Ad ogni presentazione di *Pastiche – Cultura materiale alla Veronelli – l’ultima, sabato scorso, 14 marzo presso il Forte Prenestino (Roma) – arriva puntuale dal pubblico la richiesta di un parere sulle tante trasmissioni televisive dedicate al cibo e alla cucina. L’abbondantissima produzione mediatica a tema alimentare, infatti, è un fenomeno che ha raggiunto dimensioni tali da generare non soltanto noia ma sospetto e preoccupazione.
Non possedendo un televisore, la mia risposta si limita di solito a suggerire concetti rubati a ragionamenti altrui. Alberto Capatti – tra i curatori della recente mostra Camminare la terra dedicata a Luigi Veronelli – è uno storico della gastronomia cui dobbiamo alcune fondamentali pubblicazioni e Storia della cucina italiana (Guido Tommasi Editore, 2014) è il titolo del suo ultimo libro. A suo avviso ogni analisi degli atti alimentari contemporanei – quindi anche delle loro rappresentazioni – deve tenere conto dalla pervasività del sistema industriale di produzione, trasformazione e distribuzione del cibo e degli sconvolgimenti che ne derivano. L’acquisto di alimenti prelavorati, la drastica riduzione del tempo quotidianamente dedicato a cucinare e il corrispondente aumento di quello trascorso a guardare programmi di cucina sono i tratti di una nuova “forma di vita alimentare”. Quella che sarebbe facile liquidare come sottocultura alimentare è in realtà indice di fenomeni complessi che interessano non soltanto la gastronomia ma gli esseri umani nella loro totalità.
Nell’articolo pubblicato su *Pastiche Ciro Tarantino, docente di sociologia dei codici culturali presso l’Università della Calabria, si spinge più là. Egli afferma che “la massa in espansione dei nuovi cooking show non è segno di nessun interesse particolare per il cibo. Nessuna democratizzazione gastronomica è in corso, nemmeno nella forma minima, domestica ed economica di una nuova alfabetizzazione alimentare”. E ancora “il cibo è solo il punto di applicazione della pedagogia corrente dell’individualismo competitivo. Tramite il cibo, prima si insegna il principio di giusta disposizione dello spazio sociale (…) poi, si educa all’auspicato ordine regolare della vita in comune, giusta – si dice – quando concorrenti solitari si battono fra loro e contro il tempo per prevalere nel mercato di una esoterica valutazione”.
Nella palestra sociale di Masterchef, “la” trasmissione di cucina, il buon Carlo Cracco è dunque, contemporaneamente, imperatore, giudice, capo della polizia, prete, padrone e padre.
È un caso che questa e altre figure “monocratiche” si siano insediate proprio quando ciascuno di noi è fermamente convinto di bastare a se stesso, di potersi misurare da solo con il buono e il disgustoso, buttandosi ad ariete tra filiere corte, prodotti bio, vini senza solfiti, padelle e ristoranti? In nome della libertà del gusto individuale – ne ha scritto, su *Pastiche, Ilaria Bussoni – ciascuno ritiene d’essere l’esteta, l’eroe in grado di separare con un gesto, come il Cristo della Sistina, i benedetti dai dannati.
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito alla progressiva perdita di credibilità e di capacità elaborativa da parte della critica gastronomica, giudicata inattendibile a causa della modestia delle sue interpretazioni e suoi rapporti poco chiari con il settore produttivo che, per definizione, è chiamata a giudicare. Ci siamo sottoposti a un bagno d’onestà e spontaneismo a base di blog e social network, fenomeni dirompenti e salutari che, tuttavia, quando tentano di strutturarsi al di là dell’iniziativa individuale, ritrovano i problemi dei vecchi opinion leader. Ogni caso ha una sua storia, ogni percorso esplora strade diverse ma un dato è certo: i centri di potere che da sempre intessono “relazioni pericolose” con testate e giornalisti hanno dimostrato di saper gestire con profitto anche la sterminata platea dei consumatori-che-comunicano. Il risultato di questa doppia deriva, social e critica, è la mania pseudo-gastronomica collettiva, la narrazione unica, il verbo del coquus maximus e delle sue patatine.
A ben guardare non c’è nulla che rappresenti in modo più chiaro la coerenza interna del sistema alimentare della discussa operazione promozionale fatta da Carlo Cracco, stellato tra gli stellati, per una nota industria specializzata in junk food. Entrambi, promotore e promosso, sono enunciati di una medesima narrazione che – per la povertà del testo, dei contenuti e del piacere – necessita di manifestarsi in rituali sempre più complessi e fastosi, in un sistema di dogmi, sacerdoti e liturgie di cui la prossima Esposizione Universale di Milano rischia d’essere l’apoteosi.
