini a-ideologici il tema del prezzo sorgente, ma soprattutto delle DE-CO. cmq il passato è passato e beviamoci sopra sennò non la finiamo +.
    penso che abbiate chiarito la vostra posizione nel momento in cui sostenete “NON CONDIVIDIAMO L’IDEA DEL MONOPOLIO e dell’ESCLUSIVA DEL DISTRIBUTORE” ed è giusto che sia così.
    io, lo sapete ho una microscopica distribuzione a Bologna e organizzo annualmente una fiera che cerca di tener fede alla strada tracciata da CW , ma che allo stesso tempo è anche vetrina per la distribuzione di cui mi occupo.. non mi sogno nemmeno lontanamente di impedire alle aziende di vendere ai privati… anzi, a GN nel prezzo di ingresso è compreso un buono di 5 euro per l’acquisto di una bottiglia da qualsiasi produttore, da parte di qualsiasi visitatore……. 5 euro che poi vengono restituite, moltiplicate per i buoni raccolti, ai produttori prima della fine della fiera stessa.
    Ma , se tu produttore che sei da me distribuito a Bologna approfitti del fatto si essere in città per prendere contatti con un ristorante, un circolo, un enoteca per rifornirlo alle mie spalle mi incazzo e molto.
    per due motivi:
    UNO, evidentemente laddove io impronto il mio rapporto con te produttore sulla fiducia e sulla condivisone di alcuni principi etici (eretici nel mio caso), rifiutando a priori qualsiasi contratto di esclusiva – perchè comunque comprendo che vi possano essere relazioni nate prima che la mia attività nascesse – tu fai buon viso a cattivo gioco agganciando nuovi clienti senza comunicarmelo…. dichiari di essere daccordo con i principi di una distribuzione alternativa, di supportare le piccole economie, ma fondamentalmente sei interessato esclusivamente alla tua di economia… e ciò diventa tanto più evidente quando all’inizio dell’anno solare (gennaio per intenderci) mi contatti, una volta che ti sei fatto i conti di magazzino di cosa ti è rimasto nel periodo post-natalizio per vendermi le rimanenze, dichiarandoti scontento delle poche quantita che ti vendo etc etc….
    Attenzione non si muovono così solo i responsabili marketing delle grandi aziende, ma anche i più insospettabili dei “compagni”
    DUE, dal momento in cui solo in base al tuo (di produttore) entusiasmo e alla tua sensibilità hai deciso di aderire ed affiancarti ad una esperienza che propone il tuo vino insieme a quello di altre aziende hai una responsabilità, e ce l’hai anche rispetto alle altre aziende. Perchè un progetto di distribuzione che nasce e si sviluppa da basi “politiche” non tende a vendere la singola bottiglia, il singolo prodotto, seppur moltiplicato per 10/100/1000 ma tende a vendere l’idea stessa, tende a vendere la suggestione che è possibile per chiunque emanciparsi dalle logiche di monopolio… produttori, operatori di filiera, rivenditori finali (enoteche, bar, ristoranti). Tu azienda chiaramente sei libera di vendere bypassando il tuo distributore “eretico”, fottendotene di accordi presi e anche di amicizie instaurate, ma vendendo in questa maniera tu la metti in culo anche alle altre aziende che hanno aderito al tuo stesso progetto di distribuzione…… perchè se l’azienda X è sulla cresta dell’onda e tutti ne desiderano i prodotti, non sarebbe male se avesse senso di responsabilità nel capire che tramite il distributore Z, che propone un catalogo diversificato ma coerente, può aiutare anche l’azienda Y, che probabilmente è all’inizio, o ha un prodotto più difficile, o semplicemente proviene da un territorio meno A’ La Page per i bevitori fighetti.
    Il distributore, o almeno GN (che sta per Gusto Nudo), ,ma son sicuro tanti altri, non intendono vendere un milione di bottiglie di un unica etichetta, ma piuttosto tante bottiglie di tante aziende in cui credono…… e credetemi, il più delle volte, nell’atto di vendere, di ricercare clienti: il prodotto, l’etichetta recensita sulle guide non c’entrano un cazzo, ma c’entra la persona/produttore, il suo lavoro, il suo amore per la terra………….
    Per questo se tu azienda mi bypassi, la metti in culo a me, ma la metti in culo pure al tuo vicino di banco in fiera.