Expo 2015: ecco il tema della seconda domanda puntualmente formulata durante le presentazioni e gli incontri pubblici del Seminario Veronelli. L’Esposizione Universale vuol essere una “vetrina del mondo” organizzata secondo il punto di vista e la prospettiva dei partecipanti, ufficiali e no: stati, organizzazioni internazionali, grandi corporate e, in un apposito padiglione, organizzazioni della società civile. È evidente che mettere in discussione la narrazione dell’agricoltura e della gastronomia proposta dall’apparato promozionale di Expo 2015 – quella dello chef, dell’esercizio sociale, della patatina – significa mettere in discussione un’organizzazione delle relazioni tra gli esseri umani fondata sui suddetti istituti. Una discussione che va al di là dei compiti della nostra Associazione. O forse no?
Il Seminario Veronelli si occupa di agricoltura e di gastronomia nel solco veronelliano: significa, tra l’altro, concepire mangiare e bere come possibilità di bellezza, momenti di cultura e di piacere. Significa credere nella contadinità come progetto, nella geniale intuizione di Luigi Veronelli secondo cui è possibile costruire relazioni felici a partire da un modo diverso di sentire la terra, di coltivarla e di nutrirsene.
Nel dicembre scorso l’Associazione ha ricevuto – come altre e più strutturate organizzazioni – l’invito di Verona Fiere a progettare e gestire eventi all’interno del Padiglione Vino. Dopo una lunga discussione, che ha coinvolto Presidente e Consiglio Direttivo, il Seminario Veronelli ha deciso di non aderire, nonostante i vantaggi economici che verosimilmente ne sarebbero derivati.
Non sono state considerazioni di ordine ideologico a motivare la scelta, benché gli arresti per tangenti tra gli organizzatori diExpo 2015, la cementificazione di aree agricole milanesi e, infine, l’idea di accostare il nome di Luigi Veronelli ai marchi delle multinazionali del cibo non hanno certo entusiasmato la nostra équipe. Proprio per le contraddizioni su cui l’Esposizione Universale di Milano è fondata – un esempio: in prima fila per nutrire il pianeta ci sono gli stessi colossi agroalimentari che lo affamano – siamo sicuri, infatti, che l’Esposizione sarà attraversata anche idee e progetti straordinari e innovativi, attraverso i sentieri imprevedibili che si apriranno. Equipe e Consiglio Direttivo hanno compiuto questa scelta per l’impossibilità di proporre nel Padiglione Vino una narrazione diversa, la nostra, entro i limiti operativi imposti dall’enorme flusso dei visitatori e dal padiglione stesso, per com’è stato pensato e per le funzioni che gli sono state assegnate.
Perché è così importante proporre letture differenti del sistema agroalimentare? Perché molti sono i segnali che indicano come con Expo 2015 rischi di chiudersi un ciclo storico della cucina italiana, per limitare l’analisi alla nostra Penisola: la piena e falsa identificazione tra patrimonio storico della cucina italiana, marchi dell’agroindustria made in Italy, insegne della grande distribuzione, sapere professionale dell’industria della trasformazione e degli chef. In sintesi, la normalizzazione dell’alta cucina trasmessa, della bassa, bassissima gustata.
Interpretazioni e scelte discutibili? Senz’altro, ma interpretazioni e scelte chiare di cui ci assumiamo la responsabilità, anche di fronte all’adesione pentita e al dispiacere posticcio manifestato, tra gli altri, dai vertici di Slow Food, personalità di grande esperienza, tutt’altro che ingenue o sprovvedute.
La missione del Seminario Veronelli è promuovere, in una prospettiva veronelliana, la cultura del vino e degli alimenti. L’arrivo di viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo e la diffusa attenzione riservata ai temi dell’agroalimentare rappresentano, nonostante tutto, occasioni da cogliere a vantaggio dei nostri Associati e del patrimonio gastronomico italiano. Per questo l’Associazione sta mobilitando ogni sua energia per condividere in modo libero e pragmatico, anche nei sei mesi di Expo 2015, la narrazione veronelliana del cibo e del vino con il maggior numero possibile di persone. In altre parole, per fare critica gastronomica.
Andrea Bonini
Pubblicato il 19 marzo 2015 dal Seminario Permanente Luigi Veronelli
Last modified: 20 Ott 2019