    Ci voleva, comunque, ci volevate voi folletti come al solito qualche passo davanti a tutti gli altri per liberare questo spazio di discussione su questo tema…. non condivido fino in fondo la vostra posizione che ritengo un pò ideologica, ma vi ringrazio immensamente per aver introdotto e innaffiato il tema del dibattito.
    vi abbraccio….. teo

  16. Antoine ha detto:

    Condivido al 100% quello che dici Teo, e mi fa piacere che venga fuori, che non è tanto il sistema commerciale che va cambiato ( ci sarebbero poche speranze) ma va rivalutato scelto, reso trasparente il rapporto tra le persone, il rispetto del lavoro degli altri “partner” della catena di vendita, con apertura e buon-senso.
    Sarebbe bello avere una rete di vendita alternativa, nell’ideale, io temo fortemente che una tale rete reggi solo il tempo che funzionicchia, e che il giorno che funziona davvero diventi una qualsiasi rete di distribuzione con le logiche del mercato peggiorate dagli interessi di persone diventate influenti dentro la rete commerciale.

  17. La Terra Trema ha detto:

    Bene, molto bene
    speriamo che la discussione continui portando magari anche a dei cambiamenti, a delle nuove sperimentazioni e forza maggiore alle esperienze di cooperazione che già esistono.
    Sicuramente con quanto scritto qua, con le telefonate e le chiacchierate sul tema un bel passo in avanti l’abbiamo fatto. Sicuramente noi abbiamo ancora più chiara la situazione . Ringraziamo chi ha raccontato, chi si è espresso mettendo a fuoco meglio la questione e dandoci nuovi spunti.
    Per noi rimane fondamentale superare l’esclusiva dei distributori nei territori. Rimane fondamentale per noi superare il ricatto imposto e /o accettato. E’ chiaro che il ricatto sparisce nel momento in cui il ricattato lo fa proprio: firma una carta, sottoscrive un accordo.
    Per noi è fondamentale che a delle fiere/feste agricole come “La Terra Trema” il vignaiolo possa e debba poter vendere direttamente il proprio vino a chiunque arrivi. E con chiunque arrivi possa sviluppare progettualità commerciali, cooperative, sociali, amicali ecc. La Terra Trema nasce e continuerà ad esistere per i vignaioli e per tutte le persone che decideranno di attraversare il Leoncavallo in quei giorni, compresi i distributori ( che in questi anni hanno conosciuto durante la TT molti vignaioli con cui poi hanno collaborato). Non possiamo condividere però che si utilizzi questi momenti per promuovere i distributori, per far diventare centrale e prioritario il distributore. Non possiamo condividere, ci piange il cuore, vedere i vignaioli che non possono vendere direttamente il proprio vino (neanche una bottiglia!). Così facendo già alcuni vini di vignaioli per noi (e per moltissime persone) sono diventati inaccessibili (economicamente e socialmente). L’abbiamo detto e non ci stancheremo di ri-dirlo: così facendo la cultura, gli immaginari e le pratiche costruite in questi anni si dissolvono, la qualità dei vini peggiorerà, l’accessibilità di alcuni vini sarà ( è già) limitata solo ad alcune fasce sociali e molti piccoli vignaioli autentici passeranno dall’illusione del successo al rischio di non farcela più.
    Continuiamo a ragionarci !
    Con molti di voi ci si vedrà al Forte questo fine settimana. Con altri ci si incontrerà in campagna e in cantina. Ci farebbe piacere incontrare qualcuno di voi anche a SEMI DI RESISTENZA il 21 e 22 marzo-un’iniziativa a cui teniamo molto-sull’home page del sito trovate il programma,le adesioni ecc.
    a presto e buon lavoro

  18. Daniele Marziali ha detto:

    io so solo che arrivo adesso… e da quanto tengo la posizione, tutte le vostre righe di tutti, mi danno una speranza atomica ancora per tenere duro!! per me e per i miei figli… vaccaboiaporca di un mercato che mi basterebbe semplicemente quello che riesco a fare e invece mi devo fare un culo della madonna e domani mattina potrei essere ugualmente spazzato via!! e io pretendo di rimanere senza distributori perchè… dietro alle mie poesie da mordere ci voglio essere solo io! e voi… ;) anche se il mio è un altro discorso ancora e non è un discorso paragonabile ai cari amici vignaioli… so solo che quando arriva quel meraviglioso fine novembre, mi si ingrossa il cuore e mi dico da solo che… vaccaboia anche per quest’anno ce l’ho fatta!! un abbraccio grosso a tutti… Folletti ed Eretici!! ;)

  19. Pierluigi ha detto:

    Articolo troppo vago per avere un senso… sono d’accordo di combattere il sistema e di resistere ad un sistema che è deleterio per l’ambiente, per la cultura, per l’identità e per l’uomo ma ciò che ci manca è proprio operare tutti con BUON SENSO non esiste giusto o sbagliato apriori, bisogna sempre valutare la situazione specifica e approfondirla per comprendere il perchè e con chi ha fatto certe scelte… Non capisco il senso di un no a prescindere nei confronti di distributori (io legalmente lo sono ma non certo come avete dipinto il distributore), ricordiamoci che è il Produttore che concede l’esclusiva e non lo fa sotto tortura, inoltre queste cose succedono quando i numeri sono più grossi e dove probabilmente le scelte di entrambi (produttore e distributore) sono già orientate all’interesse del dio denaro e non sul vino o sulla cultura (anche se ha volte non se accorgono).
    Se uno di Milano chiama un produttore siciliano e questo ha un accordo con un distributore di Milano, il produttore dovrebbe semplicemente dire al cliente che è felice della sua telefonata e che sarebbe immensamente felice anche di una sua visita, se impossibilitato per troppa lontananza può contattare “Michele” nostro carissimo amico che ci aiuta ha comunicare il nostro vino a Milano offrendo un servizio migliore di quello che potremmo dare noi al telefono… non ci vedo nulla di male… in certi casi e in certe modalità.

  20. Valeria Molone ha detto:

    Ciao, sono molto contena di leggere quanto avete scritto, perchè sono fra coloro che vi segnalarono qualche incongruenza circa l’atteggiamento monopolista di alcuni distributori milanesi.
    Capisco che non è sempre facile, e spero, quest’anno, di non trovarne traccia.
    Ci vorrebbe un bel dibattito aperto e franco!
    Valeria

  21. Luigi bagassi ha detto:

    Il concetto sbagliato è quello del monopolio, in Italia monopoli del vino non ce ne sono. Conosco bene il concetto del prezzo sorgente, ero tra quelli che erano alla Chimica, ma è forse l’unica cosa che non è stata in piedi tra tutte le visoni di Veronelli. Io semplicemente vedo il lavoro del distributore (che faccio) come un lavoro che qualcuno deve fare. Vendere vino, distribuirlo all’ingrosso, è un lavoro e qualcuno deve farlo e ha un costo. Poi sta alò produttore decidere se questo lavoro lo vuol fare lui o la sua famiglia o se vuol farlo fare esternamente.

    • La Terra Trema ha detto:

      Caro Luigi, grazie per il tuo commento. Proprio in quest’ultimo periodo siamo tornati a ragionare e a indagare i temi che avevamo messo a fuoco con questo scritto ( a rileggerlo oggi, compresi i commenti, riteniamo che sia ancora attuale, anzi lo è ancor di più). Affrontare la questione è ancora più urgente. Il prezzo sorgente (al di là della difficoltà a trovare una giusta e condivisa declinazione e alle sue criticità nell’applicabilità) ci ha permesso di lavorare su molti fronti. Oggi il prezzo sorgente ci permette di affrontare nuove questioni. Ad esempio: il prezzo del vino dei piccoli vignaioli è cresciuto vertiginosamente. Sicuramente per ragioni macroecronomiche e per i costi di produzione, ma anche per ragioni di speculazione e profitto. E qui torna utile ragionare e dibattere su prezzo sorgente, distribuzione e rapporti di produzione. Lo faremo. A partire dalle pagine de L’ALMANACCO e con le nostre pratiche quotidiane.

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